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Contratti 09 Mar 2006

Fnsi: “Da 382 giorni i giornalisti sono senza contratto di lavoro" Si è aperta stamattina la Conferenza nazionale dei Cdr con la relazione del segretario della Fnsi che ha proposto di scioperare in campagna elettorale

“Una giornata di sciopero generale dei giornalisti dipendenti, freelance e collaboratori, prima delle elezioni politiche del 9 e 10 aprile; La relazione del segretario generale Paolo Serventi Longhi ha aperto stamattina la Conferenza nazionale dei Cdr riunitasi assieme al Consiglio nazionale della Fnsi a Roma. Alla relazione del segretario che ha proposto uno sciopero da effettuarsi a breve sono seguiti numerosi interventi dei rappresentanti dei Cdr: la decisione sulla data dello sciopero sarà presa probabilmente nel primo pomeriggio.

“Una giornata di sciopero generale dei giornalisti dipendenti, freelance e collaboratori, prima delle elezioni politiche del 9 e 10 aprile; La relazione del segretario generale Paolo Serventi Longhi ha aperto stamattina la Conferenza nazionale dei Cdr riunitasi assieme al Consiglio nazionale della Fnsi a Roma. Alla relazione del segretario che ha proposto uno sciopero da effettuarsi a breve sono seguiti numerosi interventi dei rappresentanti dei Cdr: la decisione sulla data dello sciopero sarà presa probabilmente nel primo pomeriggio.

Care colleghe, cari colleghi, Ritengo che abbiamo il dovere, tutti quanti, oggi, di essere rapidi ed allo stesso tempo molto franchi tra noi, di dirci quello che realmente pensiamo senza tatticismi o retro pensieri. Per questo abbiamo deciso di convocare tutte le strutture del nostro Sindacato, sia quelle elette dal Congresso sia quelle espressioni dei corpi redazionali, ed abbiamo invitato gli esecutivi di tutti gli organismi della categoria. Il rinnovo contrattuale con la Fieg non c’è, dopo 382 giorni da quando è scaduto, né è prevedibile una rapida conclusione del negoziato, che abbiamo tentato in ogni modo di avviare sui temi che l’insieme dei giornalisti e del Sindacato unitario hanno posto nella piattaforma rivendicativa. I giornalisti italiani sono stati chiamati finora a sette giorni di sciopero, tutti attuati con successo nel 2005, ed adesso sono chiamati a decidere il futuro di questa vertenza e, molto probabilmente, il futuro del giornalismo così come lo conosciamo. Un giornalismo che, nel nostro Paese, è fondato su una organizzazione del lavoro di tipo collettivo, redazionale, con direttori-giornalisti che dovrebbero essere garanti dell’autonomia, della correttezza e della completezza dell’informazione, qualunque sia la linea politico-editoriale del media da loro diretto. Una organizzazione del lavoro che prevede, per un contratto stipulato da due parti (la Fieg e la Fnsi), giornalisti scriventi, inviati, oppure impegnati nel delicato lavoro di verifica e di controllo dei testi, tutti insieme riuniti in una unica redazione, giornalisti dipendenti il cui trattamento retributivo e normativo è previsto dal contratto stesso, i cui diritti e doveri sono previsti dalle leggi dello Stato (la legge professionale, il codice civile, la legislazione sul lavoro, ecc.). Un giornalismo che si è dato, ed ha autonomamente finanziato e gestito finora, strumenti di tutela previdenziale ed assistenziale, l’Inpgi, la Casagit, il Fondo di Previdenza Complementare. Strumenti che non hanno mai gravato sui conti pubblici di un’Italia che ha sempre sostenuto con i soldi di tutti i cittadini le pensioni e la salute degli altri lavoratori dipendenti. Giusto? Giusto, perché i giornalisti italiani hanno sempre ritenuto di difendere quella chance di indipendenza collettiva ed individuale che una sicurezza sociale garantita e di qualità offre alla categoria. Non solo, i giornalisti sono l’unica categoria, che nasce di lavoratori dipendenti, ad avere un albo professionale, una struttura ordinistica che regola l’accesso, la formazione e la deontologia, le regole etiche, della nostra professione. Mi scuso per essere un po’ didascalico, ma è proprio questa la posta in gioco, l’intero sistema di tutele e protezioni dei giornalisti. Dice qualcuno, fuori e dentro la categoria: ma non sarà un bene smantellare questo sistema? Eliminare vecchie incrostazioni corporative? Creare un unico, libero mercato professionale nel quale ognuno rischia per se? E ancora (dicono): non si può far girare il mondo a rovescio, le innovazioni, le trasformazioni tecnologiche, la moltiplicazione degli strumenti della comunicazione, obbligano il giornalismo a rinunciare ai propri privilegi ed alle proprie sicurezze. L’accusa alla FNSI è sempre la stessa: non avete accettato la sfida del cambiamento, vi siete chiusi a riccio nella torre d’avorio, pretendete di estendere le tutele, non di ridurle come sarebbe giusto. Siete corporativi. Non so più bene cosa voglia dire esattamente la parola corporativo. Mi guardo intorno e vedo uno spettacolo preoccupante. Vedo un giornalismo blandito ma soprattutto intimidito, minacciato, condizionato. Un giornalismo ed un’informazione che poteri di ogni genere vogliono privare del diritto di esprimersi, di raccontare la realtà senza distorcerla, di difendere la segretezza e la pluralità delle fonti, di mantenere la schiena dritta. Un giornalismo che i poteri e le nostre stesse aziende vorrebbero sempre più debole, subordinato ad interessi (politici, economici, sportivi) estranei o marginali all’informazione, piegato alle esigenze del marketing e della pubblicità. Un giornalismo che sia solo megafono di questi interessi e non tenti di interpretare i fatti, anche quelli scomodi, approfondirli, cercare le verità nascoste. Vorrebbero un giornalismo senza più inviati o cronisti tutelati, commentatori e opinionisti liberi, intervistatori e direttori a testa alta e che scelgono. Vorrebbero un giornalismo senza più quel fastidio del Sindacato, dell’Associazione, del cdr, del fiduciario che chiedono il perché di una scelta editoriale, di un trasferimento, di una promozione, di un licenziamento, della modifica dell’organizzazione redazionale. Organismi di rappresentanza che eccepiscono, contestano, criticano, pretendono di far applicare il contratto, si permettono di esprimere opinioni e di chiedere coerenza ad editori e direttori. Un soviet – hanno ripreso a dire – figlio di ere geologiche seppellite da tempo. Dicono che non sappiamo raccogliere la sfida, che non siamo moderni, che non vogliamo andare fino in fondo nelle flessibilità che ci propongono perché vogliamo difendere un potere. Il gruppo dirigente di questo Sindacato, integralmente rappresentato, sa bene che abbiamo discusso tra noi, ci siamo divisi, anche qualche mese fa, sulle conseguenze del contratto del 2001, delle norme sui contratti a termine, sulle flessibilità contrattate, sul giornalista multimediale, sui paletti che abbiamo introdotto nel codice di disciplina previsto dal codice civile e dallo Statuto dei lavoratori, infine sull’uso del referendum come strumento di democrazia sindacale. Abbiamo accettato, anche dividendoci, di diversificare i nostri contratti, abbiamo sottoscritto con Aeranti-Corallo un difficile contratto depotenziato per l’emittenza locale (ed abbiamo firmato qualche settimana fa un accordo di proroga, certamente migliorativo del vecchio contratto). Siamo riusciti ad aprire il fronte contrattuale dei giornalisti degli uffici stampa della pubblica amministrazione con una vertenza giudiziaria vinta ed una grande mobilitazione dei colleghi. Il risultato: centinaia di nuovi contratti di lavoro sottoscritti, centinaia di nuovi contribuenti Inpgi. Abbiamo accettato le sfide del cambiamento, abbiamo già abbondantemente dato. Poi sono arrivati il decreto legislativo sui contratti a termine, la legge 30 con le nuove forme di contratto flessibile, e il quadro si è andato aggravando, prefigurando una situazione ingestibile, il rischio concreto di un attacco ai livelli occupazionali dei giornalisti dipendenti, e una ulteriore espansione senza controllo del lavoro autonomo, dei freelance, ma anche del precariato e del lavoro nero in tutte le sue forme, compresa quella dello stagismo dilagante. E’ qui che il nostro Sindacato ha fatto la scelta più intelligente: quella di coniugare strategicamente la difesa delle condizioni di lavoro e di vita dei giornalisti dipendenti, il ruolo e il futuro di chi oggi è più tutelato, e la grande battaglia per dare dignità, rispetto professionale e retribuzioni accettabili a chi è tenuto ai margini del lavoro regolato. Sapete bene tutti quanto il lavoro nero e mal pagato sia oggi dilagante in Italia: in cinque anni i giornalisti che non hanno un rapporto di lavoro stabile ma vivono della professione si è quasi quadruplicato, gli iscritti alla gestione separata dell’Inpgi hanno superato la cifra di 22 mila, e centinaia sono gli ammessi all’esame professionale dell’Ordine che non hanno mai avuto un contratto vero da praticante. Ricattati, frustrati, decine di migliaia di contrattisti a termine, freelance, collaboratori, in massima parte ragazze e ragazzi (soprattutto giovani colleghe), dai 25 ai 35 anni, vengono utilizzati dagli editori dentro e fuori le redazioni per integrare i giornalisti dipendenti e consentire di ridurre il costo del lavoro e sviluppare nuove avventure editoriali. Una situazione insostenibile, che non ha eguali in Europa per rapidità di espansione del fenomeno e che influisce direttamente sul ruolo delle redazioni e sulla qualità dell’informazione. Perché un giornalista ricattato avrà una possibilità in meno di essere libero e una in più di essere condizionato dai poteri, dagli editori e dalle stesse fonti. Una condizione ancora più grave quando ad essere sfruttati sono ragazze e ragazzi stagisti di scuole e università, utilizzati in estate ed in inverno per sostituzioni ferie, malattie, oppure semplicemente per rimpolpare redazioni depauperate, senza pagare un euro. Tutto ciò è aberrante: non esistono formazione, né tutor, e si inviano i ragazzi a raccogliere notizie senza conoscere l’abc della professione, senza alcuna rete di protezione professionale e umana. Rileggetevi la nostra piattaforma contrattuale. Tra le richieste vi è la fine del praticantato a termine, dello stagismo senza regole, una formazione non fasulla, la valorizzazione delle scuole riconosciute dall’Ordine. Nella piattaforma vi sono la durata minima di otto mesi per i contratti a termine, il parere dei cdr sulle assunzioni a tempo o dei collaboratori. Vi sembrano richieste da sindacato estremista e barricadero? Dovevamo essere più moderati e rispettosi di una Fieg che si dice molto soddisfatta dei positivi conti economici delle imprese? Niente delle nostre richieste è stato accettato dalla Fieg: vogliono continuare ad avere mano libera nell’utilizzo di precari e stagisti, vogliono utilizzare senza limiti i contratti a termine, anche per far fallire gli scioperi dei dipendenti. Vogliono pagare il meno possibile (meglio niente) i collaboratori, non vogliono avere rotture di scatole dal sindacato, nazionale, regionale e aziendale. Non vogliono trattare l’argomento, non vogliono pagare il contributo di legge del 2%, non vogliono applicare ai freelance nemmeno il Fondo complementare. La situazione è oggi sotto gli occhi di tutti. I paletti contrattuali non vengono applicati, le regole sono stravolte, molte realtà vivono in una giungla dove tutto è permesso nello sfruttamento dei giovani. Non dobbiamo certo generalizzare, in alcune realtà il lavoro dei cdr per l’applicazione del contratto e gli accordi aziendali consente un minimo di regolazione, ma non possiamo non guardare la realtà della maggioranza dei media, e dobbiamo preoccuparci per il futuro, nostro, di noi dipendenti, sempre più marginali nel processo produttivo. E’ stato detto anche in recenti dibattiti elettorali: solo dando retribuzioni decenti e migliori condizioni di vita ai precari si può rendere più equilibrato e giusto il sistema. Noi giornalisti dipendenti diciamo: solo dando regole ai precari difendiamo i principi della completezza, dell’imparzialità e dell’autonomia dell’informazione. Nella nostra piattaforma parliamo anche di legge 30, di quella legge che ha allargato le forme dei rapporti di lavoro a tempo, dal costo ridotto e dalle ridotte tutele. Non abbiamo mai detto che non vogliamo applicare una legge dello Stato. Ma per carità! Le leggi possono piacere o no ( e questa come è scritta a me non piace), ma vanno attuate nelle forme e nei modi che la legge stessa prevede. E cioè definendo per contratto gli aspetti applicativi. Noi abbiamo chiesto, per esempio, che il lavoro in appalto e il distacco siano definiti con l’intesa tra le parti, abbiamo giudicato difficilmente praticabili per i giornalisti strumenti validi forse per altri settori e gruppi di lavoratori, come il lavoro ripartito, il lavoro intermittente, i contratti di inserimento, questi ultimi, tra l’altro, contrastano con la legge professionale sul praticantato. Gli editori in un primo momento ci hanno dato ragione, ma poi hanno dichiarato la volontà di applicare subito la legge 30 così come è, rimandando al contratto le modalità applicative già messe in opera nelle aziende. Ricordo la celeberrima battuta nel film “La grande guerra” quando un soldato italiano ritorna in trincea dopo una esplorazione e viene sfiorato dai colpi di fucile di un commilitone, che solo dopo aver sparato rischiando di ucciderlo, gli grida: “Chi va là?”. E’ sempre la politica delle mani libere (libere si fa per dire). A cui si aggiunge dagli editori la politica del “mettiamo a posto una volta per tutte questi giornalisti”: e cioè: congelamento e riduzione degli scatti di anzianità, licenziabilità dei capi giornalisti, eliminazione della qualifica del redattore con più di trenta mesi di anzianità (e cioè qualifica unica del redattore al livello del meno 30 mesi), nuovo codice di disciplina con il licenziamento come sanzione per la recidiva di piccole mancanze, ecc. . Ma non è tutto. Lo scontro diventa complessivo e, come qualcuno ha detto, epocale, quando gli editori cercano la vendetta per gli scioperi e per la massiccia mole degli accertamenti delle violazioni contributive fatte dagli ispettori dell’Inpgi, bloccando di fatto la riforma dell’Istituto. Una riforma fondamentale per dare un futuro certo al sistema previdenziale dei giornalisti, resa necessaria dai conti degli attuari, condivisa dalla categoria dopo un grande dibattito, richiesta dal Governo e dal Ministro Maroni, votata dagli stessi rappresentanti degli editori nel CDA dell’Inpgi. Una ritorsione nei nostri confronti che rischia di danneggiare l’Istituto ma anche le stesse imprese che pagano contributi ridotti rispetto ai lavoratori a contribuzione Inps. Tra gli editori si afferma che il redde rationem comprende anche la determinazione ad ottenere dal prossimo Governo il commissariamento dell’Istituto e in prospettiva la sua liquidazione, affidando così l’accertamento delle frodi contrattuali agli elefanti dell’Inps. Così la politica delle “mani libere” (si fa per dire libere) realizza la quadratura del cerchio. Ancora, la Casagit e il Fondo, che gli editori hanno contribuito a far nascere, oggi sono visti con fastidio. Se ne ostacola lo sviluppo e la capacità di tutela mettendo a rischio l’assicurazione sanitaria di categoria dei giornalisti (che noi ci paghiamo profumatamente), e le condizioni eccezionali per una previdenza complementare in crescita. Dobbiamo inoltre fare i conti con l’aggressiva azione di lobbing degli editori contro ogni ipotesi di riforma dell’accesso alla professione, della legge istitutiva dell’Ordine, che sottragga loro il potere esclusivo dell’assunzione. Affidando magari l’accesso e l’esame ad una istituzione come l’università che avrà tanti difetti, ma che è l’Ente formativo per eccellenza. La si può pensare in molti modi sulla riforma, per ora bloccata dalla Cassazione, la si può criticare o la si può sostenere (come ritengo giusto), ma l’attuale evoluzione del giornalismo impone di sottrarre agli editori il controllo totale della nostra professione. Uno scontro duro, dunque, che la Fieg ha cercato con ostinazione. Noi abbiamo detto quello che pensavamo, a giugno e poi a settembre 2005. Era chiaro sin dall’inizio che questa sarebbe stata una rinnovazione del contratto tra le più difficili. Anche per questo a settembre, quando dalle durezze della Fieg, emerse la proposta di una intesa transitoria, con un aumento retributivo decente ed alcune minime garanzie, ritenemmo giusto percorrere quella strada. Prorogare il contratto di due anni significava rinviare lo scontro a tempi diversi verificando anche se il quadro di riferimento legislativo, nazionale e internazionale, che avrebbe potuto rendere più semplice una intesa sul contratto quadriennale. Lo sapete, qualcuno nel sindacato fu contrario alla scelta di cercare l’intesa transitoria biennale, temeva la rinuncia alla piattaforma o almeno agli aspetti qualificanti. Ma noi avevamo chiesto, appunto, minime garanzie dalla Fieg sui due punti più importanti: una prospettiva contrattuale per il lavoro autonomo, la ricerca di una intesa sugli strumenti applicativi della legge 30 sospendendone gli effetti per due anni. Come è andata lo sapete: la Fieg non ha accettato, ha respinto qualunque formulazione su queste garanzie, ha dichiarato chiusa la strada del biennale ed ha rilanciato la strada del quadriennale. Subito dopo sono partiti gli scioperi di ottobre, novembre e dicembre. A cavallo delle feste natalizie, ci siamo detti disposti ad aprire il tavolo sul quadriennale partendo dalla nostra piattaforma, dalle nostre richieste, ma la Fieg ha detto che questa posizione significava la delegittimazione della loro posizione. Abbiamo replicato: riconosciamo entrambe legittime le due piattaforme (cosa ben diversa da un possibile accordo) e trattiamo. E’ quello che abbiamo detto io e Franco Siddi a Biancheri davanti ai sottosegretari Letta e Bonaiuti che ci chiedevano di firmare la tregua sindacale per le Olimpiadi. Biancheri ci ha risposto di no, la Fieg ci ha detto che dobbiamo dichiarare pubblicamente che siamo disposti a mettere in discussione il sistema degli scatti di anzianità. Questo proprio non lo possiamo fare. Hanno ragione coloro che ricordano gli impegni solenni che il Sindacato ha preso con la categoria sul precariato e sul sistema delle retribuzioni dei dipendenti. Due facce di una stessa medaglia perché la nostra unità di categoria su questi due punti strategici si fonda. D’altra parte nessuno può pensare che la rinuncia ad uno di questi due cardini significhi risolvere i problemi dell’altro. Uno scambio tra lavoro autonomo e scatti non c’è, non c’è mai stato e non ci sarà. Loro vogliono tutto o niente: il taglio dei salari dei giornalisti e “mano libera” (si fa per dire) nelle redazioni e nelle assunzioni. Ecco, con franchezza ma con assoluta precisione, l’attuale situazione. Abbiamo fatto sette giornate di sciopero che sono state per tutti noi una grande fatica, oggetto di infinite discussioni e di qualche mugugno, di straordinari successi e di qualche delusione. Le date, le modalità, gli intrecci con gli avvenimenti, le numerose azioni antisindacali e intimidatorie di molti editori, hanno impegnato la categoria in un confronto estenuante. Gli scioperi del 2005 sono andati bene: li abbiamo attuati nei mesi più “caldi” per la raccolta pubblicitaria, perché un’azione estrema come lo sciopero ha effetto se procura danni reali all’impresa, se cerca di indurla a cambiare posizione. Abbiamo scelto una via moderata, due giorni di sciopero per ogni mese, non di più, e poi la sospensione per i primi tre mesi del 2006, poveri di pubblicità. Ripeto, conosco la fatica di tutti, le difficoltà, le minacce o le promesse, le sirene aziendali e gli scontri duri. Abbiamo girato l’Italia negli ultimi tre mesi come mai prima, da Palermo a Bolzano, da Aosta a Bari. Abbiamo parlato con centinaia di colleghe e colleghi. Abbiamo vissuto l’amarezza di quei cdr, di quelle Associazioni che hanno visto uscire giornali nonostante l’astensione dal lavoro della stragrande maggioranza delle redazioni, il dolore di precari che non potevano scioperare o, facendolo, andavano incontro al destino del non lavoro Abbiamo affrontato l’insidioso spirito di appartenenza di testata, fatto di rabbia perché il tuo giornale non è in edicola e il concorrente si, la preoccupazione politica di chi vede uscire testate in prevalenza vicine ad uno schieramento, la frustrazione di chi con lo sciopero non determina oggettivamente gravi danni alla propria azienda, l’angoscia di chi teme che gli scioperi danneggino economicamente il proprio organo di informazione in difficoltà finanziaria. Diciamolo, anche la paura di perdere il posto di lavoro, per i contrattisti a termine e i collaboratori, ed anche, senza dubbio, il giusto rammarico di chi sacrifica parte del proprio salario per sostenere la causa collettiva. Comprendiamo tutte le preoccupazioni e i disagi, alcune dei quali non devono però condizionarci. D’altra parte, nonostante tutte queste preoccupazioni, nelle sedici assemblee regionali finora organizzate e nelle decine di assemblee e di documenti di cdr e di redazioni i colleghi hanno chiesto al Sindacato, praticamente all’unanimità, di non mollare sulla piattaforma, di respingere le rivendicazioni degli editori, di non mollare sull’utilizzo dello strumento dello sciopero. Per questo siamo qui a chiedervi di mettere da parte malumori e paure e di riprendere con coraggio a scioperare, con moderazione e responsabilità perché lo sciopero è uno strumento estremo di protesta, anche se certamente il più efficace. Nessuno di noi intende ripercorrere la strada dei minatori inglesi e bruciarsi il futuro per uno sciopero in più. Riteniamo però che solo la determinazione della nostra categoria, dei giornalisti di tutti i settori, delle televisioni, delle radio, dei quotidiani, delle agenzie di stampa, dei free press, del web, dei periodici grandi e piccoli, dei grandi gruppi come delle realtà più piccole, la mobilitazione unitaria dei dipendenti e dei freelance può farci concludere con successo questa avventura. Dobbiamo dare un segnale esterno preciso e smentire con i fatti gli editori che dicono che i giornalisti sono stremati, sfiniti, vinti. Una risposta, al tempo stesso dura e moderata. Il segnale chiaro alla controparte degli editori deve essere una giornata di sciopero di tutti i settori dell’informazione quotidiana. Proponiamo di sospendere, per ora, la protesta nel settore dei periodici per cumulare la giornata con quelle successive alle quali saremo inevitabilmente costretti se non cambierà la linea della Fieg. Proponiamo di non attuare lo sciopero nel settore degli uffici stampa in attesa dei primi risultati del confronto che si è aperto con l’Aran. Proponiamo di non scioperare nelle aziende dell’emittenza radiotelevisiva locale, in un settore dove è stato stipulato un positivo accordo contrattuale transitorio biennale. Sappiamo anche che alcuni colleghi sono preoccupati per scioperi in periodo di campagna elettorale che fanno mancare l’informazione, o almeno gran parte, in un momento particolarmente delicato della vita politica e sociale del Paese. In questi giorni in tutta Italia si organizzano dibattiti, comizi, manifestazioni, c’è la giornata mondiale della pace e vi sono iniziative della Confindustria e dei Sindacati Confederali. Nelle prossime settimane vi saranno molti altri avvenimenti importanti. Anche noi siamo preoccupati, e ci dispiace dover ricorrere alla lotta ma non possiamo fermare per molti mesi la protesta senza ridurre fortemente le nostre possibilità di successo in tempi non lunghi. Gli schieramenti, i partiti, le forze sociali, le istituzioni, i movimenti, le associazioni, tutti sono informati, sanno che, nel rispetto delle regole elettorali fissate per la Rai, riprenderemo a scioperare. Diteci pertanto qui e ora se questa sfida debba continuare, se ritenete - come noi riteniamo - di poterla vincere alla fine, oppure se dobbiamo cedere il passo alla “normalizzazione” del giornalismo italiano. La risposta deve venire innanzitutto dai comitati e dai fiduciari delle redazioni perché voi sapete bene quanto è duro far rispettare il contratto che c’è ora, quanto è difficile ottenere relazioni sindacali corrette, il diritto all’informazione sulle scelte aziendali, alla consultazione sulle trasformazioni e sulle modifiche dell’organizzazione del lavoro, al parere su assunzioni, licenziamenti e trasferimenti, alla pubblicazione dei comunicati sindacali, all’esercizio dell’attività sindacale, al rispetto della dignità e dell’etica della professione. Guardate, non c’è soltanto l’impegno a sostenere la sfida contrattuale, c’è in ballo anche un impegno forte, vorrei dire solenne, di tutti noi nel pretendere dalle imprese, tutte, il rispetto delle regole, tutte, del contratto nazionale e dei patti e degli accordi aziendali. Dobbiamo essere capaci, in un momento non facile, di essere più rigorosi ovunque, specie di fronte alle violazioni contrattuali e di legge che riguardano l’utilizzo del lavoro precario. Dobbiamo riuscire, dove è possibile, ad ottenere l’apertura di confronti per accordi di proroga degli integrativi, almeno per la parte economica, mentre è aperta la vertenza nazionale. Dobbiamo rompere di più le scatole dove già le rompiamo e cominciare a farlo dove siamo più timidi. Crediamo che un giornalismo organizzato che fa rispettare le regole sia un bene per l’intero Paese, per la democrazia italiana. Per questo, non possiamo chiuderci nei nostri particolari problemi. Fatemelo dire, in una relazione inevitabilmente condizionata dai temi della vertenza sindacale, la nostra battaglia è un segnale per tutti, per l’attuale Governo e per l’opposizione. Molti di voi avranno assistito al duello tra Berlusconi e Prodi, clou finora di questa brutta campagna elettorale, ma i temi dello squilibrio del sistema, dell’assenza di serie norme contro le concentrazioni, del ruolo e del futuro del servizio pubblico della Rai, non hanno avuto il ruolo che meritavano. Certo, si è giustamente parlato del nodo del conflitto di interessi del premier, ma qui è tutto il sistema della comunicazione, il pluralismo e, se consentite, anche l’occupazione, ad essere condizionati dalle scelte passate e future. Così come dobbiamo conquistarci con le unghie e con i denti la nostra indipendenza quotidiana, il diritto di rifiutare o di protestare contro i molteplici tentativi di condizionare il nostro lavoro per interessi estranei all’informazione, il diritto di respingere i tentativi di metterci il bavaglio con la minacce di arresti e querele se non siamo allineati con le Procure o con i potenti di turno, e riveliamo al pubblico le notizie scomode e sgradevoli. Dobbiamo sostenere il diritto di poter conoscere la realtà per raccontarla con cognizione di causa, il diritto di andare inviati ovunque, anche nelle zone a rischio. Il diritto anche di morire rispettati, come non è accaduto ad Ilaria Alpi e a Mira Hrovatin, inviati di guerra in Somalia per il tg3, ed ora accusati di essere invece andati in vacanza al mare. Certo, dobbiamo conquistarci anche il diritto e il dovere di dire ad un collega che, a sua volta, non rispetta la dignità e la riservatezza di un cittadino, di dirci che ha torto. E dobbiamo difendere il nostro diritto-dovere di scegliere autonomamente la sanzione per questo collega. Lo sappiamo che oggi non siamo molto popolari, che possiamo contare su noi stessi e su qualche amico. Sappiamo che la nostra vertenza rischia in ogni momento di scomparire, di sciogliersi nel silenzio e nell’indifferenza voluti dagli editori. Dobbiamo essere capaci di avere sempre presente che ci battiamo per una informazione migliore di quella alla quale ci vorrebbero costringere editori e potenti di turno, ed anche qualche direttore. Non siamo impegnati a difendere stipendi e privilegi, anche se è legittimo che un sindacato chieda decenti condizioni di vita e di lavoro per i propri rappresentati. Davanti alle edicole romane e di tante altre città, davanti alla sede della Fieg e delle aziende di Milano, davanti al centro stampa delle Olimpiadi invernali, al teatro Ariston di Sanremo, ieri davanti alla sede della Fieg di Via Piemonte, mentre era riunito il comitato di presidenza degli editori, abbiamo cercato di dire ai cittadini che ci battiamo anche per loro, perché leggano giornali fatti meglio, ascoltino tg e gr migliori. Abbiamo portato nelle case degli italiani, attraverso i nostri documenti, attraverso il bel video-audio comunicato trasmesso martedì scorso in coda a tutti i tg e i gr Rai grazie al lavoro dei colleghi dell’Usigrai, le parole precariato ed autonomia dell’informazione. Lo abbiamo fatto con intelligenza, con fantasia, con i fantasmi del precariato, con i nani del contratto. Mettendoci la faccia e senza timori reverenziali, puzze sotto al naso o pudori inutili. Sempre rispettando le leggi, le persone e senza offendere nessuno. Ringrazio tutti i colleghi, quelli che hanno partecipato, quelli che non hanno potuto ed anche quelli che ci hanno criticato. Dobbiamo continuare così. Con le manifestazioni, con la fantasia, trovando anche forme nuove. Vi proponiamo di essere uniti e determinati, di credere nella dignità e nel futuro del giornalismo italiano. Non vogliamo fare alcuna rivoluzione, vogliamo un buon contratto con elementi di garanzia per fare serenamente e liberamente il nostro mestiere. Abbiamo chiesto e continueremo a chiedere agli editori, sperando prima o poi di essere ascoltati, di ragionare e lavorare insieme per sviluppare la qualità dell’informazione e di evitare assurde ed anacronistiche rese dei conti. Vi propongo di confermare la validità della nostra piattaforma, del nostro modo di concepire l’informazione, di chiedere un tavolo di trattativa, una sede di confronto sereno, senza pregiudiziali. Finora però risposte non ne sono arrivate. Anzi, nell’ultima telefonata la Fieg ci ha comunicato che il tavolo si fa solo se rinunciamo pubblicamente a rappresentare il lavoro autonomo, e che, intanto, gli editori stanno riscrivendo da soli l’intero nostro contratto. Propongo pertanto a questa assemblea di attuare subito, nei prossimi giorni, decidendo oggi la data, la prima delle nuove sette giornate di sciopero decise dalla Giunta federale.

@fnsisocial

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