L'inviato di guerra Lorenzo Bianchi in diretta telefonica da Baghdad racconta la sua esperienza al Consiglio nazionale
“Il Consiglio nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in corso nella giornata di oggi 10 aprile, è stato percorso da una forte emozione. Durante il dibattito è arrivata per telefono dalla capitale irachena la voce dell’inviato di guerra del Gruppo Riffeser, Lorenzo Bianchi, consigliere nazionale del Sindacato dei giornalisti catturato dalla polizia irachena oltre una settimana fa, assieme ad altri sei colleghi italiani, e trattenuto per giorni contro la sua volontà nell’Hotel Palestine di Baghdad. Il collega Bianchi ha raccontato le ore concitate dell’arresto a Bassora e della drammatica giornata del bombardamento americano contro l’Hotel Palestine che ha procurato la morte di due colleghi portando la lista dei reporter uccisi a dodici in tre settimane di guerra. “Volevo salutare tutti quanti, ringraziare tutti per questo interessamento che mi commuove molto - ha detto Lorenzo Bianchi - stiamo tutti bene, abbiamo avuto un periodo abbastanza difficile perché non potersi muovere, non potere uscire, non potere fare neanche un passo fuori dall’albergo è stata una condizione abbastanza esasperante e soprattutto era esasperante non riuscire a capire quale sarebbe stato il nostro destino. Ci hanno trattato sempre con molto rispetto però continuavano a rinviare e a dire ‘domani decideremo, domani decideremo’; nel frattempo purtroppo alcuni colleghi americani erano stati rapiti, erano spariti, non se ne sapeva più nulla e sicuramente tutto ciò ha contribuito ad aumentare l’ansietà. Invece poi si è saputo che erano stati espulsi, il ministro dell’informazione ha prefigurato lo stesso esito anche per noi. Eravamo andati a Bassora così semplicemente per cercare di fare quello che dovrebbero fare i giornalisti, dare delle testimonianze indipendenti rispetto alle notizie ufficiali che i comandi militari danno anche per orientare l’opinione pubblica nella maniera a loro favorevole sulla base di dati che non sono esattamente quelli veri. A Bassora è successo proprio questo: si diceva che la città fosse parzialmente controllata dalla coalizione anglo-americana, si diceva che si stava trattando la resa della 51.a divisione della Guardia repubblicana, invece quando noi, anche con molta fortuna, abbiamo passato questa quasi invisibile linea di demarcazione tra il territorio degli inglesi e quello degli iracheni abbiamo trovato che tutta la città era ancora tutta nel pieno controllo degli iracheni. Naturalmente gli iracheni non hanno gradito molto che fossimo entrato senza visto, il nostro era tecnicamente un reato punibile da tre mesi a sei anni, però ci hanno tenuto sempre in alberghi prima allo Sheraton di Bassora poi al Palestine di Baghdad, dove c’erano quasi tutti gli altri colleghi stranieri. I nostri angeli custodi sono stati poi meno rigorosi di quello che avrebbero dovuto, perché ci hanno consentito di stare anche nella hall e parlare con gli altri giornalisti, mentre da quello che abbiamo capito l’input del direttore generale del ministro dell’Interno era che dovessimo stare solo in stanza. E’ stato molto duro non potere comunicare con le famiglie, è stato molto duro non potere raccontare fin quasi alla fine la storia incredibile che vedevamo con i nostri occhi. Siamo rientrati in possesso dei nostri passaporti lo stesso giorno dell’arrivo nel centro di Baghdad di una colonna del primo corpo di spedizione dei marines. E’ stato il giorno che è coinciso con il nostro ritorno alla libertà, con il ritorno a fare il nostro mestiere”.