Migliaia di giornalisti e attivisti dei diritti umani nel mondo nel mirino di governi che avrebbero usato il software Pegasus, dell'israeliana NSO Group, per spiarli illegalmente. A rivelarlo è un'indagine condotta, da 17 testate internazionali, fra cui il Washington Post e il Guardian, dalla quale emergerebbe che la tecnologia sarebbe stata usata anche dal governo ungherese di Victor Orban nell'ambito della sua guerra ai media. Proprio lo staff di Orban, con il Washington Post, replica secco: «In Ungheria gli organi statali autorizzati all'uso di strumenti sotto copertura sono monitorati regolarmente dalle istituzioni governative e non governative. Avete fatto la stessa domanda ai governi degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania o della Francia?».
Il software, nato per consentire ai governi di seguire terroristi e criminali, è un malware che infetta gli iPhone e gli smartphone Android per consentire a chi lo adopera di avere accesso a messaggi, foto, email e anche per attivare segretamente il microfono del dispositivo. La lista dei numeri di telefono segnalati dall'inchiesta su Pegasus non indentifica chi ha deciso l'inserimento dei numeri di telefono o il perché e non è chiaro neanche quanti siano stati i cellulari presi nel mirino o spiati.
Fra i numeri identificati finora dall'inchiesta ci sarebbero quelli di diversi capi di stato e premier. E fra quelli dei giornalisti che compaiono nell'elenco, datato 2016, ci sono reporter di varie testate fra le quali Cnn, New York Times, Wall Street Journal, Financial Times, Voice of America e Al Jazeera. I numeri selezionati sono stati rintracciati in oltre 45 Paesi in quattro continenti. Più di 10.000 numeri in Paesi europei sono stati selezionati dai clienti di NSO, si legge nell'inchiesta.
La società israeliana, colosso del settore, «smentisce in pieno le accuse mosse nei suoi confronti» bollando come esagerate e senza fondamento le conclusioni dell'indagine.
Ferma condanna per «tutti i tentativi di interferire con le comunicazioni private dei giornalisti» arriva dalla Federazione internazionale dei giornalisti, che «incoraggia i reporter a prestare massima attenzione alla protezione dei propri dati e invita i governi a sancire nel diritto nazionale l'inviolabilità delle comunicazioni dei giornalisti».
Per il segretario generale della Ifj, Anthony Bellanger, «il dovere dei giornalisti di proteggere le proprie fonti è il fondamento del giornalismo da cui dipendono le società libere. Il fatto che una tale fuga di notizie sia possibile pone in evidenza i pericoli insiti in un software così potente. Senza una regolamentazione solida – conclude – l'accesso di attori canaglia alle nostre informazioni più intime è inevitabile».