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La Fnsi alla manifestazione di Padova
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Manifestazioni 21 Mar 2019

Giornata della Memoria e dell'Impegno, in 50mila a Padova con Libera. Don Ciotti: «Servono leggi più forti»

«Un caro pensiero va ai ragazzi della scuola di San Donato Milanese, a padre Dall'Oglio, a Silvia Romano. Cosi come non dobbiamo dimenticare Giulio Regeni, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La nostra gente ha bisogno di verità », ha detto il fondatore dell'associazione che si batte contro la mafia.

Decine di migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Padova prendendo parte al corteo organizzato da Libera e Avviso Pubblico in occasione della XXIV Giornata della Memoria e dell'Impegno per le vittime innocenti delle mafie. Manifestanti provenienti da tutta Italia, e tra questi moltissimi giovani, hanno attraversato le vie del centro con bandiere e striscioni. In testa al corteo i familiari delle vittime, con le loro foto in mano, don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera. Dietro di loro il prefetto Renato Franceschelli, il sindaco Sergio Giordani, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi. E poi associazioni, sindacati, scuole. In marcia, con lo striscione 'No Bavaglio', anche una delegazione della Fnsi, con il presidente Giulietti e i rappresentanti delle Associazioni regionali di Stampa di Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Liguria.

«In questi giorni un milione di persone in Italia e in Europa, Africa e America Latina si sono mobilitate in oltre 4000 luoghi, parrocchie, associazioni, scuole, università, nelle carceri, negli uffici pubblici, nelle stazioni, nel ricordo delle vittime innocenti delle mafie per la 24ma Giornata dell'impegno e della memoria in ricordo delle vittime innocenti delle mafie», afferma l'associazione Libera.

«Abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti di chi è stato ammazzato, di chi non c'è più e di chi è rimasto solo. Loro sono morti ma per noi sono ancora vivi e le loro speranze devono camminare con noi. È da 163 anni che parliamo di mafie, non è possibile in un Paese civile. Come non è possibile che l'80% dei familiari delle vittime non conosca la verità o parte di essa», dice dal palco don Luigi Ciotti aprendo il suo intervento a conclusione della manifestazione.

«Un caro pensiero va ai ragazzi della scuola media di San Donato Milanese, un pensiero a padre Dall'Oglio di cui da lungo tempo non abbiamo notizie, a Silvia Romano una stupenda ragazza di 30 anni cooperante in Africa. Cosi come non dobbiamo dimenticare Giulio Regeni, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La nostra gente ha bisogno di verità», aggiunge.

«Dobbiamo alzare la voce mentre tanti scelgono un prudente silenzio. Le mafie – ricorda don Ciotti – sono presenti in tutto il territorio nazionale, come dice il rapporto che è stato fatto dal parlamento. Si sono rese più flessibili e reticolate, sono loro che fanno rete e crescono nelle alleanze. Per combatterle servono leggi più forti e categoriche. La mafia è un avversario difficile da scoprire ma dobbiamo essere riconoscenti al lavoro di magistratura e forze di polizia. Non dobbiamo lasciarli soli e la politica deve dare strumenti: ci vogliono meno leggi e più legge nel nostro Paese. E ci vuole una risposta di cittadini responsabili che si assumano la loro parte di responsabilità. La democrazia chiede a ciascuno di noi di fare la sua parte».

Nel pomeriggio spazio agli incontri tematici. Di seguito il resoconto dell'incontro 'Le mafie nel Triveneto, dal passaggio al radicamento'.

Centro Altinate gremito a Padova per 'Le mafie nel Triveneto, dal passaggio al radicamento', seminario tematico di Libera sull'informazione che illumina le opacità contro il malaffare. L'iniziativa è stata introdotta da Lorenzo Frigerio, coordinatore di Libera Informazione, che ha sottolineato come il lavoro giornalistico sia un prezioso strumento di sorveglianza democratica. «Non dobbiamo sostituirci a magistratura e forze dell'ordine - ha premesso - ma rafforzare un ruolo di prevenzione». Tema su cui si è innestato pure il saluto di Guido D'Ubaldo, segretario nazionale dell'Ordine dei giornalisti, che ha marcato la stretta unità con la Fnsi, anche su questo terreno. «Abbiamo scelto insieme la strada della scorta mediatica - ha sottolineato - affiancando i colleghi minacciati costituendoci parte civile, ponendo l'urgenza di una legge contro le querele bavaglio, supportando i giornalisti sotto scorta». Molti tra questi colleghi hanno illuminato vicende di criminalità organizzata, questione particolarmente avvertita in Veneto, soprattutto dopo le incisive indagini coordinate dal procuratore Bruno Cherchi. «Nel nostro territorio - ha rilevato il capo della Direzione distrettuale Antimafia di Venezia - le mafie si pongono in maniera quasi silente, cercando principalmente di riciclare i proventi di pizzo, estorsioni, spaccio e altri reati, magari mettendosi a disposizione di piccole e medie imprese in difficoltà, aprendosi così varchi di penetrazione e radicamento».
Vicende raccontate nei pezzi di cronisti come Monica Andolfatto e Luana De Francisco. Andolfatto, oltre a essere segretaria del Sindacato giornalisti del Veneto, lavora al Gazzettino ed è stata oggetto di minacce da parte dei presunti boss del Veneto Orientale, emerse dalle indagini sulla presenza della camorra, culminate in ben 50 misure di custodia cautelare, una delle quali a carico del sindaco di Eraclea. «Non ho fatto inchieste, ma un lavoro quotidiano di cronaca - ha spiegato - cercando di collegare i nessi tra reati spia, fatti e persone. Questo è un accendere i riflettori sulle zone oscure. Un lavoro delicato, spesso reso più difficile da precarietà e querele temerarie». Lettura consonante con quella di De Francisco, giornalista del quotidiano friulano Messaggero Veneto e coautrice del libro 'Mafie a Nordest' con Ugo Dinello e Giampiero Rossi. «La nostra è un'opera di sintesi e collegamento - ha spiegato - la sensazione è che nel Triveneto spesso le cose possano esserci passate sotto il naso, ma il lavoro d'inchiesta ha fatto innalzare l'attenzione. Preziosa l'opera degli investigatori, che avrebbero necessità di maggiori organici».
Il tema della percezione nelle comunità è emerso pure nella riflessione di Antonio Vesco. «Va superata la retorica della malattia nel corpo sano - ha sostenuto il sociologo dell'università di Torino - i mafiosi sono esseri umani che si muovono come imprenditori e, dunque, entrano nella nostra quotidianità, sfruttando varchi nell'economia, debolezze nel sistema del credito, inquinando le dinamiche del lavoro, trovando ascolto in contesti di apparente normalità. Per questo è importante un impegno collettivo, preventivo e culturale».

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