«La morte di Giada Zanola, gettata da un cavalcavia sull'autostrada, a Vigonza, nel Padovano, consegna, nelle ultime ore, narrazioni, su alcuni media, cartacei, on line e televisivi, che determinano una rivittimizzazione di una donna, di 33 anni, madre di un figlio di 3, che viene descritta come la 'corresponsabile' della sua morte per il fatto di aver annullato le nozze e intrapreso una nuova relazione». Lo si legge in un comunicato stampa diffuso lunedì 3 giugno 2024 dall’Osservatorio Step - Ricerca e Informazione (un Osservatorio indipendente sui media contro la violenza nel linguaggio sulle donne, nato dall'accordo tra Università "Sapienza di Roma" , Cpo di Fnsi Odg e Usigrai e associazione Giulia Giornaliste).
La nota prosegue evidenziando «un approccio nettamente contrario a quanto disposto dall'articolo 5 bis del testo unico dei giornalisti e delle giornaliste e al Manifesto di Venezia, in particolare a quanto previsto al punto 2, là dove si indica come prioritario evitare stereotipi di genere, assicurando massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini, e al punto 10 là dove si dice che non si devono suggerire attenuanti e giustificazioni al femminicida e si deve evitare di raccontare il reato solo dal punto di vista del colpevole, partendo invece da chi la violenza la subisce, e spesso rischia di essere, come in questo caso, colpevolizzata. Questo nel rispetto della persona e del diritto ad autodeterminarsi di ogni donna, e di ogni individuo. In materia di violenza maschile alle donne, i linguaggi specializzati (dalle forze dell'ordine, alla magistratura, al giornalismo) corrono ancora sovente il rischio di rivittimizzare le donne e di fornire, anche inconsapevolmente, attenuanti ai maltrattanti. L'Osservatorio auspica una decisa inversione di tendenza e si rende disponibile ad avviare collaborazioni e corsi di formazione gratuiti per le operatrici e gli operatori del settore».
La nota si chiude con una considerazione: «La fine di una relazione, anche quando la decisione non è condivisa, non può mai essere spiegazione per dare la morte. Chi racconta una violenza, ha il dovere di narrare rispettando chi non ha più voce».