Pubblichiamo l'intervento pubblicato oggi, sabato 21 giugno, a pagina 20 della Nuova Sardegna, del magistrato Giorgio Altieri, sul disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche.
SABATO, 21 GIUGNO 2008 Il disegno di legge sulla riforma delle intercettazioni telefoniche approvato dal consiglio dei ministri ed attualmente all’esame del Parlamento preoccupa la magistratura e le forze di polizia perché indebolirà fortemente il contrasto alla criminalità, riducendo i tempi delle intercettazioni, appesantendo il procedimento di autorizzazione e circoscrivendo a casi limite le intercettazioni ambientali anche per delitti di terrorismo e criminalità organizzata. L’aspetto del disegno di legge sulla riforma delle intercettazioni telefoniche che dovrebbe impensierire maggiormente è però la fortissima limitazione alla libertà di informazione sul contenuto dei procedimenti giudiziari. L’articolo 2 del disegno di legge propone infatti una modifica degli articoli 114 e 115 del codice di procedura penale che comporterebbe un divieto assoluto di fornire notizie su indagini giudiziarie, anche nel caso di applicazione di misure detentive. Con le nuove norme infatti sarebbe proibita la pubblicazione «anche parziale o per riassunto o nel contenuto di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, anche se non sussiste più il segreto», fino alla conclusione dell’udienza preliminare. A questa previsione si accompagna quella dell’articolo 13, che inasprisce le pene per la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, prevedendo nell’ipotesi più grave della pubblicazione di intercettazioni la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da cinquecento a mille e trentadue euro. Vengono inoltre estese a tale reato le disposizioni sulla responsabilità penale delle società. Un’applicazione rigida di tali norme, qualora fossero approvate definitivamente dal parlamento, porterebbe a ritenere che qualsiasi pubblicazione anche per riassunto di atti delle indagini preliminari, in qualsiasi caso, esporrebbe il giornalista e l’editore a sanzioni penali. Il divieto infatti non riguarda soltanto le intercettazioni, sulle quali è incentrato l’intervento legislativo, ma tutti gli atti delle indagini preliminari, per cui sarebbe penalmente illecito anche dare notizia di un arresto oppure di una richiesta di rinvio a giudizio. Si rischia dunque di creare uno spazio temporalmente molto ampio nel quale la pubblica opinione non potrebbe sapere nulla - assolutamente nulla - dell’attività di contrasto alla criminalità, della gestione delle indagini, dell’attività degli organi dello Stato e tanto meno delle condotte delle persone cui il reato è attribuito, neppure nel caso in cui fossero state adottate misure cautelari. Per evitare un simile paradosso e una situazione di sospensione della legalità democratica che l’inevitabile intervento della Corte Costituzionale potrebbe ripristinare soltanto dopo anni è necessario che gli interpreti compiano un attento bilanciamento tra le norme che si propone di introdurre e la disciplina costituzionale del diritto di cronaca. Se infatti tale diritto trovasse sempre un limite invalicabile nelle disposizioni penali si creerebbe una contraddizione interna all’ordinamento giuridico, che da un lato riconoscerebbe un diritto (in questo caso di rango costituzionale) e dall’altro ne sanzionerebbe l’esercizio. Da tempo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, superando posizioni fortemente conservatrici dell’immediato dopoguerra, ha ritenuto che il diritto di cronaca e il diritto di critica abbiano una posizione centrale nell’ordinamento democratico a base pluralistica, che richiede come condizione necessaria per la sua esistenza che nel bilanciamento tra beni costituzionalmente protetti - il diritto di cronaca (articolo 21) e quello alla dignità personale (articoli 2 e 3) - debba essere accordata prevalenza al primo, in quanto senza libertà di parola e un’opinione pubblica informata la dialettica democratica non si potrebbe realizzare. Per tale ragione la giurisprudenza ritiene che il diritto di cronaca non possa trovare alcuna limitazione esterna ad esso, neppure nella legge penale. Quello che conta è che siano rispettati i limiti interni del diritto, cioè la verità della notizia, la sua rilevanza pubblica e la sua espressione in una forma che non sia di per sé inutilmente offensiva. Il rispetto di tali limiti fa sì che condotte formalmente illecite, perché previste come reato dall’ordinamento giuridico, non siano punibili, perché poste in essere nell’esercizio di un diritto. Si parla, in termini tecnici, di causa di giustificazione. Si tratta, come si vede, della stessa problematica che le norme in discussione ripropongono con forza proporzionale all’ampiezza del divieto che si vuole stabilire. La pubblicazione di notizie relative ad atti di indagini preliminari, ed in particolare di intercettazioni, rientrerebbe infatti nel reato previsto dall’articolo 684 codice penale. Se però ciò fosse sufficiente per punire la condotta si negherebbe qualsiasi spazio alla causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di cronaca, perché si riconoscerebbero come esercizio del diritto solamente situazioni penalmente irrilevanti, e quindi la scriminante prevista dall’articolo 51 del codice penale non sarebbe mai applicabile. E’ prevedibile dunque che la Corte di Cassazione ribadirà ciò che ha affermato in tante occasioni: il diritto di cronaca è un diritto di rango costituzionale e non potrà essere limitato che da una legge costituzionale. Esso non può trovare altri limiti che quelli che ne costituiscono l’essenza, perché subordinare il diritto di cronaca alla legge penale comporterebbe una violazione dei princìpi che definiscono i contorni del sistema democratico. * Magistrato