Con referendum i redattori del Corriere della Sera hanno approvato a larga maggioranza l’accordo sullo stato di crisi siglato tra Cdr e Azienda senza che il giornale mancasse un solo giorno dalle edicole durante tutti i sette mesi di vertenza.
Senza scioperi abbiamo difeso la nostra libertà di espressione (e quindi di informazione verso i nostri lettori) impedendo che, con l’alibi della crisi economica, si stilassero liste di buoni e cattivi, di chi dovesse uscire dall’azienda e chi no. Nessun redattore, grande firma o neo assunto, è stato messo nelle condizioni di essere ricattabile pur di conservare il proprio posto di lavoro. In cambio di tali «garanzie civili», però, abbiamo accettato sacrifici economici, il blocco del turn-over e la possibilità che l’organico diminuisca del 13% (attraverso scelte individuali e volontarie).
I giornalisti del Corriere credono di essere parte di un patrimonio di informazione e libertà che appartiene alla storia del nostro Paese. Un patrimonio da salvaguardare soprattutto in un momento politico, economico e sociale delicato come l’attuale. Per incrementare i servizi che cerchiamo di dare al lettore/cittadino, abbiamo aumentato la nostra produttività e ci apprestiamo a farlo in misura ancora maggiore qualora i colleghi più anziani decidessero di andare in pensione anticipata. Secondo noi, questi sono comportamenti responsabili e consapevoli da parte di giornalisti che descrivono, analizzano e raccontano di crisi economica, di redditi che arrivano a fatica a fine mese, di precariato, globalizzazione, disservizi pubblici e agiscono di conseguenza anche quando vengono toccati i loro interessi personali.
L’Azienda, al contrario, non mostra altrettanta coerenza. Nel caso del Corriere, l’Azienda è l’espressione di gran parte della finanza italiana: molte delle banche e delle imprese più importanti del Paese sono rappresentate nella nostra proprietà. Sono le stesse istituzioni e personalità che reclamano responsabilità ed efficienza alla politica, all’imprenditoria, al mondo del lavoro.
A causa del calo degli introiti pubblicitari, l’Azienda ha chiesto e ottenuto sacrifici dai giornalisti, ha chiesto e ottenuto sacrifici a tutti i cittadini italiani usufruendo degli aiuti di Stato per i prepensionamenti e, infine, ha chiesto sacrifici ai lettori del Corriere aumentando il prezzo del giornale del 20 per cento. Un aumento, è doveroso sottolineare, giunto senza che fossero messi in campo altri interventi a sostegno del giornale, salvo il taglio degli organici di poligrafici e redattori. È ora auspicabile, morale ed etico, che manager e azionisti dichiarino di rinunciare a bonus e dividendi per la durata dei due anni di stato di crisi. E che si impegnino esplicitamente a reinvestire nel Corriere della Sera ogni eventuale utile come fanno in questo momento di difficile transizione economica le migliori imprese del mondo.
Noi giornalisti possiamo assicurare che quanto siamo stati collaborativi nel contribuire a garantire forza economica alla nostra impresa, così saremo duri nel denunciare, e se in nostro potere bloccare, ogni tentativo di ridurre la capacità di informare della macchina Corriere. Denunciamo, ad esempio, come inaccettabile il ritardo negli investimenti multimediali e nella comunicazione online, l’uso di collaboratori in sostituzione di assunti e il depauperamento di strumenti di lavoro fondamentali come l’archivio.
Già nel mese di luglio 2009, durante la vertenza sindacale sullo stato di crisi, il presidente della Rcs Media- Group spa, professor Piergaetano Marchetti, aveva assicurato alla redazione «il preciso impegno a secondare lo sviluppo del sistema "Corriere" e così l’autorevolezza, la professionalità, l’indipendenza del corpo redazionale; (...) Sulla base di tali principi di fondo è evidente che le risorse ottenute dall’azione sui costi aziendali intrapresa ed i non lievi sacrifici richiesti alla redazione dovranno anzitutto essere indirizzate a garantire al sistema Corriere gli investimenti necessari per preservare i valori storici (...) e per secondare il processo di crescita ed ammodernamento che i tempi richiedono».
Ora, a nostro avviso, l’impegno andrebbe esteso davanti a tutti i lettori/cittadini del Corriere. Basta chiedere sacrifici ai giornalisti, è tempo che proprietà e management si assumano in pieno le loro responsabilità e riportino nel giornale almeno parte degli utili incamerati in tanti anni di bilanci in attivo.
Il Comitato di Redazione