Nel suo intervento al convegno “Proteggere i giornalisti, conoscere le verità scomode”, il presidente del Senato Pietro Grasso ha – tra le altre cose - auspicato delle correzioni al testo che rivede le norme sulla diffamazione a mezzo stampa, approvato poco meno di 10 giorni fa alla Camera. “Alcuni aspetti non sono ancora soddisfacenti e immagino che saranno trattati negli interventi successivi”, è stato il commento del presidente Grasso.
Intervenendo al Senato al convegno “Proteggere i
giornalisti, conoscere le verità scomode”, e ricordando gli anni trascorsi
nella magistratura, il presidente del Senato Pietro Grasso ha ribadito un
concetto già espresso in diverse circostanze: “una stampa libera, indipendente
e corretta è un primo, insostituibile e formidabile antidoto all'affermazione
della cultura dell'illegalità”.
Continuando nel suo intervento Grasso ha poi parlato del disegno di legge in
tema di riforma della diffamazione appena tornato in Senato che “intende essere
un passo, né il primo ma sicuramente nemmeno l'ultimo, nella elaborazione –
spiega il presidente del Senato - di norme che sappiano dotare il nostro Paese
di strumenti efficaci per rispondere alle sfide contemporanee e future. Non
spetta a me esprimere un giudizio nel merito, ma so per certo che alcuni
aspetti non sono ancora soddisfacenti e immagino che saranno trattati negli
interventi successivi”.
Sul tema è poi tornato anche Raffaele Lorusso: “La difesa della libertà di
stampa – ha detto il segretario della Fnsi - inizia da buone leggi. Buone leggi
che in questo Paese oggi mancano. Va bene l’abolizione del carcere ma questa
giusta novità non può tradursi in uno specchietto per le allodole”.
“Nessuno chiede l’impunità per i giornalisti: chi sbaglia deve avere la giusta
sanzione, ma ancora oggi e da anni aspettiamo l’istituzione del giurì per
l’informazione. Ed in ogni caso il compito del giornalista – ha rilevato poi
Lorusso – è quello di dare le notizie, non di nasconderle”.
Al presidente Iacopino che ha denunciato i compensi da fame pagati dal gruppo
Finegil ai collaboratori, Lorusso ha infine risposto che sono la conseguenza
inevitabile di un ordine professionale che non affronta il problema della
concorrenza sleale e consente che ci siano iscritti che accettano di lavorare gratis.