CERCA
Cerca nelle notizie
Dal
Al
Cerca nel sito
Fnsi 30 Mar 2003

Guerra in Iraq: forti malumori fra i giornalisti al fronte e altrove, regole più restrittive per gli inviati

Guerra in Iraq:forti malumorifra i giornalistial fronte e altrove,regole più restrittiveper gli inviati

Guerra in Iraq:
forti malumori
fra i giornalisti
al fronte e altrove,
regole più restrittive
per gli inviati

Cresce il malumore su tutti i fronti della guerra dell'informazione. A Baghdad, le autorità irachene annunciano regole più restrittive per i giornalisti, che dopo il bombardamento del palazzo del ministero dell'informazione a Baghdad, ora sono stati tutti raccolti in un albergo, il Palestina. Ma anche i generali Usa limitano l'uso dei telefoni cellulari dei giornalisti «incastonati» nei reparti che operano in Iraq. Proteste arrivano dal centro stampa del Comando centrale alleato a Doha e intanto Al-Jazeera, la tv satellitare panaraba che sta raccontando la guerra dalla parte degli arabi, difende la sua linea contro le proteste di Londra e Washington e annuncia che non intende censurare le immagini, anche quelle più forti. Il segretario generale del ministero dell'informazione iracheno, Uday al-Tay, annuncia un «nuovo codice di condotta» per la stampa, che serve, dice, «per garantire la sicurezza dei giornalisti». D'ora in poi, i giornalisti stranieri che sono a Baghdad (circa 350) non potranno girare per la città senza essere accompagnati da funzionari del governo e devono comunicare marca, targa e il nome dell'autista delle auto che utilizzano. I giornalisti non potranno inoltre prendere i taxi per strada: possono chiamarli solo dall'hotel. In nessun caso possono avventurarsi fuori dalla città. I comandanti statunitensi al seguito delle truppe Usa che si trovano attualmente nel centro dell'Iraq hanno vietato l'uso di alcuni telefoni cellulari (i Turaya, sistema GPS)): la motivazione ufficiale, il rischio che il segnale possa essere rintracciato dal «nemico». Si assicura che l'ordine non è inteso a limitare la copertura informativa delle operazioni militari. Ma l'effetto sarà comunque che non si riuscirà a dare notizie in tempo reale dal fronte. Nel quartier generale alleato di Doha, in Qatar, dove sono accreditati circa 700 giornalisti di tutto il mondo, il malumore è ormai sempre più tangibile ed è stato chiaramente verbalizzato qualche giorno fa da un reporter del «New Yorker»: «Perchè mai dovremmo stare qui? A che cosa ci serve quello che veniamo a sapere in questa sala stampa da un milione di dollarì?». L'opinione diffusa è che i comandi militari diano pochissime informazioni e per giunta tagliate politicamente: un fenomeno definito «political spin»: dare solo le notizie che possano mettere in buona luce l'operato, in questo caso, di chi sta facendo la guerra. Inoltre, contrariamente all'onnipresente generale Schwarzkopf nella prima guerra del Golfo (1991), l'attuale comandante delle operazioni alleate, generale Tommy Franks, si è presentato ai giornalisti solo un paio di volte. «Sta guidando una guerra», dicono i suoi collaboratori in risposta alle proteste dei giornalisti. Ma anche «l'orso» Schwartzkopf conduceva una guerra. Molti giornalisti ritengono che responsabile di questa tattica verso i giornalisti sia il responsabile del media centre: Jim Wilkinson, ex portavoce del Comitato Nazionale dei Congressisti Repubblicani. Un politico, dunque, nominato dalla Casa Bianca. Quindi, secondo un noto giornalista del «Washington Post», Alan Sipress, più un PR che un portavoce. Il risultato è che a Doha si finisce il più delle volte col confermare notizie già arrivate dai giornalisti sul campo o dal Pentagono, condite però da affermazioni di taglio più politico che militare. Di cui spesso i giornalisti, che cercano dettagli sulle operazioni militari in corso, non sanno che farsene, perchè coperte o dai colleghi al fronte o da quelli che lavorano a Washington. In questo quadro Al-Jazeera appare quasi un esempio di libertà di stampa: «Penso che il pubblico abbia il diritto di vedere tutti gli aspetti della guerra», dice Jihad Ballour, da quartier generale dell'emittente, anch'esso a Doha. Il portavoce di al-Jazira nega le accuse di parzialità: «Non non siamo schierati con nessuna parte, nè con nessuna ideologia, Noi stiamo facendo il nostro lavoro nel modo più professionale possibile», dice. Ma le immagini dei bombardamenti, dei civili straziati, dei bambini uccisi dai missili e dei soldati statunitensi e britannici uccisi o presi prigionieri, di fatto smentiscono ad ogni fotogramma la tesi della guerra di liberazione. «Se viene percepito uno sbilanciamento, esso dipende solo dal diverso accesso alle immagini» tra al-Jazera e i network occidentali, dice Ballour. Se gli americani e i britannici dessero ai loro giornalisti maggiore accesso ai fatti, argomenta Al-Jazeera, «ci sarebbe certamento più copertura sul terreno di quanto ne produce la parte Irachena». Al-Jazeera arriva a 35 milioni di case nel mondo arabo. In Europa, l'audience si è raddoppiata (8 milioni) nel corso della prima settimana di guerra. La Tv del Qatar fornisce anche una copertura informativa del conflitto israelo-palestinese mai vista sulle reti occidentali e l'ha fatta da padrona nel corso della guerra in Afghanistan, anche con la diffusione di diversi messagi di Osama Bin Laden e altri leader della rete alQaeda e del regime dei Taleban. L'amministrazione Usa è molto critica: «Tendono a dare un'immagine del nostro operato in una luce negativa» ha detto qualche giorno fa il segretario alla difesa Colin Powell. Ma lo stesso giorno, proprio Powell è stato intervistato da Al-Jazeera e ha potuto spiegare alle masse arabe le ragioni degli Stati Uniti in questa guerra. (AGI)

@fnsisocial

Articoli correlati