Foto sconvolgenti, tanto sconvolgenti che davanti ci sono dei pannelli con teli bianchi, sorta di schermi che permettono a chi non vuole di non vederle. È la mostra "Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura, a Milano da oggi all'8 marzo all'ex fornace Gola, Alzaia Naviglio Pavese, 16.
L'iniziativa è stata presentata stamani nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta nel sede dell'Associazione Lombarda dei giornalisti/Circolo della Stampa di Milano. Scioccante la testimonianza dell'attivista siriano Mazzn Alhummada, sopravvissuto alle torture dopo essere stato incarcerato mentre stava portando latte in polvere nei sobborghi assediati di Damasco, il 15 marzo 2012. Il reato: manifestazione.
Mazzn, attivista e fondatore, insieme ad altri colleghi, di un giornale online, The press news, ha raccontato il suo inferno nelle carceri siriane e poi anche nel famigerato ospedale militare Branca 601, dove non si andava per guarire ma per morire. Dalla "festa di benvenuto" nelle carceri, dove i detenuti vengono picchiati con i calci di fucile o coi tubi di gomma rigida – "mi hanno spaccato tutte le costole", ha raccontato Mazzn Alhummada – agli abusi sessuali, alle torture con elettricità e acqua bollente, alla sospensione per le braccia alle uccisioni sommarie, alle condizioni inimmaginabili delle celle, spesso causa esse stesse di morte: tutto questo è stato ricordato in prima persona dall'attivista siriano.
Annunziata Marinari, di Amnesty International, ha poi raccontato i numeri agghiaccianti delle vittime del regime. Amnesty, ha detto, stima che almeno 18mila dissidenti siano stati incarcerati e torturati dal 2011 ad oggi e che siano almeno 60mila i desaparecidos. Molti di loro sono passati per le carceri di Sydnaya, vicino a Damasco, ormai tristemente famose per i più efferati crimini contro l'umanità.
Caesar, colui che ha scattato le migliaia di foto di corpi torturati e uccisi, tra cui quelle in mostra a Milano, è un ex ufficiale della polizia militare siriana incaricato di documentare quanto accedeva nelle carceri che si è ribellato al regime e per un certo tempo ha svolto il suo lavoro di fotografia trafugando poi le stesse foto e portandole all'esterno, prima di fuggire via dal Paese. Ha così fornito al mondo le immagini che denunciano la situazione dei detenuti siriani e ha anche permesso a numerose famiglie di identificare i corpi dei loro cari scomparsi.
Tra i promotori della mostra, organizzata da Celim – Impact to change e associazione Zeppelin, con la collaborazione della Alg, anche la Fnsi e Articolo 21.
«La Federazione nazionale della Stampa – ha ricordato durante la conferenza stampa Anna Del Freo, segretario aggiunto Fnsi e vicepresidente Alg – ha aderito a questa iniziativa anche perché quasi tutti questi prigionieri sono in carcere solo per avere manifestato le proprie opinioni o averle scritte e diffuse: sono attivisti, intellettuali, studenti, gente che ha manifestato per la democrazia. Tra loro anche numerosi nostri colleghi giornalisti».
L'inaugurazione vera e propria della mostra avrà luogo domani, venerdì 3 marzo, alle 19.