«A nome della Fnsi chiederò al sindacato giornalisti europeo e internazionale e alle autorità diplomatiche di procedere con un’inchiesta e di effettuare un’ispezione, perché siamo davanti a un atto deliberato contro i colleghi che sono i nostri occhi e le nostre orecchie in Ucraina». Così si è espresso il presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, Giuseppe Giulietti, durante il direttivo regionale del Sindacato giornalisti Veneto, mercoledì 21 dicembre, nel salutare il reporter di guerra Claudio Locatelli, in collegamento video dall’Ucraina. Insieme al cineoperatore Nicolò Celesti e all’interprete Daniel, è rimasto ferito il 19 dicembre a Kherson in quello che ha ribadito non essere un incidente bensì un attacco diretto a chi fa informazione.
«Anche ieri (martedì 20 dicembre, ndr) in alcune interviste vi ho ringraziato pubblicamente – ha esordito Locatelli, rivolgendosi a Monica Andolfatto, segretaria Sgv – per essere stati tra i primi a telefonarmi, a preoccuparvi delle nostre condizioni, a offrirci la vostra assistenza».
Quindi il racconto: «Eravamo sotto target, forse è stata la prima volta che è successo per la stampa. Gli elementi non portano a pensare altro. Il cielo era limpido non vi erano postazioni ucraine, c’era solo la nostra auto e con l’adesivo ben visibile con scritto press. Ci hanno colpito con quel che sembra piccola artiglieria, relativamente di potenza contenuta ma comunque c’è stata un’esplosione, da destra a sinistra. Grazie a un muretto e a un’abitazione il colpo non ha impattato, ma le schegge hanno colpito. Una è arrivata vicino all’auto ma non è penetrata, un’altra ha fatto esplodere tutti i finestrini ed è penetrata sul tettuccio. Non ci sono alternative al fatto che i colpi venissero da una postazione russa; sono stati esplosi 20 colpi prima che l’artiglieria ucraina cominciasse a rispondere». Il reporter ha quindi annunciato che resterà in Ucraina fino al 24 febbraio, anniversario dell’inizio della guerra scatenata dalla Russia.
Giulietti ha infine rilanciato sul fatto che i giornalisti freelance che operano sui fronte di guerra in maniera indipendente e non sono quindi agganciati a testate, dovrebbero essere tutelati da una sorta di “garanzia pubblica” assicurata dallo Stato: «Basta con la retorica e ancora di più basta con chi dice “se la vanno a cercare perché nessuno dice loro di andare in zona di guerra”. Sono là perché fanno i giornalisti e cercano notizie e non per tentare di farsi ammazzare». (Da: sindacatogiornalistiveneto.it)