Il giornalista Rino Giacalone è stato condannato dalla Corte di Appello di Palermo alla pena pecuniaria di 600 euro, oltre al pagamento delle spese di tutti i gradi del giudizio, per aver diffamato un boss mafioso deceduto. «Rispettiamo la sentenza della Corte di Appello di Palermo – spiega in una nota la Federazione nazionale della Stampa italiana – come ogni altra pronuncia dell'autorità giudiziaria. Non possiamo non segnalare, tuttavia, come questa decisione desti enormi perplessità. Come ebbe ad osservare il giudice di primo grado, appare evidente l'intento pedagogico e tutt'altro che diffamatorio che connota la sineddoche provocatoriamente utilizzata da Rino Giacalone. Suscita grande stupore, inoltre, il fatto che la Corte di Appello abbia ritenuto di non pronunciarsi circa la questione di costituzionalità della pena carceraria per il reato di diffamazione, ritualmente sollevata dai difensori del giornalista».
I legali del collegio difensivo del blogger trapanese (Domenico Grassa, Enza Rando, Carmelo Miceli, Giulio Vasaturo) hanno già anticipato la loro volontà di impugnare anche questa decisione, non appena ne saranno rese note le motivazioni. «Se necessario, siamo pronti a ricorrere sino alla Corte europea dei diritti umani», spiegano gli avvocati.
La Fnsi, insieme con Libera e Articolo21 organizzerà un incontro per rinnovare, anche in vista dell'udienza ormai imminente (11 e 12 aprile 2020) della Corte costituzionale, l'esigenza di ridefinire integralmente la fattispecie di diffamazione a mezzo stampa, risalente all'epoca fascista.