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Fnsi 07 Apr 2003

Guerra in Iraq: direttori a confronto promuovono l'informazione italiana

Guerra in Iraq:direttori a confrontopromuovonol'informazione italiana

Guerra in Iraq:
direttori a confronto
promuovono
l'informazione italiana

L'informazione italiana sulla guerra ha fatto meglio che in passato e i direttori di giornali e testate lodano lo sforzo di chi è al fronte, pur mettendo in luce le difficoltà innegabili di raccontare un conflitto che mai come prima fornisce immagini e che nello stesso tempo, mai come ora, è sottoposto da ogni parte a tentativi di condizionamenti. L'esame da cui esce a pieni voti, o quasi, in primo luogo la Rai è quello del convegno organizzato dalla Fnsi, in collaborazione con il quotidiano Europa e con l'associazione Articolo 21, su «Guerra in Iraq. I giornalisti riflettono sull'informazione: imparziale, lacunosa, sotto tutela o arruolata? Trecento secondi per dire la tua». Nel corso della mattinata sul tema si sono confrontati i protagonisti dell'informazione, con la premessa, come ha detto il segretario generale della Fnsi, Paolo Serventi Longhi, «che la famiglia dei giornalisti italiani è preoccupata e in ansia per i colleghi al fronte che stanno facendo il loro lavoro con coraggio e professionalità». Condannate subito quindi le voci che si sono alzate contro gli inviati, «non solo da un oscuro parlamentare di An ma anche da parte di alcuni giornali», come ha detto il direttore di Europa, Nino Rizzo Nervo, si è fatto il punto della situazione. Il presidente-giornalista della Rai, come si definisce Lucia Annunziata, ha spiegato che «il bilancio è positivo», perchè la capacità dell'azienda di modificare il palinsesto e la presenza e l'impegno degli inviati, forti anche della storia dell'azienda e delle sue capacità tecnologiche, «sono state la carta vincente. E' passato il messaggio che il servizio pubblico ha dei doveri, e la grande differenziazione rispetto al privato ha fatto conquistare alla Rai la leadership». Ma Rizzo Nervo, ha lamentato: «Mi ha impressionato la mancanza del racconto del gruppo di giornalisti di Michele Santoro. E' demenziale che non si utilizzi in questo momento la migliore squadra di documentaristi che c'è in Italia». E anche la presidente della Rai ha detto che vorrebbe «in questo momento più persone, più declinazioni, più voci alla Rai». Roberto Morrione, direttore di Rai News 24, ha raccomandato all'informazione di «tenere vivo il filo del ragionamento», che potrebbe perdersi nella grande ricchezza di immagini. Una ricchezza che a volte, come ha sottolineato Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, «produce effetti di spettacolarizzazione. Ma ci sono stati ottimi reportage - ha aggiunto - soprattutto dai colleghi che non vestono divise. Comunque l'informazione italiana nel complesso ne esce molto bene». Che ci siano limiti del resto è nelle cose, come ha detto il direttore dell'Ansa Pierluigi Magnaschi: «L'informazione di guerra è per sua natura limitata, condizionata, ma questo è un vincolo che dobbiamo per forza accettare. L'importante è che si faccia sapere ai lettori e agli ascoltatori quello che accade». Anche perchè, come ha spiegato Magnaschi: «Un morto raccontato bene è una tragedia, cento morti sono solo una statistica». Ma, secondo il direttore dell'Unità Furio Colombo, «è un buon momento per chi non ha grandi tradizioni di pluralismo e libertà per mettere i piedi sopra ai giornalisti». Colombo ha poi criticato la Rai, in particolare per gli approfondimenti di Vespa e di Socci, e al servizio pubblico ha anche rivolto la preghiera di «segnalare le immagini di repertorio, altrimenti sembra di assistere sempre ad un film». Un invito al servizio pubblico ma anche ai giornali «non solo a dare spazio a tutte le opinioni ma soprattutto a fare attenzione alla correttezza», è venuto dal direttore di Liberazione Sandro Curzi. Più attenzione poi ai minori e agli effetti che potrebbero subire dalle immagini crude «soprattutto nei Tg che vanno in orari pomeridiani», è venuto da Anna La Rosa, direttore delle tribune Rai. In ogni caso, per Antonio Di Bella, direttore del Tg3, «non avremmo mai pensato di poter essere i primi a dare il servizio sul bombardamento di Baghdad, e questo dimostra che per la prima volta abbiamo i mezzi per essere in grado di fare il nostro mestiere, per raccontare, e questo è una svolta. Certo viviamo tutti il rischio di essere parziali e lacunosi, ma siamo lì». Ad alcune cose poi, «come all'uso eccessivo degli inviati nei talk-show - ha detto ancora Di Bella - stiamo cercando di porre rimedio, facendo delle correzioni in corsa». Insomma «c'è stata indubbiamente una grande copertura dell'evento - ha aggiunto il direttore del Giornale Maurizio Belpietro - ma quanto si sia capito veramente di quello che sta succedendo rimane un lato oscuro. Si è costretti a regole rigide, come sempre accade, e questo è un limite». Lamenta però Belpietro «che gli inviati a Baghdad hanno potuto raccontare pochissimo di quello che sta accadendo nel regime», quindi a suo avviso «ci saranno moltissime cose da raccontare quando la nebbia si diraderà». (ANSA). Amedeo Vergani, giornalista professionista, presidente Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell'informazione visiva dell'Associazione lombarda dei giornalisti. " In questo preciso momento in Iraq, su entrambi i fronti, decine di colleghi sono in prima linea e, al di sopra di qualsiasi loro opinione personale, stanno rischiando la pelle per essere testimoni diretti degli avvenimenti sui quali si sono assunti il dovere di informare, nel migliore dei modi, lettori e telespettatori. Tra di loro sono moltissimi i giornalisti dell'informazione visiva che, tra l'altro, per ragioni professionali molto pratiche, devono, quasi sempre, esporsi ai rischi maggiori. Il risultato del loro lavoro però, "imparziale, lacunoso, sotto tutela o arruolato" che sia, prima di arrivare ai naturali destinatari, viene filtrato, trattato e spesso strumentalizzato attraverso i complessi e differenti interessi che governano il sistema mediatico. Il provocatorio quesito che la Fnsi ci ha posto oggi nel titolo di questo convegno non può di conseguenza non essere allargato anche ai fronti sui quali si scontrano i potentati della geopolitica mondiale ed ai poteri che questi soggetti esercitano sui mezzi di informazione. Per questo mi auguro che, al di là di tutte le riflessoni che verranno proposte oggi grazie a questa importante iniziativa del Sindacato, qualche istituzione, scuola o facoltà universitaria che in Italia si occupa di giornalismo, si sia attivata, o si attivi presto, per raccogliere, al di sopra delle parti, tutta la documentazione necessaria per sviluppare un rigoroso studio scientifico su come questa guerra si è sviluppata, ed ora è combattuta ogni giorno, fortemente anche attraverso l'informazione, quella visiva in modo spesso preponderante. Tutto questo soprattutto per aiutarci ad individuare i possibili "antidoti" necessari per cercare di porre qualche argine alle strumentalizzazioni di parte e continuare a sperare di poter garantire concretamente un'informazione severamente al servizio esclusivo di lettori e telespettatori e dei loro diritti". Milano, 7 aprile 2003

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