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Internazionale 05 Feb 2008

Committee to Protect Journalists (CPJ): il 2007 l’anno più sanguinoso, almeno 65 giornalisti uccisi, record di omicidi in Iraq. Repressione colpisce anche i blogger

Il 2007 è stato l'anno più sanguinoso dell'ultimo decennio per la libertà di stampa. È la denuncia del Committee to Protect Journalists (CPJ), che oggi ha presentato all'Onu un rapporto sui giornalisti uccisi e imprigionati l'anno scorso.

Il 2007 è stato l'anno più sanguinoso dell'ultimo decennio per la libertà di stampa. È la denuncia del Committee to Protect Journalists (CPJ), che oggi ha presentato all'Onu un rapporto sui giornalisti uccisi e imprigionati l'anno scorso.

Nel 2007 sono stati ammazzati almeno 65 cronisti, ma si sta ancora indagando su 23 casi irrisolti. L'anno prima erano stati registrati 56 morti. Il record precedente risale a più di dieci anni fa, nel 1994, quando furono uccisi 66 reporter. L'Iraq, per il quinto anno di fila, rimane il paese dove muoiono più giornalisti: l'anno scorso sono stati 32. Il bilancio dal 1992 è di 125 giornalisti ammazzati. Il rapporto denuncia anche la sempre minore libertà di stampa in Russia, dove ''il presidente Vladimir Putin ha creato nuove leggi secondo cui la critica di funzionari pubblici attraverso i media è considerato un crimine''. Se non uccisi, spesso i giornalisti vengono messi in silenzio e portati in prigione. Fino al 1 dicembre 2007, la CPJ ha registrato 127 arresti: il 17 per cento senza alcun tipo di accusa, il 57 per cento con accuse di ''crimini contro lo stato''. La Cina continua a mantenere il triste primato delle detenzioni per il nono anno consecutivo. Nonostante l'impegno a diminuire gli arresti in occasione delle Olimpiadi della prossima estate, il governo di Pechino ha imprigionato 29 giornalisti. Il volume registra altri casi inquietanti in Africa - in Etiopia sono stati chiusi tre quotidiani su quattro e sono stati esiliati una trentina di cronisti - e in Pakistan, dove si sta indagando sulla morte di una decina di reporter locali. A differenza degli anni scorsi, non sono stati denunciati episodi in Italia. Christiane Amanpour, uno dei volti più noti della CNN e membro del CPJ, ha sottolineato che le minacce non colpiscono più soltanto i giornalisti professionisti, ma anche comuni cittadini che tentano di divulgare informazioni scomode per i governi autoritari. La Amanpour ha ricordato ''i blogger della Cina e gli eroi civili della Birmania che hanno documentato la repressione delle manifestazioni pacifiche con foto spedite attraverso i cellulari''. Dei 29 giornalisti arrestati l'anno scorso dal governo di Pechino, 18 scrivevano su Internet. (ANSA)

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