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Cronaca 30 Nov 2009

Nello Rega a Televideo Rai: "Vi racconto la mia vita da minacciato di morte Da mesi ricevo lettere con proiettili a firma di Hezbollah"

Una vita che di colpo cambia, minacciata nella quotidianità da intimidazioni e minacce di morte, che Nello Rega racconta a Televideo Rai, una testimonianza che ti colpisce come un pugno nello stomaco. Ma ora è il momento di agire, di proteggere questo collega, di garantirgli una quotidianità nella vita privata a nel lavoro.

Una vita che di colpo cambia, minacciata nella quotidianità da intimidazioni e minacce di morte, che Nello Rega racconta a Televideo Rai, una testimonianza che ti colpisce come un pugno nello stomaco. Ma ora è il momento di agire, di proteggere questo collega, di garantirgli una quotidianità nella vita privata a nel lavoro.

  http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=3630 http://www.televideo.rai.it/Contents/immagini/2009/11/rega_200.jpg

Certamente la mia vita è cambiata, e non poco. Attimo per attimo la sensazione di poter essere colpito fisicamente dalla sentenza di morte che aleggia sulla mia testa è sempre più forte. Questo interrogativo mi accompagna di ora in ora, al lavoro, a casa, per strada, al cinema o solo passeggiando. L’ultimo avvertimento, o meglio chiamarla minaccia esplicita e senza possibilità di fraintendimento, l’ho ricevuta venerdì scorso. Ho lasciato la mia auto davanti al garage di casa. Ho preso l’ascensore e sono entrato nel mio appartamento. Mi sono fermato una trentina di minuti, un caffè, due chiacchiere con mia madre. Poi, di nuovo verso l’auto. Sul sedile passeggero una testa di agnello, dappertutto sangue. Sono rimasto senza fiato, il cuore mi è arrivato in gola, gli occhi svuotati di vita. E’ stato drammatico, traumatizzante, scioccante. Sono rimasto qualche minuto a pensare, a riflettere al messaggio di morte contenuto in quella testa sgozzata. Poi, ho chiamato i carabinieri. Al loro arrivo la scena si è riproposta in tutta la sua drammaticità. Domande, rilievi di impronte, fotografie. Oggi non passa minuto che quella scena non torni ai miei occhi e mi faccia ricordare, come se ce ne fosse bisogno, che sono in pericolo di vita. Ma quella di venerdì scorso è solo l’ultima di una lunga serie di scene raccapriccianti. Le minacce di morte a firma di Hezbollah (movimento sciita libanese che si oppone duramente a Israele ed è appoggiato e finanziato da Siria e Iran) sono cominciate diversi mesi fa. Dapprima lettere trovate sullo zerbino di casa con un coltello conficcato su una mia foto, poi un mio libro ‘violato’ nei suoi contenuti da un lungo chiodo. E ancora: lettere anonime a casa di mia madre a Potenza. In tutte le missive il mio nome era ripetuto diverse volte e sempre affianco alla scritta ‘sei morto perché abbiamo deciso che devi morire nel nome di Allah’. Due mesi fa i miei ‘giustizieri’ hanno alzato il tiro. Questa volta le buste arrivate a casa a Roma, a casa a Potenza, sul parabrezza della mia auto nel parcheggio Rai di Saxa Rubra a Roma contenevano proiettili. Ovviamente sempre indirizzate a me e sempre con la sentenza di morte a firma di Hezbollah. Una sentenza di morte alla quale non posso rispondere se non con le regolari denunce presentate ai carabinieri e la speranza di una indagine della magistratura che porti velocemente a inchiodare i responsabili di questi atti intimidatori. Nel frattempo la mia esistenza ha preso una piega diversa. La Prefettura di Potenza, attraverso il Comitato Ordine Pubblico e Sicurezza ha deciso misure di sicurezza per tutelarmi. Misure, però, che non hanno avuto lo stesso riscontro da parte della Prefettura di Roma. La mia vita nella capitale, dove lavoro, è quindi ‘protetta’ in minima parte dalle forze dell’ordine ed è affidata allo ‘sguardo divino’.Secondo questi personaggi, non ho altri termini per definirli, sono colpevole di aver scritto un libro (‘Diversi e divisi – Diario di una convivenza con l’Islam’) con Raffaele Gerardi – che ha curato anche i disegni all’interno del testo, nel quale parlo di cosa sia, documenti dei teologi musulmani alla mano, l’Islam. Una sorta di romanzo-saggio che, attraverso il racconto di una convivenza tra un uomo cattolico italiano e una donna sciita libanese, ripercorre i punti salienti della religione musulmana. Ne esce un quadro di grande difficoltà per il dialogo tra Cristianesimo e Islam, un dialogo reso molto controverso per i precetti propri dell’Islam. Ancora oggi, infatti, il mondo musulmano relega a un ruolo di inferiorità la donna, uccide in Iran gli omosessuali, impone l’infibulazione, prevede la poligamia. Precetti e dogmi, questi, diversi dal mondo occidentale e che dividono le due sponde del Mediterraneo. Una diversità che speriamo possiamo incontrarsi e confrontarsi serenamente sulla strada del dialogo per essere, finalmente, diversi e uniti. Nonostante le minacce di morte, il mio lavoro continua. Ho deciso come dovere civico quello di non fermarmi davanti a chi vigliaccamente vuole imbavagliare la libertà di espressione, uno dei capisaldi del vivere civile e delle conquiste della modernità. Non mollo davanti a chi vuole intimidirmi anche se la scelta non è senza rischi e paura. Come quelli di non aver ancora oggi ricevuto risposte concrete da parte dello Stato sulla mia sicurezza. Nonostante il lavoro incessante dei carabinieri, che sono diventati i miei angeli custodi, non mi è stata assegnata una scorta che certamente potrebbe farmi vivere meglio e senza rischi. Sono avvolto, e ne sono onorato, da una coltre di solidarietà che mi da la forza di andare avanti. Prima di tutto la mia Testata, il mio direttore, i miei colleghi. Poi, e non è poco, quello della Federazione nazionale della Stampa e dell’Osservatorio Ossigeno di Alberto Spampinato, dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, dell’Ordine regionale di Basilicata della Stampa, dell’Associazione Stampa Romana, dell’UsigRai. Soggetti che hanno chiesto ripetutamente al ministro dell’Interno Maroni misure maggiori di sicurezza. Tanti anche i messaggi di gente comune, che ha appreso le notizie guardando un telegiornale o sfogliando i quotidiani. E, un grande ringraziamento a un comitato spontaneo, fondato da Paolo Sinisgalli di Gallicchio, in provincia di Potenza, che porta avanti una raccolta di firme da inviare al ministro Maroni per una scorta nei miei confronti. Anche scrivendo questa testimonianza di ‘quotidiana insicurezza e paura’, i miei pensieri sono tornati lì, sul sedile della mia auto dove una testa di agnello mi ha avvertito di essere in pericolo. Ancora una volta, minacce senza ragione e senza verità. Fino a quando?

Il perdono Dal libro 'Diversi e divisi - Diario di una convivenza con l'Islam' http://www.televideo.rai.it/Contents/immagini/2009/11/libro_rega_200.jpg (...) Convivendo con Amira e le contraddizioni dell’Islam, ho avuto la possibilità di osservare sui miei sentimenti, quanto siamo diversi dai musulmani. Ci separano secoli di progresso, conquiste civili, battaglie per i diritti umani, intelligenza e maturità nel riuscire a criticare il Papa o i vertici della Chiesa e i suoi precetti. Siamo divisi perché la convivenza e il dialogo non possono esistere, almeno per il momento. Sarebbe solo un’utopia, e come tale, non realizzabile. Dopo qualche mese di travagliata ricerca di Amira e della verità, scoprii cosa aveva detto alla sua famiglia e ai suoi amici. Secondo lei, l’avevo cacciata di casa, le avevo impedito di pregare, di fare il ramadan, avevamo divorziato. Una dietro l’altra, bugie. Come quella del divorzio. Per farlo, ovviamente, bisogna essere sposati e comunque è qualcosa che va fatto insieme. Non ricordo di aver mai visto un marito o una moglie divorziare con la sola forza del pensiero. A sentire le sue menzogne, tutto questo era stato possibile. Amira non era la stessa donna che, appena arrivata a Roma, aveva contratto matrimonio a tempo con me e che con me aveva fissato quel tempo "per tutta la vita"? E che dire della sua voglia di donarmi l’hijab, quello che aveva smesso di indossare, per scelta, tre anni prima? Una scelta dettata dalla consapevolezza che un velo è meno importante del dialogo, della ricerca di condivisioni e unioni. Lo stesso velo che "virtualmente" le restituii cercando di guardare il mondo di Amira anche con i suoi occhi. Era sempre lei, la stessa che aveva frequentato con passione il corso prematrimoniale, giocato con i nomi dei nostri figli, desiderato e sognato l’anello di fidanzamento e la richiesta di matrimonio come aveva sempre immaginato fin da bambina. Questa, alla fine, era Amira. Qualcosa, al momento, di indescrivibile e inspiegabile. A differenza, invece, delle nostre marcate differenze. Ma le diversità non sono solo quelle tra me e lei, ma anche quelle dell’Occidente con il presidente afghano Karzai. Mi riferisco alla legge sul cosiddetto "stupro in famiglia", ovvero il potere assoluto dell’uomo sulla donna, del marito sulla moglie. Un provvedimento in barba a tutte le convenzioni mondiali sul rispetto degli esseri umani, il riconoscimento della parità tra uomo e donna, la negazione assoluta della violenza. E, in Afghanistan, addirittura un presidente che per anni ha chiesto aiuto all’Occidente per sconfiggere i talebani, si è preso la briga di avallare, o almeno non contrastare, una norma inimmaginabile anche nella preistoria. E solo per compiacere la comunità sciita in vista delle elezioni presidenziali. La corsa verso il potere, anche nel mondo musulmano, non conosce ostacoli e decenze. O come la guerra santa nel nome di Allah portata avanti da gruppi di fanatici sparsi nell’area musulmana del pianeta, o il regime saudita che ancora vieta alle donne di poter guidare, agli autobus per sole donne istituiti negli Emirati arabi, al burqa imposto in Afghanistan, al concetto di poligamia, alla disparità in un tribunale tra un testimone uomo e una testimone donna, alla diversità di trattamento in caso di eredità tra figlio e figlia. Per non parlare dei diritti fondamentali e delle libertà civili. Tra le decine di Paesi musulmani non si riesce a scorgerne uno che abbia davvero intrapreso la strada della democrazia. In molti di questi Stati si susseguono forme dittatoriali mascherate da sistemi presidenziali, dove i diritti dei cittadini vengono sacrificati in nome della religione, del rispetto coranico, dei precetti musulmani. Solo nel 2009 in Arabia Saudita una donna è stata nominata vice ministro. L’avvenimento è stato esaltato come se fosse entrato in un esecutivo un marziano. Forse, in questo caso, la decisione avrebbe fatto meno notizia. E che dire delle sentenze di morte applicate in Iran per gli omosessuali, della ricchezza sfrenata degli emiri che diventano ciechi davanti alle sofferenze di milioni di persone che credono nello stesso Dio. O della causa palestinese che vede al primo posto tra gli avversari proprio gli Stati musulmani. Dopo aver visto le devastazioni a Gaza, a Ramallah, in Libano mi sono chiesto tante volte perché i Paesi produttori di petrolio, musulmani, non abbiano mai voluto fermare le armi israeliane minacciando lo stop delle esportazioni di petrolio. Sarebbe bastato questo per costringere i nemici a sedersi al tavolo e trovare un’intesa seria e definitiva per la pace. Invece no. Questo è il mondo musulmano, fatto di contraddizioni, comportamenti bigotti, interpretazioni religiose da mercato, o come si dice in arabo da suk, non rispetto dei principi fondamentali che dovrebbero accompagnare la vita di ogni uomo. Si può mai trovare una via comune con chi continua a chiamare "infedeli" tutte le persone che non credono nell’Islam, chi proibisce il matrimonio tra un musulmano e un cristiano, chi costringe le donne a ingabbiarsi in un vestito nero che copre anche il volto o rinchiudersi in un burqa, chi chiama nemico gli Usa e poi fa affari insieme, chi dice cosa fare in ogni attimo della vita, in ogni istante di un atto sessuale, in ogni secondo della vita in terra, chi manda allo sbaraglio imbottiti di esplosivo giovani senza futuro e speranze, chi vieta di potersi convertire ad un’altra religione? E la lista potrebbe durare metri e metri di inchiostro. E i cari musulmani sono anche gli stessi che, Corano alla mano, vietano l’alcol perché annebbia il cervello e proibisce categoricamente ogni droga. Ma chi vende la droga prodotta in Afghanistan e in Libano? Chi permette con traffici illegali di armare intere popolazioni e far versare inutile sangue? Sempre loro. Amira, quella che avevo finalmente conosciuto dopo la sua "fuga" era come loro. Aveva dimenticato senza alcun sacrificio tutti i momenti belli trascorsi insieme, l’amore ricevuto e la felicità. Come si può dimenticare tutto così in fretta e non cercare neanche per un attimo di ricucire un rapporto amoroso? Lei era riuscita a fare anche questo, senza il minimo senso di gratitudine. Mio malgrado, sono costretto ad accettare le fredde statistiche del Censis. Oggi in Italia un matrimonio su sette coinvolge un partner straniero. I cosiddetti matrimoni misti sono cresciuti negli ultimi anni del 300%. Un dato che, solo apparentemente, incoraggia l’integrazione. Ma bisogna andare in fondo alla ricerca. Tra il 2001 e il 2006 le separazioni di coppie miste sono cresciute del 42%: 8 matrimoni su 10 falliscono. Un matrimonio tra italiani dura in media 14 anni, quello misto appena 9. Oggi, a parte l’amarezza di aver constatato la diversità con l’altra sponda del Mediterraneo, credo ancora con più forza nell’esistenza degli angeli custodi. Il mio, forse, per qualche anno è stato alla finestra a guardare quello che sembrava una bellissima pagina d’amore. Poi, al momento opportuno, e di questo lo ringrazierò per sempre, è intervenuto. Mi ha aperto gli occhi, ha mostrato la verità. Da anni ho cancellato dal mio vocabolario la parola tolleranza. La trovo un’offesa bigotta che nasconde un termine che si fa fatica a pronunciare: "sopportare". Al suo posto ho inserito la parola "dialogo". Credo che contenga la voglia di confrontarsi con altre realtà, con culture diverse, religioni lontane. Oggi il mio vocabolario ha una parola in meno. Ma non è assolutamente grave. Nelle pagine precedenti ho inserito, con tanto di virgolette e nessuna parola in più, parti di Corano e saggi teologici sciiti (dei quali citerò fonti e bibliografia). In quelle righe vi è tutta la spiegazione della nostra diversità e della necessità di restare divisi, ognuno per la propria strada. E’ pur vero che il mondo musulmano, fortunatamente, annovera anche moderati. Queste menti illuminate, però, faticano a imporsi alla maggioranza islamica. Sono un fiore all’occhiello della voglia di progresso ideologico e maturazione della critica, ma sono, e tali resteranno per molto tempo, una minoranza. Nel loro sforzo quotidiano, al quale va il mio disinteressato apprezzamento, vi è la consapevolezza di dover colmare secoli di storia e di riuscire a traghettare l’Islam dalla profonda oscurità nella quale vive alla luce della verità. Un cammino difficile, che non potrà magicamente prevalere su quello a ritroso, nel quale sono impegnati i fanatici e i movimenti integralisti. Basti pensare all’Iran, Libano, Egitto, Siria, Striscia di Gaza, Somalia, Pakistan, Afghanistan, Iraq, Sudan. Potremmo continuare, ma è meglio non allungarci in drammatiche realtà. A tante diversità si aggiunge anche quella che ritengo essere la pietra miliare della nostra cultura cristiana: il perdono. Lo stesso che ci ha ricordato San Paolo, quello che si ricerca nel profondo dell’anima e che matura anche di fronte al male e ai nemici. Come nel caso della Prima Lettera ai Corinzi: "La carità non tiene conto del male ricevuto… tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta". Il perdono per chi non ha il senso di gratitudine, amicizia, amore, rispetto. Perdonare, una forma irripetibile di innocenza e purezza. E io perdono Amira, le sue cattiverie, il suo egoismo, la sua falsità e i sogni e le certezze d’amore che ha dissolto al vento senza mai rimpiangerli. Così come perdono il suo "ritorno" all’integralismo musulmano e la cancellazione, rapida e senza appello, di ogni forma di dialogo e condivisione. In questa storia, comune a tantissime persone che forse non hanno avuto l’ardire di criticare il mondo musulmano, vi è anche la spiegazione di un concetto del teologo Vito Mancuso che faccio mi "Non vi è chi crede e chi non crede, ma solo chi pensa e chi non pensa". Qualcuno, e questo me lo aspetto, non rinuncerà a criticare queste affermazioni, forse le minacce delle quali sono oggetto ancora oggi continueranno. Forse, ma questo non è un presagio, le fatwe degli islamici si abbatteranno contro di me, dovrò essere più prudente e dovrò avere più cura per la mia incolumità, quella dei miei familiari, quella dei miei amici e di quanti hanno collaborato a questo libro. Forse avverrà tutto questo. E’ un prezzo da pagare e lo farò volentieri. Per amore della verità. Come nel caso di continuare a ripetere all’infinit diversi e divisi!  

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