''Svendere la professione giornalistica significa svendere la libertà di espressione, deprezzare la verità e la critica sociale preferendole agli spot e alle notizie fast-food. Per questo siamo solidali con i giornalisti che vanno nuovamente, con sofferenza, allo sciopero contro le irricevibili pretese contrattuali degli editori e chiediamo che l'Unione inserisca nel suo programma l’abrogazione della legge 30''.
Lo sostiene Sergio Bellucci Responsabile nazionale dipartimento comunicazione e innovazione tecnologica del Partito della rifondazione comunista. Spiega Bellucci che ''l'informazione non è merce, non è neutra, è un bene comune indisponibile, non negoziabile. Un bene comune - sia nel privato che a maggiore ragione nel servizio pubblico, sia come diritto a comunicare sia come diritto ad accedere alle informazioni - irriducibile a merce, a scambio politico o pubblicitario, a contrattazione di mercato, perché porta con sé valori culturali e della conoscenza, di critica e pluralismo su cui si forma e cresce la collettività. Noi ci opponiamo a questo ennesimo tentativo di asservire il giornalismo italiano alle logiche di mercato e di imprese che niente hanno a che fare con il mondo dell'editoria. E' necessario - conclude - che la politica si faccia carico dei destini professionali culturali e sociali del nostro Paese, armonizzando le istanze dei giornalisti e degli operatori della comunicazione a un complessivo ripensamento delle politiche di welfare''. (ANSA - 4 novembre 2005)