In occasione del 25.o anniversario della morte del giornalista Giuseppe Fava, www.articolo21.info dedica oggi al giornalista siracusano fondatore della rivista 'I Sicilianì e assassinato a Catania dalla mafia l'apertura del sito con una serie di contributi, fra cui gli interventi di Franco Siddi e Giuseppe Giulietti
«Venticinque anni dopo, la lotta alla mafia chiede ancora uomini e donne per bene che credono e vivono nella legalità, che raccontano gli orrori e i misfatti senza peccati di omissione, senza complici reticenze -scrive Siddi- Ricordare Pippo Fava significa rievocare un grande dolore, in primo luogo per la famiglia e per chi più gli era vicino nella condivisione di un'azione civile; ma soprattutto ha un senso se non si cede alla tentazione del silenzio. Il sindacato dei giornalisti, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, per storia e natura resta su questa frontiera. Ricordando Pippo Fava e con lui tutti i giornalisti caduti per mano di mafia e criminalità organizzata è il caso di rilanciare, anche agli editori e alle istituzioni, la portata di un impegno: raccontare e far conoscere ancora di più le cose che contano per la vita di ciascuno, per la libera convivenza delle nostre comunità, per la libertà e il diritto del lavoro, dell'istruzione, della salute». Fava «fu ammazzato perchè era diventato scomodo per tanti, persino all'interno della professione era sopportato, considerato un 'malato di protagonismò, la stessa accusa che oggi viene rivolta ai Roberto Saviano e a quanti osano ribellarsi al conformismo imperante -ricorda Giulietti- Ci fa piacere che gli attuali dirigenti del sindacato nazionale dei giornalisti stiano senza remore dalla parte dei cronisti che tentano di fare il loro mestiere: a Catania, a Trapani, a Catanzaro, a Caserta, ovunque. Per troppo tempo, in tutte le sedi, a cominciare da quelle politiche e istituzionali, sono stati onorati e riveriti i giornalisti da loggia, quelli che non fanno la seconda domanda, quelli che fanno i maggiordomi, quelli che fingono di indignarsi di fronte ai delitti delle mafie, ma non osano mai pronunciare il nome dei mandanti, dei protettori, dei collusi, quelli che non si indignano neppure se in Parlamento possono sedere condannati in via definitiva per associazione mafiosa». (Adnkronos)