È stata presentata lunedì 25 novembre 2024 a Bolzano e a Trento la prima parte del progetto sperimentale “L’Altro Archivio” promosso insieme da Odg e Sindacato dei giornalisti del Trentino Alto Adige per promuovere un racconto della violenza sui media attraverso la scelta di immagini più rispettose. Sono state mostrate le foto della fotografa Manuela Tessaro, realizzate partendo dagli spunti di due tavoli di lavoro composti da giornalisti ed esperti del settore. Punto chiave del progetto, il dialogo tra chi svolge il lavoro giornalistico e chi, in centri antiviolenza, associazioni o centri studi, si occupa ogni giorno di contrasto alla violenza di genere.
Il progetto è promosso dall’Ordine dei giornalisti del Trentino Alto Adige-Südtirol insieme al Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige, in collaborazione con il Centro studi interdisciplinari di genere dell’Università di Trento, dell’Unione Stampa Cattolica italiana e della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.
Si tratta di una riflessione interna alla categoria sulle responsabilità nella narrazione della violenza di genere e sul contributo positivo che il lavoro giornalistico può dare a una maggiore presa di coscienza collettiva sul fenomeno. Per arrivare però a una narrazione più rispettosa sono stati coinvolti esperti ed esperte, giornalisti e giornaliste della carta stampata in un processo di condivisione che si è articolato in due tavoli di lavoro, uno a Trento e uno a Bolzano.
L’obiettivo del progetto è quello di individuare nuovi canoni di rappresentazione fotografica della violenza di genere diversi, più rispettosi nei confronti delle vittime e promuovere l’aggiornamento degli archivi fotografici delle testate giornalistiche a stampa e online. E, in concreto, mettere a disposizione un primo set di fotografie da utilizzare liberamente o a cui ispirarsi per realizzare proprie fotografie per il proprio archivio giornalistico di immagini.
«La narrazione fotografica troppo spesso è ancora incentrata sulla vittima, la donna e l’uomo, insieme ai suoi reati, quasi scompare», commentano le ideatrici del progetto Gianna Zortea (Sgj), Isabella Cherubini e Alessandra Saletti (Ordine dei giornalisti). «Nella cronaca giornalistica sono stati fatti passi avanti, anche grazie ai numerosi corsi di formazione promossi per giornaliste e giornalisti negli ultimi anni e a un crescente sensibilità della categoria sul tema. Ma capita ancora che si scivoli in linguaggio colpevolizzante: è il fenomeno del ‘victim blaming’, che suggerisce una responsabilità della vittima per quanto le è accaduto. Nelle fotografie succede qualcosa di diverso, ma non meno problematico. Si scelgono immagini che pongono l’accento sul lato fragile della vittima, sulla sua necessità di protezione e suggeriscono l’ineluttabilità della violenza. È una forma di vittimizzazione secondaria che nasconde il problema di una maschilità prevaricante e violenta».
Poi sull’obiettivo del progetto: «Nella fretta e negli automatismi del lavoro quotidiano di redazione, spesso manca il tempo per riflettere. E così, quando è necessario un corredo a una notizia sul fenomeno della violenza di genere, viene scelta dall’archivio la solita fotografia che rappresenta la vittima – quasi sempre una donna – in atteggiamenti passivi o in difesa. Vogliamo dare una mano ai colleghi e alle colleghe a trovare un’alternativa e promuovere una riflessione interna alla categoria anche per quanto riguarda le immagini».