Nelle prossime ore la Federazione Nazionale della Stampa si troverà costretta a proclamare nuove giornate di sciopero che vi priveranno dell'informazione per un lungo periodo. Il motivo è sempre lo stesso: il totale rifiuto degli editori di aprire un tavolo di trattative per il rinnovo del contratto nazionale scaduto ormai da quasi due anni.
Nonostante gli inviti del governo e l'auspicio del presidente Giorgio Napolitano, gli editori sostengono che non ci sono le condizioni per trattare. Dove vogliono arrivare? L'obiettivo economico l'hanno già dichiarato: ridurre del 30 per cento il costo del lavoro giornalistico. Tradotto: tagliare i nostri stipendi. Piangono miseria con la classe politica per chiedere fondi e sovvenzioni (nella Finanziaria sono previste provvidenze per 700 milioni di euro), ma firmano bilanci da cui emerge che il mercato della pubblicità si è rimesso in moto e i guadagni aumentano. Il nostro Gruppo, ad esempio, ha chiuso i conti del 2005 con un utile di oltre 116 milioni di euro, in crescita del 17,7 per cento rispetto all'anno precedente. Il governo, per bocca del ministro del Lavoro Damiano, ha già dichiarato più volte che i tempi per un equo contratto dei giornalisti sono ormai maturi. Ma nulla si è ancora mosso in questo senso, né da parte degli editori — cosa che non ci stupisce — né soprattutto da parte del governo che avrebbe in mano tutti gli strumenti per far aprire d'autorità un tavolo negoziale. Siamo ancora più stupiti che proprio il nostro Gruppo Editoriale, che pretende di avere nella sua cultura la difesa dei diritti delle persone e della dignità del lavoro, non senta l'urgenza di sottolineare la propria distanza culturale dall'ala oltranzista e reazionaria della Fieg che intende soltanto eliminare il problema «contratto». Non è solo una questione di soldi. Gli editori — che in Italia sono banchieri, finanzieri, assicuratori, imprenditori edili, farmaceutici, metalmeccanici, sono la Confindustria, la pubblicità e le telecomunicazioni —puntano a svilire il ruolo stesso dei giornalisti, trasformandoli in passacarte ricattabili per poter gestire le aziende senza controllo, con un rischio concreto anche per la libertà di stampa. Noi, invece, vogliamo poter fare il nostro mestiere con garanzie e regole certe. E reclamiamo che i collaboratori esterni siano retribuiti equamente e rispettati. I giornalisti di Repubblica chiedono quindi un chiaro segnale dall'editore e un passo concreto per dare finalmente il via al negoziato. Il Comitato di Redazione