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La Cassazione vista dall'alto (Foto: ImagoEconomica/Fnsi)
Sentenze 13 Giu 2024

Satira, Cassazione: «Va valutato il contesto e può sottrarsi all'obbligo di riferire fatti veri»

In un'ordinanza del marzo 2024 la suprema Corte, ribaltando le decisioni di condanna stabilite in primo e secondo grado, ribadisce i principi per cui il giornalista può «provocare l'amaro riso del lettore» prendendo di mira un personaggio noto, in riferimento a una vicenda di rilevante interesse pubblico, senza diffamare.

La satira, «quale specie del più ampio genere del diritto di critica», rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 21 della Costituzione. Certo: il diritto di satira «non può entrare in conflitto con alcuni valori fondamentali della persona, quali la reputazione, l'onore, il decoro, l'immagine», ma «l'espressione satirica» non costituisce diffamazione se ad essere preso di mira è un personaggio particolarmente noto e si riferisce a una vicenda di rilevante interesse pubblico.

E, soprattutto, la satira può anche sottrarsi all'obbligo di riferire fatti veri, purché serva a far riflettere il lettore, a destare il riso e sferzare il costume nell'esprimere «mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito».

In una recente ordinanza, pubblicata il 14 marzo 2024, la corte di Cassazione torna sui principi che consentono a un giornalista di fare satira, anche con immagini e didascalie, senza per questo venire condannato per diffamazione (cosa che era successa in primo e secondo grado).

Nel 2015 una magistrata aveva contestato una foto con relativa didascalia pubblicata a corredo di un articolo satirico sull'assoluzione di un noto personaggio politico in merito a una vicenda che aveva destato grande scalpore nell'opinione pubblica.

A fare la differenza, ancora una volta, è il contesto: nella sentenza di condanna cassata dalla suprema Corte «è mancato – scrivono gli Ermellini – l'esame del contesto di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di un personaggio politico di alto rilievo, all'indirizzo del quale, in definitiva, l'intero inserto fotografico in oggetto (…) intendeva provocare l'amaro riso del lettore».

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