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Fnsi 30 Giu 2007

Il presidente della Fnsi Franco Siddi: "Di nuovo in silenzio, uno sciopero che interessa tutti i cittadini "

Pubblichiamo l'intervento del presidente della Fnsi Franco Siddi sulle motivazione della Giornata del silenzio dei giornalisti italiani.

Pubblichiamo l'intervento del presidente della Fnsi Franco Siddi sulle motivazione della Giornata del silenzio dei giornalisti italiani.

DI NUOVO IN SILENZIO Sciopero dei giornalisti: interessa tutti i cittadini di Franco Siddi* Troppe interferenze, limiti inaccettabili al diritto di cronaca, da ultimo il disegno di legge Mastella sulle intercettazioni telefoniche e le sanzioni ai giornalisti, precarietà, contratto negato. La gravità, e anzi la drammaticità, della crisi dell’informazione a causa delle invadenze esterne e della difficile condizione di lavoro non sono sopportabili a lungo. I giornalisti italiani, che da 851 giorni, si vedono negare dalla Federazione italiana editori giornali (Fieg) il diritto a discutere e a negoziare il rinnovo del contratto di lavoro, domani saranno di nuovo in sciopero per denunciare i gravi danni di questa situazione e per testimoniare la volontà ferma di esercitare il loro dovere professionale di fornire un’informazione pulita ai cittadini, che hanno diritto di sapere e conoscere i fatti di rilevante interesse pubblico. Ivi comprese le attività delle personalità pubbliche perché il loro operato possa essere giudicato dai cittadini nella loro libertà. E’ tempo di sostenere il giornalismo, non di cercare di piegarlo e di fiaccarne definitivamente la sua funzione di garanzia democratica, di controllo, di contropotere. Ai potenti queste funzioni (dalla magistratura alla stampa) danno fastidio, fino a considerarle nemiche. Ma in democrazia queste funzioni sono vitali. Si parte da lontano. Da azioni differenziate e apparentemente non percepibili come un problema: dall’attacco agli standard di qualità del lavoro, alle regole contrattuali, ai tagli dell’occupazione e alla negazione della formazione, al dilagare della precarietà, alla commercializzazione pura e semplice dell’informazione. Informazione che, però, non è un bene qualsiasi, ma un elemento essenziale come il pane per la vita di ogni persona che si voglia cittadino a pieno titolo. E nella generale precarietà del lavoro nell’epoca della globalizzazione, si è andata affermando una cultura rovesciata dei valori, per cui la comunità dovrebbe vivere la propria libertà subordinata ai primati dei poteri (le proprietà delle imprese, la finanza, la politica). La regola va bene se è quella del più forte, non se è frutto di una condivisione che assicura convivenza e partecipazione. I giornalisti, e il loro sindacato, rivendicano la possibilità di svolgere al meglio la propria professione. Cosa che implica il dovere di raccontare il vero, anche se disturba qualcuno, e non di nascondere fatti e circostanze se dispiacciono a taluni. E’ vero che a volte compiono errori, gravi peccati di omissione e/o di esasperata partigianeria. Quando capita, se c’è pluralismo delle voci, tutto questo viene pubblicamente smascherato e sanzionato proprio dalla ricchezza delle voci diverse, che perciò vanno tutelate. Di fronte a gravissime violazioni deontologiche funziona – o dovrebbe funzionare – la magistratura deontologica dell’ordine professionale. Qui c’è un punto dolente perché non sempre risulta efficace lo strumento. Ma la causa di fondo risiede principalmente in quello stesso livello politico che è rapidissimo a elaborare leggi di censura, come quella delle intercettazioni e che, nonostante anni di appelli e proposte, rifiuta di riformare una legge che ormai non consente più di rappresentare veramente la professione giornalistica. Gli scandali delle intercettazioni dell’ultimo anno hanno fatto scattare, nella politica, un’incredibile capacità di intesa bipartisan per sanzionare i giornalisti negando, platealmente, l’interesse generale del pubblico a conoscere e giudicare fatti rilevanti e comportamenti politici di importanti personalità del Paese. Si ha chiara l’idea che con le leggi bipartisan in arrivo dei casi Ricucci, Coppola, Consorte, e ieri di tangentopoli, poco si sarebbe saputo? E’ Chiaro che il clima che questo clima determina intimidazioni e censure (quante improprie perquisizioni a carico dei giornalisti!) e induce autocensure? Oltre quelle, comunque intollerabili, già determinate dai poteri imprenditoriali? A questo proposito, su tutte vale il caso Parmalat: di interessanti verbali di giustizia con importanti uomini della finanza il grande pubblico sa ben poco?t Uno sciopero che sostiene l’autonomia e le funzioni del giornalista non è, dunque, una battaglia per cercare un privilegio. E’ un sacrificio doloroso che si fa per cercare di fermare abusi e interferenze improprie. E’ ora di fare chiarezza nel dibattito sul diritto di cronaca e sul diritto dell’informazione a dare conto di come procedono le indagini su qualsiasi vicenda per la quale la magistratura abbia ritenuto di aprire un’inchiesta. Se negli atti giudiziari ci sono intercettazioni magari non rilevanti dal punto di vista penale, ma importanti per comprendere come e perché si muovono su fatti di rilevanza pubblica personaggi diversi, questi comportamenti devono poter essere conosciuti dal pubblico. Una cosa è disciplinare l’uso delle intercettazioni e sanzionarne l’abuso, tutelare la privacy delle persone, (che però, è bene ricordare, riguarda affetti, salute, tendenze sessuali), altra cosa è pretendere di considerare privacy gli affari o le vicende che hanno riflessi pubblici. Si sta minando la credibilità della stampa con ogni mezzo. Leggi come queste fanno il paio con la precarietà del lavoro e con i tagli dell’occupazione per la quale si preannuncia una stagione pesantissima. C’è bisogno di recuperare equilibrio, responsabilità, volontà di dialogo da parte di tutti. C’è bisogno di cambiare rotta. Serve una svolta per superare il punto di crisi che si è raggiunto. I giornalisti italiani sono determinati a stare in campo per un giornalismo di qualità, per recuperare e rilanciare le virtù etiche della professione, per condizioni di lavoro dignitose. Non spargono veleni, ma non intendono neanche farsi avvelenare senza reagire. *Presidente Fnsi

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