"C’è un bavaglio che, a livello nazionale, si cerca di stringere in modo metaforico intorno alla bocca dei giornalisti: è quello delle legge blocca-intercettazioni, la cui presunta “urgenza” riprende quota ogni volta che la pubblicazione degli atti giudiziari scoperchia un’altra pentola del malaffare italiano (stavolta la P4 di Luigi Bisignani).
E poi ci sono le minacce meno metaforiche: quelle che diventano attentato diretto e scoperto alla sicurezza di professionisti colpevoli solo di fare il loro mestiere, contro la criminalità e al servizio del diritto dei cittadini a sapere". Lo scrive Roberto Natale, presidente della Federazione della Stampa, in un articolo pubblicato il primo luglio su un piccolo giornale della Sabina, "Piccola Città", il cui direttore Beppe Lopez è stato recentemente aggredito e minacciato di morte da un imprenditore edile locale, irritato per la pubblicazione di alcune foto di uno scempio ambientale a lui attribuito dal mensile.
"Qualche nome", afferma Natale, "non lo dimenticheremo più, purtroppo per lui: come Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Mauro Rostagno. Qualche altro nome abbiamo imparato a conoscerlo perché le minacce hanno superato il livello di guardia: Rosaria Capacchione o Lirio Abbate pagano il loro coraggio - ma loro direbbero che fanno semplicemente il loro lavoro – accettando una vita sotto scorta. Ma i casi “noti” danno solo una pallida idea di quanto diffuse siano le intimidazioni ai danni dei giornalisti: tanto più pesanti e invasive quanto più lontana è la luce dei riflettori nazionali".
Insomma, "decine e decine di episodi ogni anno, nemmeno tutti attribuibili alla criminalità organizzata. Talvolta è violenza “ordinaria”. Come quella di cui è stato bersaglio il Direttore di questo giornale, Beppe Lopez. La testimonianza fotografica di uno scempio ambientale è stata ragione sufficiente per un’aggressione in pieno giorno: minacce, le mani alla gola. Non nelle terre di mafia, ma nella tranquilla campagna laziale. Una notizia allarmante, anche se non sono stati molti quelli che l’hanno voluta considerare notizia. E però - non sembri strano definirla così - anche una buona notizia. Perché dice, con semplicità perfino brutale, qualcosa che nemmeno cento convegni sul futuro del giornalismo riuscirebbero ad esprimere con eguale chiarezza: dice che l’informazione trova il suo significato più vero quando è fatta nell’interesse di una comunità, “piccola città” o grande che sia. Quando si ricorda dei suoi doveri, l’informazione è parte insostituibile di una società democratica. Grazie, Direttore".