Una persona ha diritto a veder deindicizzati dai motori di ricerca gli articoli che riportano vicende giudiziarie risalenti nel tempo alle quali è poi risultata estranea. Il principio è stato affermato dal Garante per la privacy che ha dichiarato fondati i reclami presentati da due persone ed ha ordinato a Google di rimuovere gli url agli articoli reperibili facendo una ricerca online con i loro nominativi.
Nel primo caso – riporta la newsletter n. 470 del 1 dicembre 2020 dell'Authority –, il nominativo compariva in alcuni articoli di stampa che riferivano di un collegamento tra la società, nella quale la persona prestava la propria attività, e un'altra azienda direttamente coinvolta in un'inchiesta giudiziaria. Nel secondo caso, il nominativo era riportato in articoli riguardanti una vicenda giudiziaria in cui erano coinvolte altre persone. In entrambi gli episodi i reclamanti, che non erano mai stati sottoposti a provvedimenti giudiziari – come confermato dai certificati penali – si erano rivolti al Garante lamentando il pregiudizio personale e professionale derivante dalla permanenza in rete degli articoli e chiedendo la rimozione degli url.
Respingendo le tesi di Google che aveva ritenuto non vi fossero i presupposti per l'esercizio del diritto all'oblio, l'Autorità ha affermato invece che la perdurante reperibilità in rete degli articoli associati ai nominativi dei reclamanti crea un impatto sproporzionato sui loro diritti, non bilanciato da un interesse pubblico a conoscere notizie che non hanno avuto alcun seguito giudiziario a loro carico.
Il Garante ha quindi ordinato a Google la rimozione degli url ed ha disposto l'annotazione nel registro interno dell'Autorità, previsto dal Regolamento Ue, della misura adottate nei confronti del motore di ricerca.