«La battuta d'arresto in sede europea sulla definizione delle norme sul copyright non è una buona notizia per il mondo dell'informazione. Si tratta di un ulteriore cedimento ai giganti della rete, a cominciare da Google e Facebook, che stanno cercando di ostacolare qualsiasi tentativo di regolamentazione che per loro comporterebbe il pagamento di diritti ai produttori dei contenuti e di tasse, a cominciare da quelle sulla raccolta pubblicitaria, ai singoli Paesi». Lo afferma, in una nota, il segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, Raffaele Lorusso.
«Il sindacato dei giornalisti italiani – annuncia Lorusso – sarà in prima linea con la Federazione internazionale dei giornalisti, con gli altri sindacati dei giornalisti dei Paesi europei e con le associazioni di tutte le professioni intellettuali per far sì che si giunga all'approvazione di una normativa che consenta a ciascun produttore di contenuti, a cominciare dai giornali, di ottenere la giusta remunerazione per l'utilizzo del prodotto da parte dei motori di ricerca, che oltre a non pagare alcun diritto, realizzano profitti grazie alla raccolta pubblicitaria e al traffico dei dati personali».
Nessuna meraviglia, incalza Lorusso, «che fra i governi che hanno impedito la prosecuzione della discussione in sede europea ci sia anche quello italiano. Si tratta di un atteggiamento che rientra in una strategia più ampia che punta a cancellare il pluralismo dell'informazione, favorendo la chiusura dei giornali. Non è un caso che, nelle scorse ore, il vicepremier Luigi Di Maio sia tornato a rivendicare come una conquista di civiltà l'azzeramento del fondo per l'editoria, attaccando frontalmente Il Foglio, il Manifesto e Avvenire, guarda caso tre fra le testate che non risparmiano, per ragioni diverse, critiche al governo».
Più che il fondo per l'editoria e il pluralismo, conclude il segretario della Fnsi, «l'unica vera anomalia è quella di un ministro del Lavoro, Di Maio, appunto, che di fatto si compiace per essere l'artefice della perdita di posti di lavoro e dell'aumento del precariato nel settore dell'informazione. Quel precariato di cui lo stesso ministro, in evidente contraddizione con se stesso, vorrebbe discutere ad un tavolo convocando interlocutori incompetenti per materia. Chiara è la finalità propagandistica che la Fnsi non potrà mai assecondare».