Dal Com-Pa di Bologna (8-XI-2007) la Commissione pari opportunità della Fnsi rilancia, insieme con ricercatrici e docenti, la battaglia perché l’informazione esca dai luoghi comuni e racconti le donne così come sono.
Se si parla di “segretaria” di un partito, si pensa all’impiegata; se lo guida, resta “il segretario”. Com’è imbarazzante per i giornali italiani definire Angela Merkel: la Bundeskanzlerin, cioè la cancelliera, termine con cui viene comunemente definita dopo l’elezione a premier in Germania, soggiorna ogni estate in Alto Adige, ma quest’anno su giornali e tv locali ha creato non pochi problemi. Come chiamarla? Il cancelliere, la signora cancelliere, la cancelliera o addirittura, in un’ardita e formale costruzione, “il cancelliere è arrivato accompagnato dal marito”? Quanta strada da fare, nel linguaggio dei media e del paese: “Stereo-TIPE. Luoghi comuni sulle donne dell’informazione”, il convegno promosso dalla Commissione pari Opportunità/Fnsi svoltosi lo scorso 8 novembre al Com. Pa di Bologna, è stato “una stazione di sosta” per la Cpo, come l’ha definito la presidente Marina Cosi. Un momento di riflessione, insieme a docenti universitarie e ricercatrici, per capire come andare avanti nella costruzione di nuovi modelli linguistici e di immagine che riflettano la vera realtà delle donne italiane sui media. Le cui responsabilità sono molto forti, ha ricordato Roberta Corbo, portavoce della sottosegretaria alle Pari Opportunità Donatella Linguiti. E proprio con il “Dipartimento per i diritti e le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio” la Cpo/Fnsi, a conclusione di quest’ultimo mandato sindacale, sta collaborando per diffondere un proprio dvd-documento che sia punto di partenza per riflettere e per combattere gli stereotipi di genere, innanzitutto nelle scuole di giornalismo e poi negli istituti superiori ed ovunque si studino le tecniche della comunicazione. Perché il mondo cambia quando lo cambiano le parole, ha chiarito Cecilia Robustelli, docente di linguistica presso l’università di Modena, illustrando il progetto “Vedere con la lingua- Per un linguaggio che non discrimini le donne”. Troppe le immagini enfatizzate e quindi distorte, ma anche oscuranti: il sostantivo femminile non c’è, quindi quel ruolo non è interpretato da donne. Robustelli invita a sottoscrivere la “Proposta per un uso della lingua italiana rispettoso dell’identità di genere”, indirizzata alla ministra per le pari Opportunità Barbara Pollastrini, per promuovere un’operazione di visibilità della figura femminile attraverso l’adozione del genere femminile per le cariche istituzionali e i ruoli professionali ricoperti da donne. “Ministra sarebbe brutto? Perché, desktop è bello?” provoca Robustelli. Tuttavia alla formazione dello stereotipo non contribuisce certo la sola lingua, ricorda Monia Azzalini, ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia, che dal 2000 svolge ricerche sulla rappresentazione delle donne in tv, evidenziando come proprio quello che “passa” in televisione abbia il potere di accelerare i cambiamenti sociali. La visibilità femminile nei telegiornali non supera il 20% ed il 10% è la quota di partecipazione delle donne ai dibattiti, senza contare che nei due terzi dei casi di cronaca si tratta di “spalle” del protagonista maschile o, peggio, di vittime. In Parlamento le donne sono il 16% e solo il 10% tra loro finisce sugli schermi. Questo contrasta con la realtà delle donne nel mondo dell’informazione, in crescita costante: giornaliste, conduttrici, inviate. Anche se spesso la tv le riconduce alle soft news: istruzione, spettacolo, gossip, mentre gli uomini restano prevalenti in politica, economia, sport. Contro gli stereotipi della donna madre, moglie o velina, bisognerebbe costruire stereotipi “altri” che li combattano, ha proposto Marina Pivetta, giornalista: nelle fiction, nel cinema, nella tv, personaggi di donne vere, ben diversi dagli attuali. Come le manager che, ha segnalato Barbara Borlini dell’università di Milano Bicocca, continuano a fare fatica ad emergere nonostante la loro alta preparazione, con le ragazze migliori dei maschi ad ogni passo della carriera scolastica. Tanto da farle illudere che il riconoscimento del merito possa proseguire oltre le aule scolastiche, che sia cioè un criterio applicato anche negli uffici o nelle fabbriche. Invece quella parità che sembrava scontata, scompare bruscamente quando il confronto con gli uomini avviene sul posto di lavoro. E’ altrettanto vero che le donne che emergono nelle attività professionali tendono ora a rifiutare una vita a 360 gradi che le porti a “dimostrare” – come faceva la generazione precedente e con enorme fatica - la propria eccellenza in ogni settore. Serve a questo punto che il cambiamento negli stili di vita, con servizi adeguati e con la costruzione di una diversa mentalità del rapporto tra uomo e donna, divenga una priorità del Paese. Da dove cominciare? Ovviamente dalla scuola, propone Claudia Padovani, dell’Università di Padova, ricordando però che ad educare è soprattutto la comunicazione: l’esperienza canadese di media education dimostra scientificamente quanto siano i media a costruire la realtà. Da qui la necessità di azioni mirate, ma anche, per quanto riguarda l’Italia, la costituzione di un gruppo misto per l’educazione ai media che operi in tre direzioni diverse: l’educazione scolastica, quella mirata alle diverse professioni della comunicazione e la possibilità di mettere in rete competenze e studi (catalogo delle fonti). C’è poco da stare allegri, sottolinea Elisa Manna, responsabile del settore politiche culturali del Censis, facendo riferimento al libro bianco “Women and media in Europe” della Ue, della cui parte italiana s’è occupata. Un libro che ci segnala, se ancora ce ne fosse bisogno, come in Italia le donne non potranno essere viste diversamente dai modelli usuali finchè non cambieranno gli stereotipi rilasciati dai media. Fondamentale quindi, accanto all’attenzione, è la necessità di «agire a livello normativo, evidenziando (ovunque esse siano o dovunque si possano inserire) tutte le possibili norme a vantaggio della promozione e della valorizzazione delle donne». L’Italia si dimostra l’ultimo Paese nell’attenzione istituzionale a questo tema; la tv di stato olandese ha un dipartimento specifico su donne e media, e in ogni (altro) Paese europeo esistono progetti governativi di ricerca, ha precisato Manna. A suo parere l’unica strada da percorrere è quella di un codice di autoregolamentazione: che, detta così, può sembrare velleitaria; ma per scoprire se lo sia o meno non resta che misurarsi con la macchina istituzionale e cercare alleati per costruirlo assieme. Prima tappa: l’adeguamento del linguaggio istituzionale.