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Il logo di Tv2000 (Da Rete Blu S.p.A. - commons.wikimedia.org)
Vertenze 18 Giu 2024

Tv2000, il Coordinamento dei precari della rete: «L'azienda fa carne di porco dei diritti dei lavoratori»

Giornalisti, autori e consulenti della rete: «Proposta una transazione capestro, che ne pensano i vescovi?».

«In questi giorni TV2000, la rete televisiva di proprietà della Conferenza episcopale italiana, impone a circa 40 precari (giornalisti professionisti, autori e consulenti vari - alcuni dei quali sono partite iva con contratti continuativi in essere da oltre 10 anni) di firmare una transazione capestro, mediata da una Commissione di Conciliazione istituita presso l’Università Luiss, con la quale si costringono i lavoratori  a dichiarazioni non conformi alla realtà dei fatti: il documento fa riferimento a nostre inesistenti “generiche rivendicazioni” in merito ai compensi pattuiti, forzandoci, dietro versamento di 500 euro (sic!), a rinunciare a qualsiasi pretesa/diritto acquisito nel pregresso rapporto di lavoro con l’azienda». Così, in una nota diffusa martedì 18 giugno 2024, il Coordinamento dei precari della rete TV2000.

«Dunque – prosegue il comunicato - una transazione capestro su una controversia che non esiste. Naturalmente chi non firma questa “transazione” non potrà firmare nemmeno il rinnovo del contratto. Ora, per prima cosa, in onore alla lingua italiana, va ricordato che la parola “transazione” si riferisce a un accordo concluso tra le parti di un rapporto, dunque frutto di una libera intesa, mentre qui siamo di fronte a un atto arrogante e unilaterale che l’ad Massimo Porfiri e il direttore del personale Luciano Flussi impongono ai lavoratori - nel silenzio assoluto del direttore di rete Vincenzo Morgante e dell’editore. Oltre a questo, che già è sufficientemente vergognoso, bisognerebbe sottolineare che stiamo parlando di un’azienda - Rete Blu S.p.a., cui fanno capo Tv2000 e Radio in blu - finanziata con i denari affidati ai vescovi italiani, soldi che si suppone dovrebbero trovare un impiego “etico”, mentre l’azienda sta seguendo, verso i suoi collaboratori, criteri che fanno carne di porco dei diritti dei lavoratori. O forse ricattare i lavoratori più deboli, quelli a partita iva, rientra tra i suggerimenti della dottrina sociale della Chiesa? Di certo non ci sembra un modo di agire in sintonia con il magistero di Papa Francesco – di cui ricordiamo molto bene le parole accalorate durante la sua visita allo Stabilimento Ilva di Genova (sabato, 27 maggio 2017) contro “l’economia che perde i volti”, e passa sopra “le persone da tagliare e licenziare”, per non parlare dei numerosi interventi contro “l’abuso del lavoro precario”».

La nota si chiude con una considerazione: «Ci piacerebbe conoscere il parere dei vescovi italiani su quanto sta accadendo tra le mura della loro rete televisiva, ma in tutta questa brutta storia - che mette 40 famiglie con il coltello alla gola - ci sono tanti silenzi. Silenzi assordanti».

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