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Internazionale 10 Nov 2007

Bavaglio alla stampa cinese che deve eseguire gli ordini del Partito comunista

L'editto sulla stampa, una cartellina con dieci punti, è stato spedito a tutti i giornali e le televisioni della Cina. Il suo primo comandamento ha l'incipit che suona come una correzione pignola: quando un articolo o una trasmissione vengono marchiati e bollati con la frase «non dover pubblicare» significa semplicemente «non pubblicare»

L'editto sulla stampa, una cartellina con dieci punti, è stato spedito a tutti i giornali e le televisioni della Cina. Il suo primo comandamento ha l'incipit che suona come una correzione pignola: quando un articolo o una trasmissione vengono marchiati e bollati con la frase «non dover pubblicare» significa semplicemente «non pubblicare»

Chiaro? Il verbo servile «dovere » (per la grammatica italiana) ha due usi possibili: uno legato alla valutazione obiettiva di un fatto (parla bene quel tizio, deve essere colto) e uno legato a un obbligo (devi uscire di qui). Questa «doppiezza» per il dipartimento della Propaganda del partito comunista è fonte di un equivoco da risolvere: «dovere» è un verbo occidentale un po' troppo liberale e democratico. Di conseguenza, va tolto di mezzo. In Cina, non vi possono essere margini di interpretazione o di dubbio. L'ordine è uno, punto e basta. Il servile — scherzi della lingua — non serve. Anzi, è d'impiccio. Ma siamo ai preliminari. Anche i comandamenti secondo e terzo, diffusi un mese fa alla vigilia del congresso comunista, quando si chiedeva una interpretazione doc della linea, hanno il servile e necessitano di una ritoccatina ad uso e consumo di chi non capisce bene. Vediamo il punto due: «Non dover mandare giornalisti (si sottintende a seguire una conferenza o un evento o a porre domande) significa che si riporta il comunicato ufficiale», non una virgola di più. E il punto tre: «Non dover commentare significa non fare commenti ». Caso mai ci fosse qualche burlone che ha intenzioni pericolose ecco il dettaglio che manca: «Nemmeno con le vignette». Giannelli, Altan, Vauro, Elle Kappa, Staino, Forattini, Bucchi, Chiappori finirebbero nei guai seri. È la guerra della Propaganda, cascame ideologico del passato, contro il «servile» ma non solo: perché nei dieci comandamenti che sono stati stampati e inviati alle direzioni dei giornali, delle televisioni e dei siti Internet ci sono almeno altri due verbi nel mirino della corretta esegesi. Sono niente meno che: «esagerare» e «riportare ». Il comandamento numero quattro è una precisazione: «Non esagerare», ovvero non mettere in prima pagina. Se il direttore di un quotidiano o di un periodico o di una televisione si vede recapitare dal dipartimento Propaganda l'avviso di «non esagerare» sa che la prima pagina è vietata. Che caschi un grattacielo o si sloghi la caviglia un dirigente del partito, la notizia va piazzata all'interno. Già, ma come? Comandamenti numero sei e sette: non esagerare equivale a non presentare «articoli eccessivamente numerosi», non collocarli «in posizioni di rilievo », «non dividerli su più pagine». A buon intenditor poche parole. E poi c'è l'altro verbo: «riportare». Editto, punti otto e nove, i più semplici. L'otto: «Non riportare senza permessi». Non occorre aggiungere nulla: questo sì che è il Verbo. Il nove: «Non riportare per il momento » che si traduce con «non riportare» per sempre. Il nove che fa quasi rima il dieci: «Non partecipare» a un evento, a scanso di equivoci, è l'ordine di «non riportare ». Dieci comandamenti per una informazione corretta. Quale? Niente scandali. E niente critiche. Il pensiero unico prevede: dare bene in grande che la Cina viaggia verso la luna. Ma nemmeno una riga sulle proteste nelle campagne. Ancora: gonfiare i titoli sull'economia che marcia a pieno regime, spettegolare in modo discreto sulle star dello spettacolo e dello sport, riempire la tv con balletti, quiz e canzoni, soap opera, drammoni rivoluzionari, e storie di patriottismo antigiapponese. Però chiudere un occhio, o entrambi, sui disastri naturali o sulla Diga delle Tre Gole che distrugge l'eco-sistema o che obbliga alla deportazione altri tre milioni di contadini. In sostanza, ci sono concetti che devono (obbligo) entrare nella testa di tutti i cinesi e dei giornalisti in particolare. La regola di base recita: si scrive, o si trasmette o si manda in rete, solo ciò che al partito comunista piace e che a suo insindacabile giudizio è utile alla Cina. Naturalmente, chi non ci sta paga e paga caro. Trentatré reporter sono in prigione per essersi presi la licenza di sfondare il muro della censura. Negli ultimi tempi i segnali di insofferenza sono cresciuti. Così le autorità hanno pensato di correre ai ripari e di mettere nero su bianco la «legge sacra». Accadeva pochi giorni prima dell'ultimo congresso. Poi è cominciato il rimescolamento di carte nella dirigenza comunista. Spiragli di innovazione. Forse fra i nuovi c'è qualcuno che prima o poi ricorderà ai vecchi e bolsi funzionari della Propaganda: ma la verità non è rivoluzionaria? Fabio Cavalera 10 novembre 2007 (dal "Corriere della Sera")

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