''Ogni mattina mi sveglio alle 8, guardo le notizie su Internet, prendo la mia macchinina e vado a caccia di notizie. Sono contenta. È da bambina che volevo fare la giornalista sul campo. Poi a sera arriva lo sconforto. Con pochi euro a pezzo, non so mai quello che mi metterò in tasca. Non doveva andare così. Doveva essere flessibilità, non precarietà. Invece ci siamo impantanati. Se non vogliono assumerci, allora ci diano paghe adeguate. Cosa dobbiamo fare di piu?''.
Paola Vescovi, 30 anni, veneziana, volto sorridente e un po' timido, è al Congresso della Fnsi come delegata per i precari.
Tra i pochi giovani presenti, prende coraggio e sale sul palco di Bergamo, per lanciare la sua sfida. ''Il direttore generale della Fieg ieri ci ha detto che dobbiamo essere duttili. Noi siamo già duttili ma, nonostante ciò, veniamo pagati cinque euro lordi a pezzo. Lo dicano questo ai loro figli. Cosa risponderebbero se chiedessero: ''Babbo, perché gli editori pagano così poco?''. Parte qualche applauso, ma la sala è mezza vuota. E Paola ne ha anche per i colleghi.
''Ieri che si discuteva di statuto e bisognava votare la sala era piena, oggi invece che dovremmo occuparci di noi, e parlare dei precari va anche di moda, non c'è nessuno. Le parole però non servono più, servono i fatti. Noi vogliamo il cambiamento, allora facciamolo. Spero che questa sia la volta buona''. Paola scende dal palco, riceve qualche complimento. Sorride, ma negli occhi si può cogliere il timore che esporsi nella sua condizione possa costare caro. Laureata in lettere, è precaria da quasi sei anni, ma tiene duro. ''L'assunzione è una chimera, ma vado avanti. Mi piace scrivere, mi piace raccontare le cose alle gente. Certo, non voglio arrivare così a quaranta anni. Ci sarà un momento in cui dovrò chiedermi: e adesso? Allora forse sarà costretta a rinunciare ai miei sogni e a fare un passo indietro''.
Paola vive da sola, una casa in affitto, con la difficoltà di arrivare a fine mese. ''Finora non ho pensato a fare un
figlio, ma mi pongo la domanda. Come posso tutelare un'altra persona se già io sono in questa condizione? Piangersi addosso però non serve a niente. Occorre mettersi in gioco, contribuire a capire come si risolvono i problemi. Senza creare muri, neanche davanti a chi sta dall'altra parte''. (dell'inviato Michele Cassano) (ANSA)