Ordine sì, Ordine no, riformarlo o cancellarlo è nei fatti un falso dilemma. In ballo c’è ben altro! In realtà, il rischio è l’abrogazione dell’informazione, la morte del giornalismo d’autore, la fine della notizia di cronaca colta dal vivo, l’abdicazione dall’autonomia di giudizio, il silenzio e il black-out della critica al potere nell’epoca della comunicazione elettronica senza argini e senza frontiere, e mentre impazza la moda dell’opinionismo saccente e cattedratico dei professori, e dilagano le interviste confezionate a misura degli intervistati.
Non soltanto la legge istitutiva non sta più in piedi, come ha sostenuto il segretario della FNSI, Paolo Serventi Longhi, durante la calda estate delle polemiche dentro e fuori casa nostra sul futuro dell’Ordine, ma l’intera organizzazione sia al centro sia in periferia, paralizzata dalla funzione burocratica, si chiude a riccio nella difesa di una realtà che non esiste più, o che semmai vegeta a stento in qualche grande testata. Come si fa a rimanere ciechi e sordi di fronte allo smantellamento pietra su pietra del contratto (peraltro, senza rinnovo da 600 giorni!) che sconvolge la vita delle redazioni, mortifica il lavoro, trasforma tanti colleghi in robot al desk o in passacarte di comunicati e veline? L’Ordine assiste impotente alla mutazione genetica della professione e aspetta e spera, ormai da tempi immemorabili, che piova dal cielo la benedetta riforma della legge del 1963. Nell’attesa di segnali di là da venire e mentre il governo decreta di imbavagliare la stampa invece di colpire intercettatori e gole profonde, gli abolizionisti radicali alla Capezzone si inventano la liberticida tutela sul lavoro dei giornalisti da parte dell’Autorità per le garanzie nella comunicazione. Sarebbe cadere dalla padella nella brace se l’Albo dei giornalisti finisse sotto le forche caudine dei poteri dello Stato o delle loro lunghe mani. Cancellare l’anomalia dell’Ordine non sarebbe il peggiore dei mali, purchè l’Albo rimanga affidato alle organizzazioni della categoria, come avviene in quasi tutti i Paesi e come lo era da noi quando divenne una conquista sindacale con il contratto del 1925. Proprio oggi che gli editori considerano il contratto carta straccia, l’Albo nella custodia della FNSI potrebbe diventare quell’arma in più per rianimare la categoria e per fermare la corsa al massacro del giornalismo doc.