Africa: intollerabile
la condizione dei giornalisti
in molti paesi
dell'Unione
L'Ifj dichiara:
"i governi si impegnino
a garantire i diritti umani
e a promuovere
la libera espressione"
Fonte: Informazione Senza Frontiere Traduzione: Sara Mannocci “I giornalisti africani che si trovano detenuti hanno diritto ad essere rilasciati ed è necessario abrogare tutte le leggi che si oppongono alla libertà di espressione”. Questo è il senso della petizione lanciata il 5 giugno scorso da CREDO, organizzazione internazionale in difesa dei diritti umani con sede in Senegal e a Londra, e da “Fahamu” associazione impegnata nella difesa del progresso sociale in Sud Africa attraverso l’informazione e le tecnologie di comunicazione. L’International Federation of Journalists (IFJ) ha dato pieno appoggio alla petizione, che il prossimo luglio sarà presentata al Meeting dei Capi di Stato dell’Unione Africana a Maputo e rivolta al Presidente sudafricano Thabo Mbeki, attualmente in carica ai vertici dell’Unione Africana. “Nella maggioranza dei paesi africani i giornalisti lavorano in condizioni intollerabili”, ha commentato Aidan White, Segretario generale Ifj, perché non si ha riguardo per la loro situazione sociale e professionale, per i diritti sindacali e i fondamentali diritti umani”. Secondo la Federazione, i governi devono rendersi conto che la promozione della tolleranza, della responsabilità politica e della partecipazione popolare ai processi decisionali, sono fattori chiave per la crescita dell’Africa e quindi anche di un giornalismo libero e indipendente. Un ruolo importante in questo processo è quello dell’Unione Africana, che dovrebbe approvare i principi stabiliti nella Dichiarazione di Windhoek del 1992 e rispettare le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro così come gli standards in ambito professionale. “Gli impegni presi dall’Unione sono lontani dal concretizzarsi” ha concluso Aidan White “al contrario la spaventosa situazione dei giornalisti in Eritrea e Zimbabwe, tra i primi paesi a firmare l’atto costituivo dell’Unione, non suscita alcun tipo di reazione. Questa politica delle “belle parole” getta ombre sulle prospettive di democrazia e sul futuro delle ambizioni dell’Unione Africana”.