Federazione internazionale: un corrispondente francese muore in Kuwait. In un anno 67 i giornalisti morti, secondo Isf
23 dicembre 2002 Un insigne giornalista, Patrick Bourrat, esperto corrispondente estero per la stazione televisiva francese TF1, è morto in un ospedale del Kuwait il 22 dicembre, un giorno dopo essere stato ferito mentre seguiva lo svolgimento di esercitazioni militari nel deserto del Kuwait; secondo quanto viene riferito da fonti diplomatiche della zona, l’uomo stava tentando di mettere in guardia un collega che si trovava lungo la traiettoria di un carro armato, quando è stato colpito dal veicolo. La vicenda ha stimolato l’International Federation of Journalists a rinnovare l’appello alle organizzazioni dei media, affinchè garantiscano che tutti i loro operatori siano addestrati e preparati a incarichi pericolosi. “Questo corrispondente era un veterano con tanta esperienza alle spalle” ha spiegato Aidan White, Segretario Generale dell’IFJ, “e sembra che sia morto mentre tentava di tenere un collega fuori dalla zona di pericolo. Questa è una perdita terribile e tragica, che mette in luce i pericoli cui sono soggetti i giornalisti quando si trovano a svolgere il loro lavoro nelle zone di conflitto, anche nel caso che debbano seguire i cosiddetti giochi di guerra”. Bourrat era uno dei tanti giornalisti e operatori dei media che stavano seguendo lo svolgimento dell’operazione di addestramento Desert Spring in Kuwait, operazione che coinvolge 12000 truppe degli Stati Uniti. Gran parte dell’esercitazione prevede l’impiego di fuoco vivo. “Sembra che si sia trattato di una tragica fatalità, che probabilmente non avrebbe potuto essere evitata”, ha continuato White, “ma questo sottolinea la necessità per tutte le organizzazioni dei media di rendersi sicure che i loro operatori siano addestrati e equipaggiati per far fronte a condizioni di pericolo”. L’IFJ crede che i giornalisti cui viene data la possibilità di accedere e seguire le esercitazioni militari, dovrebbero essere totalmente consapevoli dei pericoli che vanno ad affrontare. “Visto che la pressione nella regione sta crescendo e si rafforzano le possibilità di conflitto, è essenziale che i giornalisti e gli operatori dei media siano preparati”, ha ribadito IFJ, che venerdi, nel Rapporto Annuale, ha annunciato che nel 2002 sono stati uccisi circa 67 giornalisti e operatori dei media, molti di loro in zone di guerra. 67 giornalisti e operatori dell'informazione uccisi nel 2002 nel nome della libertà di informazione (fonte: Informazione senza frontiere) I giornalisti pagano sovente con la vita il loro servizio all'informazione in paesi in guerra e in situazioni critiche. La Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) ha reso pubblico, in una conferenza a Bruxelles, il suo rapporto annuale. Il tragico bilancio parla di 67 giornalisti e operatori dei media uccisi in servizio nel 2002 in diversi paesi del mondo. Un anno particolarmente sanguinoso in cui la categoria è stata "bersaglio della violenza" "Questi giornalisti hanno pagato il prezzo più alto per le loro inchieste" - ha affermato Aidan White, il segretario generale dell'IFJ - "E' tempo che la comunità internazionale e l'industria dei media si uniscano in una nuova campagna per dare la caccia a coloro che prendono di mira i giornalisti per il loro interrogarsi sulle questioni cruciali che aiutano a tenere in vita la democrazia". L'IFJ riporta che l'uccisione del reporter del Wall Street Journal Daniel Pearl a gennaio, ha dato il via ad un anno in cui i giornalisti sono stati presi continuamente a bersaglio. Pearl, che stava indagando sul mondo di Al-Qaeda e sul terrorismo internazionale, fu sequestrato in Pakistan e trattato crudelmente dai suoi rapitori che filmarono il suo assassinio. "Questa manifestazione di brutalità, agghiacciante e senza precedenti, ricorda ai giornalisti che i media di tutto il mondo sono in prima linea nella battaglia per la democrazia e i diritti umani", ha ribadito Aidan White. Quello di Pearl è stato uno dei molti casi evidenziati dall'IFJ - altri se ne sono registrati in India, Colombia, Russia, Brasile - in cui i cronisti sono stati presi di mira. "Dobbiamo fare di più per ridurre i rischi", afferma l'IFJ, che, insieme all'International Press Institute, ha creato una coalizione di più di 80 media, unioni di giornalisti, gruppi per la libertà di stampa e organizzazioni internazionali, per dare vita all'inizio del prossimo anno all' "Istituto per la sicurezza della stampa internazionale". La nuova organizzazione coordinerà le azioni di sicurezza in difesa dei giornalisti e degli operatori dei media intorno al mondo. "Il mondo è un luogo sempre più pericoloso per chi lavora come giornalista", dice White, "Abbiamo bisogno di una nuova cultura che renda consapevoli della necessità di sicurezza, in modo da ridurre i rischi di essere reporters, senza limitare il diritto dei media di seguire le vicende su cui è necessario rapportare". Ancora una volta, l'IFJ ha puntato l'attenzione sull'America Latina, dove il giornalismo è particolarmente minacciato. In Colombia il prezzo pagato è stato alto - dieci morti in un anno. L'IFJ ha risposto aprendo un nuovo ufficio a Bogotà in ottobre allo scopo di monitorare gli attacchi e di aiutare a fornire assistenza ai giornalisti locali. "Alcuni di questi omicidi sono stati inevitabili. A volte i giornalisti si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato e dobbiamo riconoscere che, con criminali spietati e politici indifferenti, spesso si può fare poco per fermare dei killers determinati" dice White, "ma i governi devono essere continuamente stimolati ad indagare e seguire ogni attacco agli operatori dei media". L'IFJ ha accolto con piacere azioni positive, come quelle in Mozambico, dove le autorità hanno portato in giudizio persone accusate dell'assassinio politico di Carlos Cardozo, un influente editore assassinato nel 2000. Ma l'IFJ continua a preoccuparsi del fatto che altri omicidi ad alto livello di politici - Gyorgy Gongadze in Ucraina e Martin O'Hagan in Irlanda del nord - rimangono insoluti. "I governi hanno una responsabilità nel consegnare i killer alla giustizia e noi sappiamo da fonti certe che in questi casi può essere fatto e dovrebbe essere fatto di più.". White ha avvertito che il bersagliamento dei giornalisti potrebbe continuare "molto a lungo se il governo fallisse nell'usare la mano pesante contro coloro che esercitano la censura attraverso la violenza". L'IFJ afferma che una nuova organizzazione mondiale per la sicurezza dei media che raccoglie insieme aziende, gruppi per la libertà di stampa e operatori dei media, costituirà un nuovo punto di riferimento per la pressione sui governi. E questo inoltre rafforzerà i media. "Può darsi che non siamo in grado di fermare tutti gli omicidi, ma possiamo porre la sicurezza del giornalismo al posto che le compete: al primo punto dell'agenda dei media e del governo", ribadisce White.