Recep Tayyip Erdogan ancora contro la stampa, questa volta internazionale. A finire nel mirino del presidente turco sono stati il New York Times, la Cnn e la Bbc, accusati da Erdogan, in un intervento sull’emittente televisiva privata Show Tv, di indebolire la Turchia e di volerla disintegrare in base alla linea dettata da quella che ha definito “la mente superiore”.
Le reazioni di Erdogan al New York Times seguono un
editoriale nel quale il giornale criticava le sue recenti azioni mirate a
restringere la libertà di stampa in Turchia e consigliava alla Nato e agli Usa
di agire perché il presidente turco si “allontanasse dal sentiero distruttivo”
che aveva intrapreso.
Per questa presa di posizione del quotidiano americano, il premier turco ha
accusato il New York Times di aver cospirato in passato contro gli ex leader
turchi, come Adnan Menderes e Turgut Ozal. “Volete sapere qual è il loro
obiettivo? - ha detto Erdogan –
Indebolire la Turchia, dividerla e disintegrarla per poi dominarla. Ma non ci
riusciranno. Noi non glielo permetteremo”, ha promesso.
Gli ultimi attacchi sferrati da Erdogan contro il New York Times, la Cnn e la
Bbc seguono il braccio di ferro intrapreso dal presidente turco con la stampa
indipendente o di opposizione, come testimonia l'esposto presentato dal primo
ministro turco nei confronti di Can Dundar (in foto), direttore del quotidiano
Cumhuriyet, sotto accusa per la pubblicazione il 29 maggio di alcune immagini
su un carico di armi dell'intelligence (Mit) destinato ai ribelli siriani.
Lo stesso direttore Dundar, ha scritto su Twitter che il presidente turco vuole
per lui due condanne all'ergastolo. Le accuse nei confronti del giornalista
sono quelle di spionaggio, ''crimini contro il governo'' turco e ''diffusione
di informazioni riguardanti la sicurezza nazionale''.
A difesa di Dundar si sono schierati artisti e intellettuali, tra cui il Premio
Nobel Orhan Pamuk. Quest'ultimo, in dichiarazioni pubblicate da Cumhuriyet, ha
sostenuto che la libertà di stampa è una parte ''essenziale'' della democrazia.
''La democrazia non può essere sacrificata'', ha quindi affermato Pamuk
esprimendo la sua solidarietà a Dundar.
Sempre nell'ambito della polemica con il New York Times, invece, si inserisce
la revoca da parte di Erdogan della cittadinanza onoraria di Gaziantep, cittadina
della provincia meridionale della Turchia al confine con la Siria, a Stephen
Kinzer, firma del giornale americano e per quattro anni corrispondente da
Ankara. L'onorificenza gli era stata concessa per aver realizzato, 15 anni fa,
un reportage che aveva permesso di salvare decine di mosaici romani del sito
archeologico locale. Erdogan lo ha definito "un nemico del governo turco e
del Paese".
Il 'Committee to Protect Journalists', organismo che ha sede negli Usa, ha
preso posizione contro Erdogan, intimandogli di mettere fine al suo
"bullismo" contro i giornalisti.
TURCHIA, EDITORIALISTA HURRIYET: “PER ERDOGAN GIORNALISTI SONO TRADITORI. LINGUAGGIO FORTE È STRATEGIA ELETTORALE”
I giornalisti turchi e internazionali sono solo l'ultima categoria ad apparire nella "lista personale dei traditori" stilata dal presidente Recep Tayyip Erdogan". Così Ozgur Korkmaz, editorialista del quotidiano Hurriyet, commenta i recenti attacchi di Erdogan alla stampa e in particolare a Can Dundar, direttore del quotidiano Cumhuriyet, per il quale è stato chiesto l'ergastolo per la pubblicazione di immagini su un carico di armi destinato ai ribelli siriani.
"Nel corso degli anni - dice Korkmaz in un'intervista ad Aki-Adnkronos International - molti media turchi sono saliti sul carro del vincitore, diventando alleati e sostenitori dell'Akp (il partito del presidente, ndr). Erdogan è uno che prende tutto molto sul personale, ecco perché tutti gli altri media e giornalisti sono diventati per lui traditori".
Si tratta anche, secondo l'editorialista, di una questione di linguaggio. "Erdogan usa contro gli 'altri', cioè contro tutti quelli che la pensano in modo diverso dal suo, parole molto forti: terroristi, immorali, traditori, golpisti". Un linguaggio che, secondo Korkmaz, ha dato i suoi frutti alle elezioni del 2011, quando gli avversari di Erdogan erano accusati di essere golpisti della rete 'Ergenekon' e del presunto complotto 'Martello'. "Golpe è una sorta di parola magica per Erdogan - dice l'editorialista - se la usa, convince i cittadini che l'unica forza anti-golpe è l'Akp".
Oggi, in vista delle elezioni di domenica, la lista dei nemici si è allungata. Ai terroristi, allo "stato parallelo", alla "Pennsylvania" (termine che Erdogan usa per riferirsi all'imam Fethullah Gulen, che vive nello stato Usa, e alla sua potente setta Hizmet), alla "diaspora armena", si sono aggiunti i media nazionali e i più grandi network stranieri, "tutti membri, secondo le parole di Erdogan, di una grande cospirazione internazionale contro la Turchia", spiega Korkmak.
La verità, secondo l'editorialista, è che il presidente turco sta mostrando negli ultimi anni la sua vera faccia. "Quando l'Akp è salito al potere - spiega - appariva molto diverso. Si faceva promotore delle libertà, che in effetti in quel periodo erano molto limitate in Turchia, soprattutto sul piano religioso ed etnico. Ha quindi cominciato ad attuare riforme apprezzate all'interno e dalla comunità internazionale", che ha cominciato a indicare Erdogan come un modello di coesistenza tra Islam e democrazia.
"Ma con il tempo - conclude Korkmaz - è emerso che l'Akp e i suoi sostenitori vogliono le libertà solo per sé stessi, solo quelle libertà a cui sono interessati. Per loro, libertà è portare il velo islamico e andare in moschea. Così tutte le altre riforme promesse si sono arenate e il mito di Erdogan riformatore è crollato". (AdnKronos/Aki - Ankara, 4 giugno 2015)