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Fnsi 30 Mar 2003

Guerra in Iraq: la battaglia dei comunicati e delle smentite

Guerra in Iraq: la battaglia dei comunicati e delle smentite

Guerra in Iraq: la battaglia dei comunicati e delle smentite

Tra la coalizione Usa-GB e gli iracheni non c'è solo un rumoroso e crudele conflitto con missili, bombe e cannoni. Una seconda guerra, meno cruenta e più silenziosa, ma non per questo meno feroce, si svolge anche a colpi di parole e di penna. E' la guerra delle dichiarazioni e dei comunicati, che ognuna delle parti diffonde per dimostrare alle proprie truppe o al mondo esterno che le cose stanno andando a gonfie vele, e alla quale la parte avversa ribatte immediatamente con smentite più o meno ufficiali, che hanno lo scopo esattamente opposto. La coalizione sostiene che nella battaglia di Najaf ha fatto strage di 650 iracheni? I locali subito smentiscono, sottolineando che anche i giornalisti che hanno visitato immediatamente dopo il campo di battaglia a circa 150 chilometri a Sud di Bagdhdad non hanno visto che alcune decine di cadaveri. Ma lo stesso sistema sembra essere adottato dalla parte avversa: oggi fonti ufficiali irachene hanno detto di aver abbattuto un caccia Harrier a decollo verticale (e di averne anche recuperato delle parti), un elicottero corazzato Apache e di aver distrutto quattro carri della coalizione dando poi sepoltura ai loro equipaggi «in conformità ai loro riti religiosi». Poche ore dopo, ecco puntuale la smentita del comando americano dove si sostiene che nessun elicottero o caccia manca oggi all'appello. Il comando Usa sostiene di aver centrato con bombe 'intelligenti' la sede del partito Baath di Bassora durante una riunione di 200 esponenti del partito? Del tutto falso, ribattono gli iracheni. Negli ultimi giorni le smentite sono state pane quotidiano per i responsabili dell'informazione di entrambe le parti belligeranti: dalla ribellione della popolazione di Bassora data per garantita dalla tv britannica Sky Tv e subito bollata per falsa dalle autorità irachene («solo qualche dimostrazione per mancanza di acqua potabile»), alla smentita data in prima persona dal re Abdallah II di Giordania per sostenere la falsità delle voci che davano truppe della coalizione transitate in Iraq attraverso il confine est del suo Paese. Ma nel balletto delle affermazioni e delle smentite entrano spesso anche attori estranei alla scena della battaglia: Washington continua da giorni a sostenere che la Russia ha di recente fornito 'sottobanco' a Baghdad armi che non avrebbe potuto vendere a causa dell'embargo Onu; Putin ribatte che non è affatto vero, e che se qualcosa di recente è stato trovato nelle mani degli iracheni si tratta solo di apparecchi non 'bellici', come i visori notturni in libera vendita anche nei mercatini di Mosca e nei negozi occidentali di caccia e pesca. Ma Mosca non si limita a smentire: anche in conversazioni dirette sul 'telefono rosso' con Bush, Putin rilancia le accuse al mittente, sostenendo che sono stati invece proprio Usa e Gran Bretagna a fornire di recente armi e tecnologie all'Iraq attraverso industrie compiacenti che avrebbero esportato anche materiali 'sensibili', come una partita di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. Per finire, nella guerra delle smentite è entrata anche una delle figlie del vicepresidente americano Dick Cheney. Voci circolate a Washington davano per certo che una delle figlie del politico Usa era sul punto di partire dalla Giordania per unirsi agli scudi umani rimasti a Baghdad. Cheney si è visto costretto a intervenire attraverso una dichiarazione ufficiale del suo portavoce secondo cui «nè Elizabeth, nè Mary hanno in programma di andare nella regione, e meno che mai in Iraq». Massimo Bozzo (Ansa)

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