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Internazionale 28 Set 2007

Myanmar, uccise nove persone. E' caccia al giornalista, testimone pericoloso

Dura prova di forza della giunta militare al potere in Myanmar, che ha bloccato le nuove manifestazioni di protesta con una repressione nella quale sono rimaste uccise almeno nove persone, fra cui un giornalista giapponese. E questo mentre gli occhi della comunità internazionale sono sempre più puntati sull'ex Birmania e tutto il mondo si prepara ad indossare domani una maglietta rossa in solidarietà con la popolazione

Dura prova di forza della giunta militare al potere in Myanmar, che ha bloccato le nuove manifestazioni di protesta con una repressione nella quale sono rimaste uccise almeno nove persone, fra cui un giornalista giapponese. E questo mentre gli occhi della comunità internazionale sono sempre più puntati sull'ex Birmania e tutto il mondo si prepara ad indossare domani una maglietta rossa in solidarietà con la popolazione

La popolazione era scesa in strada senza i monaci buddisti che dieci giorni fa avevano dato l'avvio alla protesta. I bonzi sono stati in gran parte arrestati mercoledi' nel corso di raid notturni: a quanto è stato riferito, alcuni monasteri sono rimasti completamente vuoti, i monaci picchiati violentemente nel cuore della notte e portati via su camion dai soldati. Secondo alcuni testimoni, le porte dei monasteri sono state distrutte, i vetri delle finestre frantumati e gli interni saccheggiati e devastati. L'annuncio delle vittime odierne, che vanno ad aggiungersi a quelle di mercoledi' per un totale provvisorio di 15 morti, è stato dato in serata dalla televisione ufficiale birmana, controllata dalla stessa giunta che ha fatto sapere, da parte propria, di ritenere di stare comportandosi con 'moderazione' nei confronti dei manifestanti, definiti dei 'provocatori'. Fra le nove persone uccise c'é anche la prima vittima straniera, un cameraman giapponese di 50 anni che lavorava per l'agenzia video-giornalistica nipponica Apf. Kenji Nagai, questo il nome dell'uomo, è deceduto a causa di colpi d'arma da fuoco, sparati sulla folla 'a scopo intimidatorio' dopo che le forze di sicurezza avevano lanciato un ultimatum, intimando ai manifestanti di disperdersi. L'organizzazione Reporter senza frontiere (Rsf) ha fatto sapere di essere "inorridita" dalla notizia della morte del collega giapponese. Secondo fonti ospedaliere locali, vi sarebbero almeno altre tre persone ferite da proiettili, mentre la televisione ufficiale birmana ha annunciato che nove dimostranti (fra cui una donna) e 31 uomini delle forze dell'ordine sono rimasti feriti negli scontri. Nonostante la dura repressione che ricorda ormai sempre di più la protesta di studenti risalente a vent'anni fa e sedata nel sangue con un bilancio di oltre 3.000 vittime, la popolazione birmana non ha rinunciato a scendere di nuovo in strada, sostituendosi al rosso corteo di monaci. Sfidando il divieto di raduno imposto dalla giunta e decisi a ribellarsi a 45 anni di duro regime militare, i manifestanti a Yangon sono stati almeno 50.000, in gran parte giovani e studenti. "La folla ha lanciato mattoni, bastoni e coltelli verso le forze di sicurezza" che "non hanno avuto altra scelta che procedere ad alcuni spari di avvertimento" ha detto la televisione ufficiale. Nel corso degli scontri sono state arrestate almeno cento persone, costrette a salire sui camion militari, mentre la folla si disperdeva nascondendosi nelle strade vicine. Con il tramonto e l'entrata in vigore del coprifuoco è tornata la calma a Yangon, anche se i testimoni hanno riferito che in serata sporadici colpi d'arma da fuoco ancora riecheggiavano per la città. La protesta contro il regime è continuata nel frattempo anche in altre località del Paese: secondo l'Asian human right commission, associazione che ha sede a Hong Kong, vi sarebbe stata un'affollata manifestazione nella città costiera di Sittwe e vari incidenti nel corso di scontri con le forze dell'ordine a Pakokku, Mandalay e Moulmein. Sul fronte internazionale, l'Onu appare bloccato sulla decisione di nuove sanzioni, ma l'inviato del Palazzo di Vetro Ibrahim Gambari ha ottenuto il visto di ingresso nel Myanmar, e gli Stati Uniti hanno annunciato l'imposizione di misure contro i 14 componenti della giunta militare. Il pugno di ferro levato negli ultimi due giorni contro i pacifici dimostranti del Myanmar ha frattanto scatenato nel mondo una serie di manifestazioni contro le ambasciate birmane in vari paesi, Giappone in primis. Fra le iniziative di solidarietà nei confronti della popolazione birmana, si è diffuso via internet in tutto il mondo l'invito ad indossare nella giornata di domani una maglietta rossa per fermare la violenta repressione delle proteste. E' CACCIA AL GIORNALISTA, TESTIMONE PERICOLOSO E' un giornalista giapponese la prima vittima straniera della repressione in atto nel Myanmar. Si chiamava Kenji Nagai, aveva 50 anni e lavorava per l'agenzia video-giornalistica nipponica Apf. E' stato ucciso questa mattina da colpi d'arma da fuoco sparati dalle forze di sicurezza, mentre stava documentando gli scontri in atto per le strade dei Yangon fra gli agenti e le decine di migliaia di dimostranti che anche oggi, per il decimo giorno consecutivo, hanno dato vita ad una pacifica protesta. Un testimone che ha assistito alla scena dall'alto del Traders Hotel (uno degli edifici più alti di Yangon) ha riferito che a un certo punto gli agenti hanno aperto il fuoco contro la folla, colpendo anche il giornalista straniero, il cui corpo è stato poi trascinato via e caricato su un veicolo militare. Fonti ospedaliere di Yangon hanno poi confermato che Nagai è deceduto in seguito a ferite da arma da fuoco. In serata, la giunta ha informato ufficialmente l'ambasciata giapponese a Yangon che un cittadino nipponico era stato ucciso oggi nel corso delle manifestazioni contro il regime. Proprio ieri, le Nazioni Unite e la Ue avevano lanciato un appello per la sicurezza degli operatori dell'informazione in Myanmar. Più che dei cortei di protesta, più che dei monaci buddisti, il regime di Yangon ha infatti paura dei media. Da sempre la giunta militare ha posto enormi restrizioni all'operato dei giornalisti, imbavagliando la stampa locale e negando quasi sempre il visto agli operatori stranieri dell'informazione. I militari cercano con ogni mezzo di impedire che le notizie su quanto sta accadendo escano dal paese. Molti blog sono stati oscurati e diverse linee di cellulari sono state tagliate, rendendo sempre più difficile la diffusione via internet di quelle immagini delle proteste in atto, che nei giorni scorsi hanno fatto il giro del mondo. Parallelamente, il regime ha scatenato la caccia ai giornalisti stranieri: due reporter giapponesi, Kazuya Endo della Kyodo e Koji Hirata del Chunichi Shimbun, sono stati scortati all'aeroporto da autorità del governo e hanno dovuto lasciare ieri il paese, mentre a quanto ha denunciato l'associazione internazionale per la libertà di informazione (Information Safety and Freedom, Isf) il brigadiere generale Kyaw Hsan, ministro dell'Informazione, ha organizzato oggi rastrellamenti stanza per stanza negli hotel del centro di Yangon, alla ricerca di giornalisti stranieri entrati nel Myanmar con visto turistico. In giornata erano circolate voci di un giornalista tedesco ferito o ucciso, ma la notizia non ha trovato questa sera conferma a Berlino. "Abbiamo ricevuto diverse richieste di informazioni ma non siamo in grado di confermare questa notizia" ha detto all'Ansa un portavoce del ministero degli esteri di Berlino, secondo il quale da ore nella capitale regna il coprifuoco, e quindi è molto difficile trovare conferme sul campo. (ANSA)

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