«L'ipotesi di cessione del settimanale L'Espresso non è un affare che riguarda un gruppo editoriale e i giornalisti che vi lavorano, al fianco dei quali la Fnsi sarà schierata in ogni sede, ma deve investire la responsabilità di tutti». Lo afferma Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi.
«Come ha sottolineato il direttore Marco Damilano nel suo articolo di commiato – prosegue – esiste una questione molto più delicata che ha a che fare con il futuro dell'informazione e della democrazia nel nostro Paese. Si tratta di un tema cruciale che la Federazione nazionale della Stampa italiana, nell'indifferenza della quasi totalità dei media italiani, ha cercato più volte, anche con iniziative pubbliche e prese di posizione, di portare all'attenzione delle istituzioni, governo in primis, e degli stessi editori».
A questi ultimi, incalza Lorusso, «è stato più volte proposto di avviare un processo comune di analisi, riflessione e elaborazione di modelli per affrontare l'innegabile crisi di sistema, che ha dimensioni globali, e per governare la cosiddetta transizione al digitale. Purtroppo, continua a prevalere un'impostazione che tende a evitare qualsiasi tavolo di confronto e a concentrare gli sforzi e le risorse quasi unicamente sulla riduzione del costo del lavoro e dell'occupazione. Una visione, sostenuta dai governi che si sono succeduti, che ha soltanto impoverito l'informazione italiana, come dimostrano gli stati di crisi che si sono susseguiti dal 2008 ad oggi».
Ancor oggi, aggiunge il segretario Fnsi, «la maggioranza degli editori italiani – è notizia di qualche giorno fa – continua a reclamare finanziamenti pubblici a pioggia – centinaia di milioni di euro, non spiccioli – per accompagnare alla porta i giornalisti e non certo per sostenere le politiche di investimento e contrastare il lavoro precario che le stesse aziende hanno fatto crescere e proliferare nel corso degli anni. Non è accettabile che il governo assista inerme allo smantellamento del pluralismo dell'informazione italiana e ad una caduta verticale in termini di qualità e di buona occupazione».
Ad essere in gioco, ribadisce Lorusso, «è la qualità della democrazia italiana e la tenuta delle istituzioni. A dispetto – rileva – di una retorica impegnata, di fronte agli attuali scenari di guerra, ad esaltare il ruolo e il lavoro dei giornalisti, nei fatti si lavora per indebolire i mezzi di informazione, assistendo inermi alla chiusura o al ridimensionamento di tante voci libere. Il dibattito di questi giorni, dove per alcuni giornalisti è sufficiente fare bene il proprio lavoro, offrendo chiavi di lettura critica sulla guerra in Ucraina diverse da quelle accreditate dal mainstream, per ritrovarsi messi all'indice o censurati, non lascia intravedere alcuna inversione di tendenza nell'immediato futuro. In fondo, è da sempre il sogno di molti, anche in Italia: una stampa docile e nessuna voce critica. Che questo scenario non ricordi qualcuno?».