Intervistato da Articolo 21, Claudio Fava, vicepresidente della Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie, ripercorre i punti salienti della relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati, approvata qualche giorno fa dalla Commissione antimafia. “È bene individuare e punire le querele temerarie - dice - altrimenti rischiano di essere autentici atti di intimidazione”. Di seguito un estratto dell'intervista e il link al testo completo.
Libertà di stampa, minacce, la precarietà di chi lavora come
freelance, ma anche le responsabilità di una stampa “embedded” e poi le
questioni della diffamazione, con le querele temerarie, e delle
intercettazioni: Claudio Fava, vicepresidente della Commissione parlamentare
antimafia, ripercorre in un’intervista ad Articolo 21 alcuni dei punti
evidenziati nella relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione
dei giornalisti minacciati approvata qualche
giorno fa.
“Io penso che si debba osare di più”, dice commentando il progetto di legge di
riforma della diffamazione approvato alla
Camera a fine giugno. “È bene - prosegue Fava - individuare, quindi punire
le querele temerarie. Io credo che andrebbero punite in modo più specifico,
altrimenti rischiano di essere autentici atti di intimidazione, in alcuni
casi”.
E ancora, parlando invece del lavoro dei freelance: “Se un mafioso deve mettere
a tacere qualcuno, se quella persona è pagata tre euro a pezzo è più facile
ottenere il risultato sperato con lui piuttosto che con l’inviato di una grande
testata”, commenta il parlamentare.
“La mafia – si legge ancora nell’intervista – incide nel senso che vi è una
situazione di grande disagio e di grande rischio per i giornalisti”.
Del resto, il ruolo dell’informazione nel combattere il malaffare è sempre
stato cruciale e sempre più lo sarà. Qui
il link al testo integrale dell’intervista.