Serventi Longhi risponde al direttore del Tg4
Signor Emilio Fede, Direttore TG4 la lettera che ricevo oggi, datata Milano 16 aprile, necessita, in termini civili e legali, una risposta dettagliata. Per 12 giorni consecutivi mi hai insultato e svillaneggiato dal tuo telegiornale esprimendo giudizi offensivi nei confronti del sottoscritto e, in particolare con la lettera odierna, lesivi dell’onore e del prestigio sindacale che la Federazione Nazionale della Stampa Italiana riscuote da quasi 100 anni. Ho taciuto fino ad ora nella speranza che trovassi la forza di fermarti, magari esercitando quell’equilibrio e quella ragionevolezza che dovrebbe essere proprio del direttore di una testata televisiva nazionale. Ai molti colleghi che mi chiedevano di promuovere nei tuoi confronti azioni risarcitorie ed iniziative legali in sede civile e penale, ho spiegato che un Sindacato dei Giornalisti che si batte per il diritto di tutti di esprimere anche le tesi più infondate e che contrasta le querele "facili", ha il dovere di essere coerente fino in fondo. Ma tu oggi hai proprio esagerato, sei uscito dalle righe e con le tue parole, diffuse ai colleghi delle agenzie di stampa e alle istituzioni, ledi non solo la mia dignità ma quella del Sindacato del quale non sono Presidente, ma sono stato eletto al congresso di Montesilvano, per la seconda volta, Segretario Generale. Valuterò quindi, insieme alla Giunta Esecutiva della Fnsi, quali azioni promuovere. La polemica si è aperta il 3 aprile scorso dopo che la Giunta della Fnsi aveva proclamato all’unanimità lo sciopero generale dei giornalisti. Tu dichiarasti in diretta al Tg4 che non avresti scioperato e quindi non avresti accolto "l’invito di Paolo Serventi Longhi". Il 4 aprile, nel pomeriggio, lasciando il Teatro di Porta Romana a Milano dove ho presieduto la manifestazione nazionale dei giornalisti contro la delega governativa sul lavoro e contro il terrorismo, sono stato avvicinato da un cronista di una agenzia di stampa che mi ha chiesto un parere sulla tua frase del giorno precedente. Ho dichiarato quello che l’agenzia di stampa ha riferito, e cioè che non mi meravigliava la tua posizione contraria allo sciopero e che, certo, tu non sei mai stato un amico del sindacato. La stessa sera hai iniziato il tuo tormentone contro il sottoscritto dandomi dell’imbecille e accusandomi di fomentare possibili attentati terroristici nei tuoi confronti. Ti ricordo le innumerevoli prese di posizione del sottoscritto e della Fnsi contro ogni forma di violenza e la mia stessa visita nella redazione del Tg4, nella quale espressi solidarietà, a te ed ai colleghi, in occasione dell’attentato di alcuni mesi fa. Né può essere sostenuta una mia presunta indulgenza nei confronti di violenti di ogni natura per la mia partecipazione, a titolo personale, ma insieme a numerose associazioni e partiti, ad una manifestazione sui fatti di Genova. Ricordo che in quella e in precedenti occasioni io stesso e la Fnsi hanno assunto una posizione molto dura nei confronti sia delle violenze dell’ala estrema della protesta "no global" sia degli atti di repressione compiuti a Genova a più riprese dalle forze dell’ordine nei confronti di giornalisti, fotoreporter e telecineoperatori, professionisti o collaboratori di ogni nazione. Ho proprio esercitato il diritto-dovere di un sindacalista di difendere la propria categoria. Con un atteggiamento aggressivo, pretestuoso e ripetutamente denigratorio per 12 giorni pressoché quotidianamente hai attaccato il sottoscritto e la Fnsi esprimendo tue valutazioni sul ruolo del Sindacato dei Giornalisti che non condivido. Una polemica sindacale è legittima se resta nei binari di un confronto anche aspro ma civile. Tutto quello che ho fatto non ha nulla a che vedere con la diffusione di volantini di cui non so nulla e della cui realizzazione non posso essere in alcun modo considerato responsabile. A maggior ragione è aberrante, inaccettabile, e lo considero un grave insulto affermare che "se qualcosa dovesse capitarmi ne sei moralmente l’ispiratore. E qualcuno te ne chiederà conto". Anzi, sono io che considero questa frase come un atto di intimidazione violenta che non appartiene alla mia storia personale e, soprattutto, a quella dell’organizzazione che ho l’onore di guidare. Paolo Serventi Longhi