In prigione. Sì, in prigione. E’ la pena prevista per i giornalisti che pubblicheranno fatti processuali basati sulle intercettazioni telefoniche. Tutto proibito, mentre fino a oggi è autorizzata la pubblicazione dei fatti (non degli atti) già noti alle parti del processo. Questo prevede la cosiddetta legge Alfano, che il Parlamento sta per approvare. Un bavaglio medioevale, un limite alla libertà e al diritto di cronaca, contro il quale manifesteranno la Federazione della stampa e l’Unione cronisti, il 28 aprile, in piazza Navona. Una manifestazione di piazza, perché questa è l’unica arma utilizzabile, a parte lo sciopero che però significherebbe aggiungere altro silenzio, “volontario”, a quello già imposto da un legislatore illiberale.
Ma come si comporteranno i giornalisti quando la legge sarà approvata? Qualcuno dice che verrà impugnata e dichiarata incostituzionale. Ma nel frattempo, è pensabile non dare notizie fino alla fine della fase preliminare, quando il procedimento giudiziario diventa pubblico. E’ possibile che un giornalista serio, che voglia rispettare il proprio dovere di dire la verità (imposto dalla legge professionale) lasci la notizia nel cassetto? Come potrà tacere? Facciamo degli esempi, casi nei quali dai verbali scaturiti in seguito alle intercettazioni emerga un’informazione di interesse pubblico.
Se un giornalista verrà a sapere, da fonte giudiziaria, che venti ragazze sono state invitate a cena dal presidente del Consiglio e qualcuna è stata pagata per trascorrere con lui la notte, lo scriverà o no?
Se un giornalista verrà a sapere, da fonte giudiziaria, che il direttore generale di una famosa società di calcio concordava quali arbitri dovessero dirigere le partite della squadra, lo scriverà o no?
Se un giornalista verrà a sapere, da fonte giudiziaria, che il governatore della Banca d’Italia concordava sottobanco con un banchiere l’acquisto di un istituto di credito, lo scriverà a no?
Se un giornalista verrà a sapere, da fonte giudiziaria, che un alto esponente di un partito si è detto (sempre al telefono) contento che stia per nascere una “nostra banca”, lo scriverà o no?
Se un giornalista verrà a sapere, da fonte giudiziaria, che un imprenditore si è messo a ridacchiare soddisfatto, avendo appreso che a causa di un terremoto la sua azienda sta per essere incaricata di lucrosi appalti, lo scriverà o no?
Dobbiamo desiderare che lo scriva. Altrimenti la libera stampa a cosa si ridurrebbe? Aspettiamo le veline del Minculpop? Il giornalismo italiano è sano e in buona misura libero. E’ impensabile che si riduca ad un manipolo di silenziosi passacarte e vedremo se i giudici vorranno veramente riempire le prigioni di giornalisti. Già da ora l’Associazione nazionale magistrati ha preoccupata per l’illiberaltà della norma, oltre che per la forte diminuzione delle intercettazioni telefoniche come strumenti di contrasto della criminalità.
C’è anche da domandarsi se l’Ordine dei giornalisti applicherà ai trasgressori le disposizioni (sospensione dall’Albo) imposte dal Parlamento. Potrebbe essere la sua fine: è l’organo che deve ribadire e difendere la libertà dei suoi iscritti, come può negarla e reprimerla? La pubblicazione di alcune intercettazioni può essere proibita, perché danneggia persone indifese e innocenti. Ma di altre, entrate negli atti giudiziari, come può l’Ordine accettare e applicare la proibizione?
Staremo a vedere, ma nel frattempo i giornalisti possono ragionare sulla tecnica del proprio lavoro. Ci sono mille modi per pubblicare un’informazione. I cronisti giudiziari li conoscono bene. Fino a oggi era vietato pubblicare il virgolettato del verbale ma si poteva diffondere il contenuto dell’intercettazione (quando non veniva secretato), esattamente allo stesso modo di altri atti giudiziari – compiuti all’interno delle indagini preliminari – che erano ormai a conoscenza delle parti. Ora la nuova legge vieta di pubblicare anche il contenuto e il riassunto. E’ una norma che si può aggirare? L’on. Di Pietro annuncia che i suoi parlamentari leggeranno ad alta voce nelle aule i verbali e le trascrizioni. Chi potrà impedire ad un giornalista di riferire l’accaduto fra i resoconti parlamentari?
E se un cronista scriverà la verità (Esempio: “Moggi concordava gli arbitri delle partite”) chi potrà denunciarlo, condannarlo e imprigionarlo? Avrà fatto il suo mestiere, quello previsto dalla Costituzione. Chi si permetterà di cancellare dalla faccia dell’Italia il giornalismo? Non sembrano domande retoriche. E forse c’è ancora spazio prima di arrivare al disastro. Il Parlamento potrebbe avere uno scatto di lucidità ed evitare di commettere un errore tanto grave. Il Presidente della Repubblica per parte sua ha già detto di avere molto a cuore la questione della libertà di informazione: chissà che non lo ascoltino. E poi ci saranno i giudici, la Corte Costituzionale. E infine la disobbedienza civile, già dice qualcuno. Ai giornalisti liberi non resterà che pubblicare tutti insieme, lo stesso giorno, la notizia proibita. Arriverà il carcere? Un’esperienza utile e in questo caso necessaria.
Disobbedienza civile? O più semplicemente applicazione di una norma (l’articolo 2 della legge del ’69) che confligge con il nuovo bavaglio?
Vittorio Roidi (da http://www.giornalismoedemocrazia.it:80/)