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Cpo-Fnsi 22 Nov 2006

No alla violenza: il 25 novembre notti rosa si accendono in tutta Italia, appello della Cpo a giornaliste/i

In occasione della "giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne", il 25 novembre (risoluzione Onu n. 54/134 del 17 dicembre 1999), si tengono numerose iniziative pubbliche in tutto il Paese.

In occasione della "giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne", il 25 novembre (risoluzione Onu n. 54/134 del 17 dicembre 1999), si tengono numerose iniziative pubbliche in tutto il Paese.

L'intento è accendere l'attenzione su un fenomeno intollerabile per qualsiasi comunità civile. Conferenze, rappresentazioni teatrali, incontri con le scuole, ma anche "feste" pubbliche si moltiplicheranno lungo la penisola. Molte di queste iniziative vedono protagoniste attive le giornaliste, assieme alle donne degli altri sindacati, ad associazioni democratiche e a centri antiviolenza. Da qui l'appello della Cpo/Fnsi a tutti i colleghi, giornaliste e giornalisti, perchè diano il massimo risalto all'annuncio ed alla cronaca degli eventi, sottolineandone in particolare le convergenze e le solidarietà. A Milano, Torino, Genova, Bologna,... la scelta è stata di accendere di rosa la notte del 25 per sconfiggere simbolicamente ogni buio, mentre altrove (Roma, Brescia,...) si preferirà invece manifestare in pieno giorno per ricordare come sia proprio nella banalità del quotidiano domestico che si perpetra il maggior numero di violenze sulle donne. Molte anche le associazioni di uomini che hanno scelto di aderire, consapevoli che dalla violenza o si esce tutti assieme, tutta la società, oppure non si può sperare in un futuro pacificato. Quel che segue è il documento uscito dall'assemblea di Milano (ricordiamo che nel capoluogo lombardo l'iniziativa di sabato 25 si terrà, con musica e spettacoli, nella simbolicissima Stazione Centrale, lato est, a partire dalle ore 21), recependo un anno sia di riflessioni sulla necessità di uscire dal silenzio per non arretrare , sia di battaglie su temi specifici e trasformando le une e le altre in proposte. Di valenza generale, ma anche locale. Attendendo con impazienza dal Parlamento la promessa legge contro le violenze (stalking incluso) ossia una "parola pubblica"... Documento approvato dall’assemblea di Usciamo dal silenzio del 26 ottobre 2006 La violabilità del corpo delle donne sta dentro la nostra storia e tutte le storie, è tutt'uno con la nascita della nostra civiltà e di tutte le civiltà. Ecco perché oggi chiediamo alle istituzioni una parola pubblica che riconosca questo punto di partenza, che spezzi un silenzio insopportabile, che rifugga dalla facile scorciatoia dello scontro di civiltà. Le donne non vogliono essere vittime per sempre. La legge sulla violenza sessuale del 1996 che ha segnato una svolta nel costume e nel diritto recuperando un ritardo storico del nostro paese, è ascritta al pensiero e alla pratica politica delle donne. Dieci anni dopo sono ancora soltanto le donne a farsi carico di questo tema, mentre ci è chiaro che la violenza sta dentro il rapporto tra gli uomini e le donne tanto nella loro relazione intima quanto sulla scena pubblica e richiede parola di entrambi. L'allargamento della cittadinanza alle donne è infatti tutt'ora imperfetto e continua a convivere con l'idea di un femminile corpo vile, da proteggere, controllare, tutelare. Combattere la violenza manifesta chiede allora di snidare la cultura che la produce, incarnata nelle istituzioni, nella morale, nelle religioni, nelle tradizioni, nelle usanze familiari e comunitarie, ma anche e soprattutto negli habitus mentali sedimentati dal millenario dominio maschile. E' la stessa cultura che si esercita anche ai danni delle donne lesbiche nella vita quotidiana, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, di studio fino a giungere ai casi drammatici della cronaca. Il fatto che l'amore tra donne non sia protetto dal rispetto sociale espone le donne omosessuali ad un rischio aggiuntivo di violenza e sopraffazione. La parola pubblica che noi sollecitiamo non è quella che si spende con facilità nelle emergenze "estive" sbandierate dai media, ma deve essere iscritta nell'agenda istituzionale con la centralità che la questione della violenza ha nella vita delle persone. La sua assenza o inadeguatezza è infatti lo specchio della distanza tra la politica e la società. Il nostro paese è oggi abitato da uomini e donne che arrivano da culture e tradizioni le più diverse. Costruire una convivenza che condivida, in questo tempo e in questo spazio, i principi costituzionali e l'idea della libertà femminile che ha principio nell'inviolabilità dei nostri corpi è il cammino di cui ci sentiamo protagoniste insieme alle donne straniere che nel nostro paese devono essere padrone di se stesse, dunque in condizione di esercitare i diritti di cittadinanza. In questo percorso ci saranno difficoltà e contraddizioni, ma non devono costituire un alibi per occultare dietro la categoria dello scontro di civiltà il nodo conflittuale del rapporto tra i sessi che attraversa invece tutte le culture. Sta alla responsabilità del governo, che sollecitiamo, riconoscere qui e adesso la radice del problema e la sua urgenza, e dare luogo e voce nello spazio pubblico ad azioni di cambiamento a cominciare da un segnale forte e simbolicamente inequivocabile di assunzione del tema della violenza. Da questa visuale accogliamo positivamente il progetto del Ministero delle pari opportunità di costituire un Osservatorio nazionale sulla violenza di genere. Pensiamo sia un primo passo, ma che per avere utilità concreta e senso simbolico debba nascere con requisiti precisi, facoltà decisionale e disponibilità di spesa. Il primo fondamentale requisito è che l'osservatorio sia un luogo delle donne, delle competenze delle donne, delle associazioni delle donne italiane e straniere, aperto a tutte le interlocuzioni ma con questa fisionomia. Guardiamo come a un serio pericolo che nasca invece come luogo di rappresentanza delle comunità nazionali o religiose o come incontro tra esperti fintamente neutrali. L'osservatorio potrà e dovrà essere uno dei motori principali di elaborazione di politiche e azioni positive che abbiano a tema la diffusione nel nostro paese di una cultura che tenga al centro la libertà femminile e la costruzione di una convivenza civile tra i sessi. Sensibilizzare, prevenire, tutelare, progettare sono i verbi che scegliamo per dire come l'azione pubblica debba rispondere a esigenze molteplici che riguardano la sfera dell'educazione, della formazione, della socialità, del diritto e avere, insieme, l'ambizione di un nuovo disegno di convivenza. Tra le persone, nei luoghi, nelle nostre città che vogliamo più vivibili e aperte. Per questo motivo, con l'incrocio delle competenze della nostra assemblea, abbiamo formulato proposte più specifiche che riguardano questi ambiti: tutte insieme - le troverete negli allegati - concorrono all'idea che la parola pubblica sul tema della violenza sulle donne sia indifferibile e debba essere all'altezza della nostra domanda. - Allegato numero 1 - La tutela, il diritto Tutelare una serie di diritti e vittime di ogni tipo di violenza richiede una serie di interventi, tra i quali segnaliamo la necessità di promuovere la formazione del personale dei servizi, delle organizzazioni e degli uffici pubblici. Alle vittime deve essere infatti garantito l'effettivo diritto a ottenere dai servizi sociali sostegno psicologico, fisico e di accoglienza; a usufruire di consulenze legali gratuite, presso centri istituiti in sedi pubbliche e di godere dell'esenzione delle spese giudiziarie; a ottenere, nell'ambito dell'attività lavorativa, agevolazioni come l'esonero da lavori svolti in condizioni di isolamento o il cambiamento di reparto o di mansioni. Pensiamo assai utile per un'efficace tutela delle vittime che le forze dell'ordine, i magistrati e gli avvocati siano specializzati o comunque adeguatamente formati in relazione a questo tipo di reati. Alle pubbliche amministrazioni chiediamo di garantire la possibilità di accedere ad alloggi protetti, in particolare per le vittime di violenza nell'ambito familiare, e di sostenere con finanziamenti i centri antiviolenza già esistenti. Infine pensiamo necessario garantire l'effettivo funzionamento dei sistemi giudiziari di protezione e sicurezza della vittima (allontanamento del colpevole, se convivente nella famiglia della vittima, e divieto di ritornare nell'abitazione; divieto di avvicinare la vittima di violenza, sessuale e non, o di disturbo nel domicilio, nel luogo di lavoro o in qualunque luogo essa si trovi; sospensione del porto d'armi, ecc.) . Nell'ambito penale riteniamo assolutamente inutili gli aumenti di pena, considerati il minimo edittale previsto, la possibilità di aumenti per le aggravanti comuni e specifiche e la possibilità di diniego delle attenuanti generiche. Guardiamo invece con favore ad una previsione più ampia delle pene accessorie, in particolare di tipo interdittivo o comunque "atipico" a modello di quelle che si vanno largamente diffondendo in altri Paesi (divieti di partecipazione a particolari attività o iniziative anche dopo l'espiazione della pena; prestazione di lavori a beneficio della comunità anche dopo l'espiazione della pena o nei periodi di sospensione o riduzione della pena. Riteniamo inoltre improponibile il ricorso a riti particolarmente rapidi (giudizio direttissimo o immediato) di cui si è prospettata l'obbligatorietà, incompatibili da un lato con la procedibilità a querela - rispettosa dell'autodeterminazione della donna e prevista dalla legge del 1996 come esito di una approfondita discussione fra associazioni femminili, fra esperti di diritto e in ambito parlamentare - e dall'altro con le indagini particolari (esame DNA, perizie e così via) che spesso si rendono necessarie in questa tipologia di reati. Benché il movimento delle donne abbia sempre osteggiato modifiche normative dirette ad ampliare l'area degli illeciti penali, riteniamo che l'introduzione di nuovi reati per gli atti di vera e propria persecuzione (il c.d. stalking) potrebbe essere giustificata dalla necessità di disporre di strumenti di intervento immediato, quali misure cautelari o interdittive, applicabili nel nostro ordinamento solo in ipotesi di reati che prevedono la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Sarebbe comunque indispensabile, per un verso, individuare in modo specifico la condotta penalmente rilevante e, per altro verso, non prevedere minimi di pena per evitare che siano applicate sanzioni sproporzionate in relazione alla molteplice varietà delle situazioni che in concreto si possono verificare. Pensiamo utile la possibilità, per il giudice, di imporre l'applicazione di programmi di rieducazione e trattamento psicologico in carcere e non, considerata l'alta probabilità di recidiva degli imputati di reati di violenza sessuale molto spesso - a loro volta - vittime, nella minore età, di violenza sessuale. Infine sollecitiamo la necessità di prevedere la costituzione di parte civile, con il consenso della vittima, di associazioni senza scopo di lucro, costituite da almeno tre anni, la cui finalità sia la tutela dei diritti delle donne. - Allegato numero 2 - La parola pubblica La parola pubblica e l'osservatorio rappresentano il segnale essenziale che determina la discontinuità politica che sollecitiamo: sappiamo tuttavia che progettare e realizzare la civile convivenza tra uomini e donne non avverrà per decreto ma attraverso trasformazioni profonde, costantemente sollecitate e sostenute e in sinergia con i soggetti sociali. Sarà un primo, rilevante segno del cambiamento dar corso ad una campagna culturale diffusa sul territorio nazionale, duratura nel tempo, articolata a seconda dei destinatari, progettata in dialogo con il movimento e le associazioni delle donne. Una campagna istituzionale che sia un insieme di azioni e interventi sul piano della sensibilizzazione e dell'educazione e che sceglie per sé l'ottica della prevenzione piuttosto che un'attitudine meramente repressiva. Individuiamo l'educazione e la pubblicità come i campi in cui le azioni di sensibilizzazione potranno essere più articolate, efficaci e fondative di un cambiamento. Una campagna di sensibilizzazione e di educazione si articolerà sui seguenti punti: 1. l'educazione al rispetto del corpo e dell'integrità delle donne deve svolgersi sull'arco dell'intero sistema scolastico, pubblico e parificato, a partire dalla scuola materna fino all'università, secondo modalità e metodi congruenti alle varie età. I principi costituzionali che dichiarano l'uguaglianza e la pari dignità, l'assenza di "distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione e orientamento sessuale," sono il fondamento al quale ci riferiamo e vanno affermati e trasmessi nei luoghi della socialità delle persone attraverso i molteplici strumenti che la comunicazione mette a disposizione. 2. la pubblicità deve rispettare la dignità del corpo delle donne, le immagini non devono proporne un uso discriminatorio e reificato. Devono essere previste strumenti e sedi di regolamentazione, autoregolamentazione e controllo che risultino efficaci. 3. la formazione specifica e l'aggiornamento professionale devono essere promosse presso operatori e operatrici nel sistema scolastico, sanitario, giudiziario e di sicurezza. Un programma in questo senso dovrà essere finalizzato al rispetto della dignità e dell'inviolabilità del corpo femminile, all'accoglienza e all'assistenza delle donne in condizione di difficoltà, al riconoscimento dei segnali della violenza e dell'abuso. - Allegato numero 3 - La città Le iniziative di sensibilizzazione e prevenzione così come quelle di carattere giuridico possono non essere sufficienti se non si modifica il luogo e l'ambiente in cui le donne vivono e lavorano nella vita di tutti i giorni. La violenza di genere si combatte, infatti, oltre che con l'educazione e la formazione, anche attraverso processi di socializzazione, forme dinamiche di convivenza tra persone e dunque attraverso un miglioramento qualitativo delle città. Realizzare il progetto di "città vivibile per le donne" è per noi un segno essenziale di cambiamento rispetto al passato senza il quale è difficile pensare di realizzare un'azione integrata dei diversi livelli di intervento contro la violenza sessuale. "La città vivibile" che auspichiamo è una città che progetta e tutela con le donne la sicurezza del lavorare, di realizzare liberamente la propria vita nell'amore, nella maternità, nella produzione di pensiero, nelle relazioni sociali. E' una città, soprattutto, ridisegnata dalle donne, indicando cambiamenti e trasformazioni. Sicurezza, in ogni caso, non vuol dire colonnine sos antistupro ai semafori o più forze dell'ordine che pattugliano le strade. Secondo noi la città sicura non è una città chiusa, punitiva, segregante, ma è una città viva e aperta. Sosteniamo pertanto nelle premesse e nelle proposte la mozione fatta approvare dalle consigliere dell'Unione al consiglio comunale di Milano. Sarà importante attivare una serie di assemblee nei vari quartieri dove le associazioni delle donne italiane e straniere sul territorio, in raccordo con gli uffici competenti dei Consigli di zona e dei Comuni, realizzino la mappatura delle zone maggiormente a rischio nei quartieri per suggerire aree di pericolo e proposte di intervento. In particolare chiediamo strade illuminate, mezzi di trasporto capillari e funzionanti fino a tarda notte oltre a programmi di formazione su tematiche specifiche come la violenza sessuale contro le donne degli autisti dei mezzi pubblici; chiediamo che nei parcheggi ci siano aree di utilizzo "preferenziale" per le donne, fermate di cortesia di taxi con tariffe concordate in orari notturni per le donne, una maggiore diffusione e efficienza dei radiobus. Accanto a questi interventi preventivi basilari, riteniamo che la città vivibile e sicura per le donne sia anche una città dove le famiglie siano luogo di affetti e relazioni scelte e non subite nella chiusura dei segreti e dei silenzi. La maggior parte delle violenze sessuali si consumano in famiglia: dunque è necessario sviluppare i servizi per la collaborazione con le famiglie, a cominciare dalla cura dei bambini e degli anziani, e per quanto riguarda le famiglie straniere, allargare la mediazione culturale nei consultori come nei luoghi dell'educazione. Più in generale, bisogna aumentare gli spazi di socialità e i luoghi di aggregazione e di incontro per le donne di tutte le culture e tradizioni. E non solo per le donne: perché il progetto di città vivibile che abbiamo l'ambizione di realizzare pone in primo piano la creazione di sempre maggiori occasioni di scambio e confronto culturale così come di iniziative, spettacoli, intrattenimenti come presupposto essenziale per una più civile forma di convivenza tra persone e di rispetto tra i sessi.

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