CERCA
Cerca nelle notizie
Dal
Al
Cerca nel sito
Cpo-Fnsi 25 Nov 2008

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne La Commissione Pari Opportunità della Fnsi: “Ci vuole una informazione attenta e senza pregiudizi” Il decalogo della Ifj

Ci sono donne che subiscono violenza due volte. Non solo tra le mura di casa, sul luogo di lavoro, in realtà estreme di guerra ed emarginazione; ma anche attraverso il racconto che se ne fa sui mezzi di informazione, quando questi non sanno utilizzare sensibilità e rispetto privilegiando elementi “forti” e d’impatto sul pubblico. Per il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la Ifj, organizzazione che raccoglie i giornalisti di tutti i paesi, ha preparato una Raccomandazione sulle modalità di fare informazione sul tema, con un vero e proprio decalogo alla cui stesura ha collaborato Marina Cosi, rappresentante della Fnsi nel Gender Council della Ifj.

Ci sono donne che subiscono violenza due volte. Non solo tra le mura di casa, sul luogo di lavoro, in realtà estreme di guerra ed emarginazione; ma anche attraverso il racconto che se ne fa sui mezzi di informazione, quando questi non sanno utilizzare sensibilità e rispetto privilegiando elementi “forti” e d’impatto sul pubblico. Per il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la Ifj, organizzazione che raccoglie i giornalisti di tutti i paesi, ha preparato una Raccomandazione sulle modalità di fare informazione sul tema, con un vero e proprio decalogo alla cui stesura ha collaborato Marina Cosi, rappresentante della Fnsi nel Gender Council della Ifj.

Identificare la violenza inflitta alle donne con precisione, utilizzare un linguaggio esatto e libero da pregiudizi –ad esempio sostituendo il termine “sopravvissuta” a quello di “vittima”- utilizzare il massimo del rispetto, ma anche difendere la riservatezza della protagonista, e collocare la violenza nel proprio contesto, con statistiche e informazioni anche utili sul come difendersi in casi analoghi. Elementi minimi di una sensibilità necessaria ad affrontare casi di cronaca che purtroppo sembrano troppo “normali” o rischiano di trasformarsi nel resoconto dell’ennesimo delitto, troppo spesso annunciato. La Commissione Pari Opportunità della Fnsi, rilanciando la necessità a colleghe e colleghi di seguire con attenzione gli elementi di rispetto e professionalità contenuti nella Raccomandazione, ricorda che, come denuncia Amnesty International, la violenza domestica è una delle prime cause di morte e invalidità per le donne europee tra i 16 e i 44 anni e secondo l’Oms una donna su quattro nel mondo ha subito violenze sessuali nel corso della propria vita. Ma ci sono violenze anche non fisiche (cioè psicologiche ed economiche), che si traducono nell’emarginazione, nel disprezzo, nella mancanza di cittadinanza per tutte le donne. E chi lavora nell’informazione, non soltanto nel corso della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, deve ricordarsene e lavorare perché questi fenomeni progressivamente si riducano e vengano messi socialmente all’indice. In attesa che siano la storia e la cultura a cancellarli. Lucia Visca- Presidente Cpo Fnsi Donatella Alfonso – Coordinatrice Cpo Fnsi Raccomandazioni della Federazione internazionale dei giornalisti – Ifj - per l’informazione sulla violenza contro le donne 1. Identificare la violenza inflitta alle donne in maniera esatta attraverso la definizione internazionale inclusa nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 circa l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne. 2. Utilizzare un linguaggio esatto e libero da pregiudizi. Ad esempio, uno stupro o un tentato stupro non possono venire assimilati ad una normale relazione sessuale; inoltre il traffico di donne non va confuso con la prostituzione. I giornalisti dovranno riflettere sul grado di dettagli che desiderano rivelare. L’eccesso di dettagli rischia di far precipitare il reportage nel sensazionalismo. Così come l’assenza di dettagli rischia di ridurre o banalizzare la gravità della situazione. Evitare di colpevolizzare in qualche modo la persona sopravvissuta alla violenza (“se l’è cercata”) o di far intendere che è responsabile degli attacchi o degli atti di violenza subiti. 3. Le persone colpite da questo genere di trauma non sempre desiderano venir definite “vittime” , a meno che non utilizzino esse stesse questa parola. Venir etichettati può infatti far molto male. Un termine più appropriato potrebbe essere “sopravvissuta”. 4. Un reportage responsabile implica l’assunzione dei bisogni della sopravvissuta anche al di là dell’intervista. E’ opportuno che l’intervistatrice sia una donna. Il luogo dell’intervista dev’essere sicuro e riservato, nella consapevolezza che può innescare un dramma sociale. Sta ai media evitare di esporre la persona intervistata ad ulteriori abusi: certi comportamenti ne possono mettere a rischio la qualità della vita e la posizione in seno alla comunità d’appartenenza. 5. Trattare la sopravvissuta con rispetto. Informandola cioè, in maniera completa e dettagliata, circa i soggetti citati nel corso dell’intervista e le modalità d’utilizzazione dell’intervista stessa. Le sopravvissute hanno il diritto di rifiutarsi sia di rispondere alle domande sia di divulgare informazioni ulteriori rispetto a quelle che desiderano rivelare. Il giornalista deve lasciare alla persona intervistata le proprie coordinate, per permetterle di ritornare in contatto se lo desidera o ne ha necessità. 6. L’uso di statistiche e informazioni sull’ambito sociale permette di collocare la violenza nel proprio contesto, entro una comunità o un conflitto. I lettori e gli spettatori hanno bisogno di un’informazione su larga scala. Utilizzare l’opinione di esperti, come quelli dei DART (Centri post-traumatici), amplifica la comprensione del pubblico e fornisce informazioni precise ed utili, contribuendo a sconfiggere l’idea che la violenza contro le donne sia una tragedia inesplicabile e irrisolvibile. 7. Raccontare la vicenda per intero: spesso i media isolano degli incidenti specifici e si concentrano sul loro aspetto tragico. Sarebbe invece conveniente mostrare anche come la violenza s’iscriva in un problema sociale ricorrente, proprio d’una guerra o della storia d’una comunità. 8. Difendere la riservatezza: fra i doveri etici dei giornalisti c’è la responsabilità di non citare i nomi o identificare i luoghi la cui identificazione potrebbe mettere a rischio la sicurezza e la serenità delle sopravvissute e dei loro testimoni. Una posta particolarmente importante allorché i responsabili della violenza sono forze dell’ordine, forze armate impegnate in un conflitto, funzionari di uno stato o d’un governo o infine membri di organizzazioni potenti. 9. Utilizzare le fonti locali: i media che assumono informazioni da esperti, organizzazioni di donne o territoriali su quali possano essere le migliori tecniche d’intervista, le domande opportune e le regole del posto otterranno buoni risultati ed eviteranno situazioni imbarazzanti o ostili; come ad esempio che un cameraman o un giornalista s’introducano in spazi appartati. Da qui l’utilità d’informarsi precedentemente su costumi e contesti culturali locali. 10. Fornire informazioni utili: un reportage che citi recapiti e coordinate degli intermediari, delle organizzazioni e dei servizi d’assistenza svolge una funzione utile e spesso vitale nei confronti delle sopravvissute, di testimoni e loro familiari, ma anche di tutte le altre persone che potranno venire colpite da un’analoga violenza.

@fnsisocial

Articoli correlati