Indirizzo di saluto del Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Franco Siddi, al Signor Presidente della Repubblica Italiana, chiar.mo Dott. Prof. Giorgio Napolitano, in occasione dell’Udienza al Palazzo del Quirinale per la consegna dei diplomi ai vincitori del 41° Premio Saint Vincent di Giornalismo. (in Roma il 28 settembre ’06)
Illustrissimo Signor Presidente della Repubblica, Signore e Signori, nel porgerLe il più caloroso saluto della Federazione Nazionale della Stampa Italiana in questa circostanza lieta, che per noi è anche la prima occasione di incontro ufficiale con Lei, sento di doverLe chiedere la cortesia di scusarmi se non mi è possibile essere oggi particolarmente brillante. Questo infatti è il cinquecentosettantottesimo giorno senza contratto dei giornalisti italiani, che si vedono negare non solo il rinnovo ma qualsiasi confronto negoziale dagli editori. Questa circostanza tuttavia non impedisce a tutti noi di celebrare, con la consegna dei Premi di giornalismo Saint Vincent, prestigioso riconoscimento della qualità del lavoro giornalistico attraverso un premio che ha l’età della nostra Repubblica, l’eccellenza di una professione sottoposta a tanti attacchi e insidie. Premiamo giornalisti di valore, che hanno onorato e recano lustro alla professione, alcuni di gran nome e molto conosciuti altri meno noti ma testimoni significativi del nostro tempo, presenti nel tessuto vero della società che cambia. Non voglio solo ricordare i pericoli e i rischi di una professione esposta e spesso sovresposta, nei teatri di guerra come in casa nostra. I morti e i feriti per guerra o per mafia sono tanti, troppi per non cogliere che fare informazione leale e rigorosamente aderente alla realtà sia una condizione che disturba manovratori e portatori di interessi molto particolari. A loro va il nostro permanente omaggio e per questo il nostro impegno, da soggetto sociale organizzato, professionale e sindacale, è permanente sulla frontiera dell’affermazione della dignità del lavoro del giornalista e del suo rispetto per un’informazione libera e plurale. Ma ci sono anche altre insidie poco considerate eppure molto delicate. Penso soprattutto al fatto che nella società italiana sembra non si riesca avvertire la responsabilità che ricade su una categoria particolare di lavoratori. Tutti i lavoratori hanno diritto a veder riconosciuta la propria dignità e i propri diritti materiali e morali in relazione alla loro opera. Ma i giornalisti, lavoratori dell’informazione, hanno una particolare responsabilità: quella di essere il tramite attraverso il quale l’opinione pubblica fonda le sue scelte libere, che devono essere libere per definizione in una società come la nostra che si vuole democratica. Chi condiziona i lavoratori dell’informazione è in grado di determinare in proprio favore l’opinione pubblica. La vicenda delle intercettazioni illegali evidenzia quanto sia necessario recuperare appieno la consapevolezza dei diritti e delle responsabilità dei doveri pubblici. Denunciare manipolazioni, corruzione, misfatti, attraverso la ricerca leale e onesta della verità è compito che non può essere precluso all’informazione. Allo stesso tempo ad essa è chiesto di non farsi strumento di ricatti e di non abusare, violandoli, dei diritti di ogni persona alla propria dignità. La Costituzione, non a caso, ha tutelato il bene dell’informazione (art. 21), ma l’esercizio di questa tutela è tuttora gracile o talvolta incerta in questa società, tanto che solo in modo erratico l’informazione riesce a assolvere alla funzione di contropotere cui storicamente è chiamata nel mondo occidentale democratico. E’ una funzione che deve essere assolta nella consapevolezza di una condivisione di regole di garanzia e ruoli da costruire e ribadire ogni giorno. C’è un compito per i giornalisti, ce n’è uno per gli editori, ce n’è uno per le Istituzioni. Il contratto è e deve rimanere la carta della dignità del lavoro e dell’autonomia professionale; la carta di riferimento e di reciproca garanzia in corretto rapporto impresa-lavoro. Un nuovo contratto dei giornalisti è oggi rivendicato dalla Federazione della Stampa per chi ha già un’occupazione in qualche modo regolata e per le migliaia di precari massicciamente impiegati e minimamente considerati. I contratti di lavoro, che come Lei ha ammonito più volte, devono essere fatti alla loro scadenza e non abbandonati da una delle parti, come sta accadendo da molto tempo, tanto da costringere la categoria, già da domani, a nuove azioni di sciopero, che non sono un divertimento. Oggi a noi sta particolarmente a cuore una riflessione sul ruolo degli editori, sulle imprese dell’informazione, sulla loro responsabilità sociale e culturale. Non c’è dubbio che gli editori debbano sentirsi liberi e rendere i giornalisti liberi, quale che sia la loro attività imprenditoriale di provenienza (costruzioni piuttosto che banche e finanza, telecomunicazioni piuttosto che energia o chimica). L’adozione dello statuto dell’impresa editoriale dovrebbe essere un obiettivo comune per un’informazione più libera in un mercato dell’informazione libero e plurale. Sarebbe necessario un lavoro nuovo, un’impresa culturale e civile, attraverso un laboratorio di alta rappresentatività con la partecipazione dei soggetti produttori (imprese e lavoratori) e delle Istituzioni, per definire lo statuto dell’autonomia dell’impresa editoriale che preservi come valore primario il contenuto editoriale sopra ogni altro interesse. Tutto questo ha e deve avere grande rilevanza per tutti, anche per i giornali monumento perchè quando si schierano nessuno pensa che vengano meno alla loro conclamata indipendenza. Lo statuto dell’impresa editoriale è, quindi, l’altra grande sfida (accanto all’urgenza primaria del contratto di lavoro) che dovrebbe chiamare le parti sociali e le Istituzioni ad una coraggiosa opera di convivenza per la costruzione di avanzati e stabili equilibri di sistema. Ecco, il contratto, strumento naturale delle corrette relazioni industriali, e lo statuto dell’autonomia editoriale, individuato come carta delle garanzie di sistema, sono i terreni da coltivare con pazienza e lungimiranza. A questi strumenti e riferimenti di garanzia, di equilibrio, di responsabilità vanno affiancate opportune leggi di riforma del sistema in direzione di un serio, riconosciuto e riconoscibile pluralismo, nel senso del messaggio del Suo predecessore che Lei, Signor Presidente, ha fatto proprio e rilanciato con forza in occasione del recente incontro estivo con i colleghi della stampa parlamentare. Una riflessione va fatta sull’equilibrio tra le risorse della carta stampata e le televisioni ma anche sui poteri di controllo e determinazione intorno alle reti della comunicazione: sono le nuove, essenziali, strade della conoscenza e del sapere, devono essere accessibili con parità di condizioni per chiunque abbia contenuti da far viaggiare. In conclusione, Signor Presidente, mi sia consentito di tornare ancora al tema del lavoro, oggi troppo spesso offeso e fonte di ansie, preoccupazioni, difficoltà per migliaia di giovani, per le famiglie, anche nel nostro settore. La precarietà dicono sia una condizione delle società moderne sviluppate, ma non è una condizione accettabile se è permanente e se appare priva di futuro. Ancor meno lo è se questo futuro è negato da chi vuol sfuggire alla propria responsabilità sociale per realizzare profitti facili e plusvalenze. I lavoratori tutti non sono scambiabili come una qualsiasi operazione di borsa. I giornalisti italiani, nella loro dimensione associativa professionale e sindacale, hanno imparato a fare i conti con questa realtà e per questo rivendicano oggi nuove equilibrate intese contrattuali. Novemila giornalisti vivono di lavoro autonomo con meno di settemila euro l’anno (dati ufficiali dell’Istituto di Previdenza). Nell’editoria i contratti a termine, precari, nell’ultimo quadriennio sono aumentati del 72%. Disegnare, insieme come parti sociali, un futuro per l’intero sistema dell’editoria, in termini di impresa e di lavoro, significa non bloccare lo sviluppo nel nome del libero mercato ma favorirne la reale crescita e il corretto rapporto con le attese di un Paese che attraverso le sue carte fondamentali sulla libera informazione può contare su un pilastro essenziale della sua civiltà. Fra pochi giorni celebreremo il sessantesimo anniversario del primo congresso della Federazione della Stampa di nuovo libera dopo il tragico ventennio fascista. Sessant’anni fa a Palermo i giornalisti, che furono i primi a ricostruire la loro organizzazione sindacale all’indomani della caduta di Mussolini, e cioè già dalla mattina del 26 luglio ’43, ripresero in uno storico congresso a Palermo i fili di un impegno storico che recuperava la tradizione di libertà e di democrazia del giornalismo italiano coniugandola con la faticosa ripresa del Paese. Oggi la Federazione della Stampa continua ad operare, nonostante tutte le difficoltà con un saldo ancoraggio al proprio terreno professionale, rivendicando e difendendo autonomia e diritti nel rispetto delle responsabilità che le competono. Crediamo di essere stati uno strumento di crescita per la categoria e, per la nostra parte, per il Paese. Chi immagina una società italiana ridotta all’atomismo ha in mente una società di consumatori e non di cittadini. Ecco, noi, Signor Presidente, vogliamo essere sempre nelle condizioni di risultare testimoni fecondi della società nella convinzione che i diritti di cittadinanza di tutti si affermano e sono riconosciuti quando ogni cittadino è correttamente informato. E vorremmo che anche in futuro ci fossero giornalisti così validi, testimoni delle imprese dell’uomo e della vita del mondo, protagonisti di un giornalismo onesto e libero come quelli che premiamo oggi: Candido Cannavò, “Premio Montanelli , testimone del secolo”, alla carriera, grande direttore e scrittore, eccellenza di un giornalismo sportivo che nella sua dimensione più vasta non è intaccato da scandali ed è impegnato a contenere pressioni improprie, a Federico Rampini che da anni firma grandi reportage che ci hanno reso vicini e noti mondi lontani eppure assai vicini per i nostri destini, premio Saint Vincent di giornalista dell’anno alle colleghi e ai colleghi vincitori delle sezioni specifiche per la qualità e il rigore del proprio lavoro. Vorremmo poter lavorare non da soli ma insieme, proponendo e ascoltando, ricercando, sostenendo e confrontando le idee e le opportunità migliori di progresso, libertà e giustizia perché altri giornalisti capaci possano emergere e perché editori di nuovo illuminati permettano loro di cercare e raccontare le notizie di pubblico interesse con il giusto sostegno morale e materiale.