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Il giornalista Paolo Borrometi
Il segretario del Sindacato giornalisti Abruzzesi, Ezio Cerasi
Un momento dell'incontro
Iniziative 12 Lug 2018

'Armi&Bavagli' contro la libertà  di stampa, Borrometi: «Vivere sotto scorta non è un privilegio»

Il presidente di Articolo21 ha portato la sua esperienza di cronista minacciato all'incontro organizzato a Pescara dal Sindacato dei giornalisti abruzzesi, in collaborazione con la Fnsi. Il segretario Sga, Ezio Cerasi: «Precariato e minacce limitano il diritto dei cittadini ad essere informati».

«Vivere sotto scorta non è un privilegio. Vivere sotto scorta è quella cosa per cui io, da cinque anni, non posso più vedere il mare della mia Sicilia. Io a chi dice che è un privilegio gli farei fare una settimana della mia vita sotto scorta, della vita che sono costretto a vivere e non per aver fatto qualcosa di particolare, ma per aver fatto solo il mio dovere». A parlare, nella sala consiliare del Municipio di Pescara, è il giornalista Paolo Borrometi, presidente di Articolo 21, da anni costretto a vivere sotto scorta perché minacciato dalla mafia, che questa mattina ha partecipato all'incontro organizzato dal Sindacato dei giornalisti abruzzesi, in collaborazione con la Federazione nazionale della Stampa italiana, dal titolo 'Armi&Bavagli' contro la libertà di stampa. Un incontro sui diritti e doveri dei giornalisti tra deontologia e minacce e che ha affrontato anche i temi delle querele temerarie e del precariato.

«Oggi non posso che partire dall'articolo 21 della Costituzione – ha detto Borrometi – non solo come diritto e dovere di informare da parte dei giornalisti, ma soprattutto come diritto dei cittadini ad essere informati». Un diritto che deve fare i conti, spesso, con minacce, come quelle a cui sono sottoposti numerosi giornalisti che si occupano di inchieste scottanti, o con quelle querele temerarie oggi proposte soprattutto in sede civile e spesso utilizzate come deterrente soprattutto nei confronti dei precari.

«Se un giornalista piace alle persone di cui scrive non è un merito, c'è qualcosa che non va – ha detto ancora Borrometi –. Non siamo tutti uguali, dobbiamo dirlo. Io quando sono stato aggredito e lasciato mezzo morto prendevo 3,10 euro lordi ad articolo e le spese sanitarie me le sono pagate da solo. Quando ho chiesto una mano al giornale mi è stato detto che non potevano fare niente perché non ero assunto».

Poi la questione delle querele temerarie: «Il fatto che nel procedimento penale spesso non si arrivi a processo non vuol dire che il problema non esista. Io ho ricevuto una novantina di querele, 84 sono state archiviate, ma in una cinquantina di casi sono stato sottoposto ad interrogatorio e ogni volta mi sono dovuto pagare un avvocato e sono uno sporco precario. Qualche settimana fa è stata archiviata una querela nei miei confronti da parte di un capomafia di Siracusa. Non contento mi ha chiesto 100mila euro in sede civile».

Secondo i dati raccolti da Ossigeno per l'informazione dal 2006 ad oggi sono oltre 3600 le intimidazioni accertate e certificate come violazioni della libertà di stampa. Di queste 137 solo nei primi 5 mesi del 2018 di cui: 2 in Abruzzo, 19 in Lazio, 22 in Sicilia, 37 in Campania. Oltre 6800 sono invece i procedimenti avviati ogni anno nei tribunali italiani, oltre 5000 le querele ritenute infondate (quasi il 90% del totale), più di 45 milioni di euro le richieste danni.

Questi alcuni dei dati illustrati dal segretario del Sindacato dei giornalisti abruzzesi e membro della giunta esecutiva della Fnsi, Ezio Cerasi, nel corso dell'incontro organizzato in Comune, a Pescara.

Nel corso della mattinata Cerasi, che ha fatto anche le veci del presidente della Federazione, Giuseppe Gulietti, assente per questioni di salute, ha sottolineato più volte come il tema della libertà di stampa e delle minacce sia intimamente connesso a quello del precariato. «Il precariato e le minacce esprimono l'attacco alla professione giornalistica e dunque l'attacco all'articolo 21 della Costituzione – ha detto – un attacco che limita il dovere di noi giornalisti ad informare i cittadini e il diritto dei cittadini ad essere informati. Non servono altre parole per capire la condizione di un cronista precario e o minacciato. Il sindacato, ma non da solo, ha il dovere di tenere alta l'attenzione su questi disvalori che minano i principi democratici».

Il segretario Sga ha poi sottolineato come ci siano diversi modi per tentare di imbavagliare l'articolo 21 della Costituzione: «Ci sono giornalisti minacciati tanto da vivere sotto scorta come Paolo Borrometi e ci sono giornalisti minacciati con le querele e le citazioni temerarie. Si posso brandire le armi e gli esplosivi come nel caso di Paolo, così come si possono brandire le querele e metterle in pratica. L'obiettivo è lo stesso: il bavaglio del giornalista che fa semplicemente il suo mestiere».

Da qui la necessità di una riforma complessiva dove l'abolizione del carcere per i giornalisti non può e non deve diventare oggetto di baratto. «Serve un deterrente perché ormai le querele penali sono paradossalmente passate in secondo piano. Gli 'imbavagliatori' – ha continuato Cerasi – preferiscono la citazione civile, più efficace come minaccia. Nel civile non esistono filtri preventivi. Di converso le querele limitano tempi e spese processuali perché la procedura penale prevede il vaglio di un Pm e di un gip che valutano la fondatezza della citazione. Il rischio di archiviazione è molto alto per il querelante e in tempi molto più rapidi. Nessuno pensa di comprimere il diritto del cittadino a difendere la propria onorabilità, ma dall'esercizio del diritto non si può scivolare nell'abuso del diritto con il chiaro intento di fermare il cronista con la 'schiena dritta' in una fase storica in cui il giornalismo e i giornalisti sono diventati più deboli a causa del precariato, con contratti anomali e compensi molto spesso troppo bassi per essere dignitosi».

Una situazione in cui l'autocensura rischia di diventare una rifugio inevitabile. «Il vero problema – ha concluso Cerasi – è lo stallo in cui versa la nuova legge. Appare evidente l'assenza di volontà ad affrontare un tema così importante per la libera informazione in un Paese che rischia di essere meno libero. Altrettanto evidente è la volontà di quanti immaginano e pretendono un giornalismo asservito, cronisti che non fanno domande, non fanno inchieste. Questa è una battaglia di comunità che deve unire i giornalisti e tutta la società civile, chi informa e chi vuole e deve essere informato. Nessuno si salva da solo».

All'incontro, oltre al giornalista sotto scorta e presidente di Articolo 21 Paolo Borrometi, erano presenti anche il presidente dell'Ordine dei giornalisti Stefano Pallotta, il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara Massimiliano Serpi e l'avvocato Ugo Di Silvestre, consigliere dell'ordine forense.

@fnsisocial

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