Caro Direttore, dalla scadenza del contratto dei giornalisti sono passati 837 giorni, e non pochi altri ne passeranno, se gli editori continueranno a rifiutarsi di sedere al tavolo. Ma i problemi non vengono mai da soli; e così ci tocca pure la bacchettata che ci rifila il professor Ichino, dalla prima pagina del Corriere (Vedi in Rassegna Stampa - giugno 2007).
Sbagliano i sindacati, dunque sbaglia anche la Federazione della Stampa, quando parlano di un «diritto dei lavoratori al contratto». Questo diritto «non esiste proprio, ed è bene che non esista», argomenta l'editoriale, perché «se accordarsi fosse obbligatorio, avremmo un regime di cogestione». Non abbiamo certo le competenze del professor Ichino in materia di diritto del lavoro. Però non sono soltanto i sindacati a pensarla diversamente da lui. Ricordiamo le parole pronunciate in questi mesi dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha sottolineato ripetutamente «il diritto primario dei giornalisti ad un contratto di lavoro regolarmente rinnovato». Concetti simili hanno espresso i Presidenti del Senato e della Camera. Nelle loro affermazioni abbiamo colto un riconoscimento del valore del lavoro - giornalistico e no - che poco traspare dalle tesi di Ichino. Ma anche per altri motivi sentiamo le sue argomentazioni lontane dalla vicenda reale di questa lunghissima vertenza. Ichino raffigura i contratti nazionali come una gabbia nella quale si pretenderebbe, ormai insensatamente, di chiudere regole e retribuzioni uguali per tutti in tutta Italia: «Per rimettere in moto il nostro sistema di relazioni industriali è indispensabile che il suo baricentro si sposti verso le regioni e le aziende». Viva gli integrativi, dunque. Nessun problema da parte nostra a sottoscrivere lo slogan. Se non fosse che ci sono nella realtà giornalistica non poche aziende editoriali nelle quali l'integrativo è solo un bel sogno: la difesa normativa ed economica, per giornaliste e giornalisti, arriva esclusivamente dalla contrattazione nazionale. Cosa deve fare il sindacato? Buttare a mare questi colleghi? O non è principalmente per sostenere loro che esiste un sindacato nazionale (visto che le redazioni più forti sanno egregiamente difendersi da sole)? Ed ancora, a proposito della necessità di «guardare avanti, a ciò che c'è da guadagnare tutti scommettendo insieme sul futuro». Cosa c'è di più carico di futuro, nel giornalismo di oggi, della multimedialità? Abbiamo chiesto ai nostri editori di parlarne: lo sappiamo noi non meno di loro che il progresso tecnologico non può essere ignorato, e che al giornalista di oggi e di domani sono richieste competenze multiple che vanno regolamentate. Neanche di questo vogliono discutere: perché l'unica loro aspirazione è abbassare ancora il costo del lavoro, far proliferare ulteriormente la manodopera precaria che fa pezzi «pagati» 5-8 euro. Del resto, c'è una storia di questi giorni che illustra bene gli obiettivi e lo stile della nostra controparte. E' stata annunciata la sospensione delle pubblicazioni del quotidiano sportivo «Dieci»: i venti e più giornalisti che per tre mesi lo hanno mandato in edicola non hanno visto un euro di stipendio. Della proprietà del giornale fa parte Alberto Donati, responsabile dei rapporti sindacali della Fieg. E' questa la modernità, professor Ichino? Cordiali saluti Paolo Serventi Longhi Segretario Generale Fnsi Da Il Corriere della Sera del 14 giugno 2007