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Sindacale 27 Nov 2007

XXV Congresso Nazionale Fnsi La relazione del Segretario Generale Fnsi Paolo Serventi Longhi

Pubblichiamo il testo integrale della relazione del Segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Paolo Serventi Longhi, al 25° Congresso Fnsi - 26-30 novembre 2007 - Castellaneta Marittima (Taranto)

Pubblichiamo il testo integrale della relazione del Segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Paolo Serventi Longhi, al 25° Congresso Fnsi - 26-30 novembre 2007 - Castellaneta Marittima (Taranto)

Care colleghe e cari colleghi, Per diverse ragioni questa non è una relazione facile. D’altra parte il XXV Congresso della Fnsi non è un congresso facile. Voi tutti conoscete la situazione di reale emergenza che ha vissuto negli ultimi tre anni, ma vorrei dire nelle ultime tre legislature, il sindacato unico e unitario dei giornalisti Italiani, a cominciare dalle vicende contrattuali di cui si parlerà a lungo in questa relazione. Molto si è scritto e detto circa una crisi del giornalismo, nel nostro paese e nel mondo, che si lega ad una altrettanto grave crisi dei media tradizionali. Voglio lanciare una provocazione: c’è crisi se noi vogliamo che vi sia, se accettiamo, in Italia e fuori, di svilire se non di cancellare la qualità giornalistica dei media e rinunciamo a rappresentare unitariamente quella costellazione di giornalismi, quei valori della professione che definiscono il nostro mestiere negli anni della quarta grande rivoluzione tecnologica, nell’era digitale e delle reti interconnesse, della globalizzazione dei media e della dilatazione ormai senza limiti del mercato dell’informazione. Le difficoltà a realizzare questa rappresentanza, a rinnovare e ridefinire i valori su cui unificare i giornalismi, non sono ovviamente sorte solo in Italia. In tutto il mondo occidentale, in Europa, in nord america crescono i problemi per chi vuole affermare il ruolo sociale e democratico della nostra professione. La tutela collettiva è in crisi, questo si. Le regole della contrattazione vengono negate specie ai collaboratori ed ai precari,. Il principio dell’indipendenza è ogni giorno vulnerato dalle distorsioni delle regole del mercato dei media e della pubblicità. Il fastidio dei poteri per le libertà e i diritti, ma anche per i doveri di una informazione corretta, produce continui conflitti nella società e nelle aziende pubbliche e private. L’ottimo lavoro che abbiamo fatto in seno alle organizzazioni internazionali dei giornalisti è a disposizione del congresso e della categoria. I documenti dei giornalisti europei, nord americani, delle colleghe e dei colleghi del terzo e quarto mondo dovrebbero essere letti e analizzati. Dobbiamo molto ad Aidan White, a Jim Boumelha, presidente dell’Ifj, che ci hanno fatto comprendere che siamo tutti parte di un movimento internazionale che si batte per il diritto dei cittadini ad una informazione corretta e non distorta, indipendente, contro i tentativi di condizionamento, magari del cosidetto populismo mediatico, se non di repressione violenta. Uno scontro continuo, sempre più duro tra il giornalismo che definirei “militante” e i poteri: dalla Cina alla Birmania, dall’Africa al Sud America, ma anche nella nostra Europa, in Russia e in UcRaina, i giornalisti veramente liberi sono intimiditi, perseguitati, talvolta uccisi. Si muore per le strade o in prigione. Si muore quando si cerca di raccontare le tante guerre osservando con i propri occhi e con i propri strumenti di video foto comunicazione la realtà, se gli invitati rifiutano di fare da passa veline degli eserciti. Ho come la sensazione che le stesse istituzioni sovrannazionali non abbiano più né la forza né la voglia di contrastare la repressione e di combattere seriamente per la libertà dei giornalisti. Abbiamo ricordato ieri i prezzi che il giornalismo Italiano e mondiale ha pagato in termini di vite umane, di feriti, delle migliaia di colleghe e colleghi in prigione in tanti paesi. Abbiamo ricordato Anna Politovskaja così come la strage di chi fa informazione in Iraq, in Afghanistan, ma anche nel Sud America. È questo il senso che la Fnsi ha dato alla partecipazione alle mobilitazioni per la pace, un bene prezioso per la libera informazione nel mondo. Una ragione che ci ha portato ad aderire come Federazione alla tavola della pace, l’organizzazione apolitica che promuove la marcia Perugia-Assisi. La solidarietà dei giornalisti italiani, che hanno perso colleghe e colleghi in gamba nelle guerre all’estero e in quelle che si combattono contro le mafie in Italia, non è mai venuta meno ma possiamo dire che si è rafforzata negli ultimi anni facendo del nostro sindacato uno dei più forti sostenitori delle federazioni internazionale ed europea. Ogni tanto la Federazione internazionale fornisce i dati drammatici della situazione. Se ne parla per un paio di giorni, poi tutto finisce lì. È triste constatare che, spesso, gli stessi cittadini in tutte le aree del mondo sembrano avvicinarsi alle notizie in modo sempre più passivo, acritico. Per poi lamentare l’invasività di una informazione commerciale, talvolta realmente dozzinale. Non è un quadro piacevole, questo. Ce ne rendiamo conto noi del sindacato Italiano che siamo convinti, come i nostri leader della Federazione internazionale, che solo l’affermazione dei valori fondanti della nostra professione, che solo una resistenza collettiva alla degenerazione del sistema può consentire di costruire un futuro di libertà per i nostri giovani colleghi. L’espansione degli strumenti della conoscenza, in un mercato che cambia vorticosamente, impone ai poteri pubblici, all’imprenditoria più seria e responsabile, a noi giornalisti comportamenti coerenti ai valori di indipendenza, autonomia e responsabilità. È proprio importante che i temi della debolezza del lavoro autonomo, delle condizioni di vita e di lavoro dei freelance, del rispetto del nostro mestiere siano quotidianamente posti alle istituzioni internazionali, dall’Unione europea alle Nazioni Unite, in un lavoro di lobbying che comincia a dare i suoi frutti. Abbiamo ricordato ieri le colleghe e i colleghi italiani e stranieri, che hanno perso la vita, assassinati mentre facevano il loro mestiere, abbiamo ricordato i colleghi feriti, sequestrati, minacciati e intimiditi. Abbiamo ricordato ieri un collega morto per cause naturali ma che è stato ed è un simbolo dell’autonomia e della libertà dell’informazione. Vogliamo continuare a ricordare Enzo Biagi perchè attorno alla sua figura si è raccolto un giornalismo pulito ma anche un pezzo di società che rifiuta i diktat, gli editti, le discriminazioni e ogni forma di intimidazione. Riteniamo sia giusto dedicare a lui questo nostro congresso. Colleghe e colleghi, i dirigenti che hanno guidato la Federazione della stampa negli ultimi anni si presentano ai delegati al congresso a testa alta, con la consapevolezza di essersi battuti per i principi che ricordavo, per aver ricercato e trovato l’alleanza di decine e decine di associazioni, sindacati e gruppi di cittadini. In una solidarietà senza precedenti a livello nazionale e internazionale. Proprio attorno a queste battaglie (contro la legge Gasparri, per una normativa contro il conflitto di interessi, per le riforme della Rai e dell’editoria) la Federazione della stampa, il sindacato dei giornalisti, si è qualificato come uno dei più importanti soggetti sociali di questo paese. Siamo un piccolo sindacato, con poco più di 24.000 iscritti, ma abbiamo saputo affermare una cultura politico-sociale che ha al centro il pluralismo e la qualità dell’informazione. Abbiamo affermato e affermiamo i diritti del giornalismo professionale, la sua indipendenza ma abbiamo anche rivendicato dalle colleghe e dai colleghi un forte impegno a realizzare notiziari, giornali, telegiornali e giornali radio fatti bene, corretti, che rispettassero la privacy dei cittadini ed in particolare dei minori e di tutti i soggetti deboli. Spesso l’appello alla responsabilità è stato accolto, altre volte no. Abbiamo condotto una battaglia, quindi, né politico-partitica né corporativa. Nella quale abbiamo difeso il giornalismo sotto attacco, il diritto di cronaca, la segretezza delle fonti ma nello stesso tempo i principi etici, la deontologia e la responsabilità del giornalismo. Qualcuno ci ha accusato di schierarci, di aver fatto politica di parte. Non è mai stato così: abbiamo criticato anche duramente il governo presieduto dal più importante imprenditore televisivo privato, abbiamo contestato le discriminazioni e gli editti bulgari contro Biagi e Santoro, contro la satira e la cultura non omologate, contro le leggi ad personam, i giudizi liquidatori di un giornalismo accusato di essere, in prevalenza, parziale perchè “comunista” e cioè non allineato alle forme ed alla pratica dell’informazione berlusconiana. Per questo abbiamo contribuito ad organizzare decine di iniziative e di manifestazioni per la libertà dell’informazione. A cominciare da quelle che abbiamo fatto davanti alle aule parlamentari. Con l’aiuto di grandi organizzazioni e di grandi persone, alcune delle quali saranno con noi in questi giorni. Ricordiamo il grande lavoro che molti di noi, che il sindacato dei giornalisti ha fatto in Italia e in Europa per affermare il diritto a conoscere liberamente e contro ogni forma di censura. Ricordiamo i viaggi a Bruxelles di un gruppo di noi, insieme alle confederazioni e all’associazione articolo 21, per ottenere un documento chiaro del parlamento europeo contro le discriminazioni e il pensiero unico. Nel rileggere in questi giorni i numeri del periodico “giornalisti” edito dagli organismi della categoria, e ottimamente diretto fino a qualche settimana fa da Michele Urbano, abbiamo ripreso in mano il “manifesto per la libertà e il diritto all’informazione” presentato e approvato da decine di organizzazioni, sindacati, movimenti e associazioni tra le quali assai rilevate fu il contributo della Fnsi. Era il gennaio del 2004 ed all’Auditorium della musica a Roma migliaia di persone parteciparono agli “stati generali dell’informazione e della cultura” . Parlavamo ancora come oggi di reti e convergenza, del web e del digitale, ma soprattutto di diritti. Oggi quelle giornate esaltanti sembrano cancellate dalla memoria. Sembra che tutto ciò non sia mai accaduto e il confronto politico e sociale sul ruolo dell’informazione si sia dissolto nelle pastoie di una stagione priva di passione e di desiderio di partecipare e contare. E gli anatemi di Grillo, sparati ad altezza d’uomo contro tutto e tutti, non fanno che allontanare la gente dalle battaglie di civiltà. i valori che affermavamo sono sempre validissimi: ho chiesto alla Federazione di distribuire il testo di quel documento. Chiedevamo che il cinema, il teatro e la satira, ad esempio, potessero esprimersi senza censure. È vero o no che la tentazione del bavaglio non è scomparsa del tutto? Vi sentite imbarazzati se riproponiamo questi temi? D’altra parte esprimiamo oggi grande disagio quando l’attuale governo, che ha fatto della libertà dell’informazione un cavallo di battaglia, da quasi due anni non cambia una sola delle leggi berlusconiane. Lasciando il sistema in una condizione di squilibrio che proprio in queste settimane sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte testate di opinione e di idee, edite in cooperativa, di emittenti locali. Ci auguriamo che la legge sull’editoria proposta dal sottosegretario Ricardo Franco Levi si traduca presto in legge dello stato per dare certezze ad un settore che, a parte i soggetti finanziariamente più solidi, versa in uno stato di oggettiva difficoltà. Il sostegno pubblico al settore è indispensabile ma va selezionato eliminando i contributi per gli avventurieri e le false cooperative o fondazioni. E l’informazione di base, il sistema delle agenzie nazionali di stampa non può essere abbandonato a se stesso. Tra le riforme che la politica ci dovrebbe dare e continua a rinviare ci sono le leggi sull’emittenza. Al Governo Prodi e al Parlamento diciamo che è finito il tempo dell’attesa. È trascorso un anno e mezzo dall’inizio della legislatura e sono ancora in alto mare tanto la nuova regolamentazione complessiva del sistema radiotelevisivo, quanto il nuovo assetto della Rai, sui quali il centrosinistra aveva assunto precisi impegni di programma. Al di là di un apprezzabile metodo di confronto con le rappresentanze sindacali, non si avverte l’urgenza di interventi decisivi per il pluralismo e per l’autonomia dell’informazione. Il disegno di legge sull’emittenza si propone di intervenire sull’anomalia italiana, cioè lo squilibrio nella ripartizione delle risorse pubblicitarie fra tv e carta stampata (nel denunciare il quale troppo flebile è stata in questi anni la voce della Fieg). Ma l’occasione va colta per aprire tutti i mercati: impedendo il riproporsi del duopolio analogico nel digitale terrestre e aprendo anche il monopolio che si è determinato nel digitale satellitare. Tutti i soggetti, naturalmente anche Mediaset e Sky, così come la 7 ridimensionata e finora resa marginale nonostante i generosi sforzi di che vi lavora. Tutti hanno diritto a stare sul mercato, senza penalizzazioni né privilegi. Serve inoltre che il passaggio del sistema al digitale terrestre venga imboccato con maggiore decisione e che offra davvero una chance di pluralismo. Quanto alla Rai, è sotto gli occhi di tutti l’impossibilità di un governo aziendale nelle condizioni stabilite dalla legge Gasparri. Il servizio pubblico viene soffocato e reso incapace di fronteggiare la concorrenza da una rete di regole pensate solo per garantire l’intervento del governo e dei partiti. È indispensabile che ora, di fronte all’ennesimo pasticcio politico-legale (mi riferisco al caso Petroni), vengano stralciate e urgentemente approvate le norme sui nuovi criteri di nomina del vertice aziendale. Il disegno di legge Gentiloni, con la proposta della fondazione e di una pluralità di fonti di nomina per il cda, può indicare una direzione di marcia che sottragga la Rai al dominio del governo di turno. Il sindacato dei giornalisti, che nella scorsa legislatura ha combattuto con grande determinazione contro la legge Gasparri, ritiene inaccettabile che essa possa essere di nuovo applicata per la scelta dei futuri amministratori. Prima c’era un governo di centrodestra ed oggi c’è un governo di centrosinistra, ma per la Fnsi nulla cambia nel rifiuto di un modello di subordinazione del servizio pubblico al padrone politico di turno. L’assoluta gravità dei contenuti delle intercettazioni delle conversazioni tra i dirigenti Rai e mediaset che si consultavano e concordavano il “taglio” dell’informazione in momenti delicati della vita pubblica, impone misure serie per risolvere il conflitto di interessi, ridurre drasticamente il peso della politica sul servizio pubblico e anche nei network privati e rassicurare quelle centinaia di colleghe e colleghi che nelle testate Rai e Mediaset fanno onestamente il loro dovere di informare. Quanto alla riforma Rai è difficile dire se la soluzione Gentiloni, quella di una fondazione espressione anche della società civile, possa essere integrata da quella che ipotizza la nomina di un amministratore unico. Sarebbe utile accertare che la riforma della Rai ne prevedesse, comunque, la rigorosa autonomia funzionale e gestionale. Ed in questo senso la Fnsi dovrà continuare a sostenere la grande battaglia del sindacato dei giornalisti del servizio pubblico, l’Usigrai, perchè il lavoro delle colleghe e dei colleghi della Rai si svolga davvero senza alcun condizionamento partitico, qualunque sia lo schieramento al potere. Certo, il lavoro istituzionale, politico e sociale della Fnsi è solo una parte dell’impegno del sindacato dei giornalisti per lo sviluppo delle condizioni di vita e di lavoro, delle retribuzioni, dei diritti di tutti i giornalisti italiani. Sono due facce della stessa medaglia, di una rappresentanza che, come recita lo statuto federale, ha il compito della tutela morale, professionale e materiale della categoria. È l’unica citazione di questa relazione e fa riferimento a quanto prevede la nostra carta costitutiva: la Fnsi deve affermare “la propria politica sindacale di rappresentanza e di iniziativa per arricchire la funzione del giornalista e la dignità della professione, nonchè per promuovere la presenza del sindacato nella azienda editoriale al fine di giungere ad una sempre più diretta partecipazione autonoma del giornalista, quale testimone attivo della vita del paese. Con questo orientamento basilare la Fnsi intende ribadire la sua funzione di presidio dell’unità della categoria, al di fuori e al di sopra di partiti, confessioni o ideologie”. Sono parole pesanti, frutto della elaborazione di gruppi dirigenti che si sono susseguiti in quasi 100 anni di storia, dall’epoca in cui (ricorda Giancarlo Tartaglia) i contratti si stipulavano alla fine di un pranzo con una stretta di mano, all’attuale e gravissima crisi delle relazioni sindacali con gli editori della Fieg. Certo, noi più dei nostri padri o nonni, abbiamo avuto a che fare con una cultura imprenditoriale che, nel ricercare il profitto, solo raramente ha considerato essenziale la battaglia per l’autonomia dei media. Domanda: per quanti imprenditori la notizia e gli strumenti della comunicazione di loro proprietà sono un veicolo di conoscenza e di cultura? Per quanti è ancora vivo l’orgoglio di fare dei prodotti di qualità, realizzati con impegno e correttezza? Per anni abbiamo sognato un dialogo aperto, approfondito e franco, con gli imprenditori della comunicazione. Un dialogo sui cambiamenti, sull’appiattimento dei prodotti, sugli investimenti e sui costi della qualità. L’informazione, il giornale, il notiziario radiotelevisivo, le notizie delle agenzie di stampa e del web non sono una merce come tutte le altre. Lo abbiamo ripetuto fino allo sfinimento, conoscendo le regole del mercato e della pubblicità, sostenendo la necessità che una impresa produca utili per sopravvivere e, naturalmente, espandere l’occupazione. Finora questo nostro sforzo ha trovato solo in poche circostanze e con pochi interlocutori una risposta soddisfacente. Molti editori di tutti i settori produttivi ci hanno più volte lanciato il messaggio che l’informazione fatta bene, un giornalismo professionale che afferma la sua dignità, rappresentano degli optional. Noi crediamo invece che sia possibile contemperare qualità e competitività dei prodotti mediatici. Che il mercato non possa fare a meno delle caratteristiche e del frutto del lavoro giornalistico. La stessa competizione è fortissima in quel microcosmo che è il nostro paese. La competizione si gioca sulla credibilità dei media, sul valore aggiunto costituito dalla qualità piuttosto che dai gadget o dagli allegati. Vedete, è proprio questo quello che abbiamo voluto dire quando abbiamo sollecitato il sottosegretario levi a porre nella legge che porta il suo nome il problema della trasparenza dell’impresa editoriale, di uno statuto. Non abbiamo chiesto organi di controllo o autogestione, ma più semplicemente che sia ad esempio possibile conoscere la ragione sociale, palese oppure occulta, dell’editore. Non abbiamo pregiudizi nei confronti di alcun imprenditore del settore dell’informazione che rispetti le regole e i contratti. Certo è singolare, e forse preoccupante, che un imprenditore sanitario investa in un giornale di sinistra ed allo stesso tempo ne editi uno di centro destra. Nello scontro sui contratti c’è stato anche questo, c’è stata una divergenza di opinioni di fondo. Ma c’è stata anche l’insofferenza di alcune grandi e medie imprese editoriali per l’organizzazione del lavoro giornalistico basata sulle redazioni, il rifiuto di principio dei diritti di informazione e di controllo del sindacato, di relazioni sindacali regolate a livello regionale e aziendale. Lo diciamo con il rispetto comunque dovuto alla Fieg, anche dopo mille giorni di durissimo scontro. Lo diciamo all’ambasciatore Boris Biancheri, al direttore della Fieg Alessandro Brignone, all’avvocato Marco Rossignoli, presidente aeranti –corallo e agli altri rappresentanti dell’impresa che saranno presenti a questo congresso e anche agli assenti. È il nostro statuto, signori, a imporci di affermare l’unità e la dignità di tutti i giornalismi, delle colleghe e dei colleghi che operano in tutti i settori produttivi, nei giornali, nelle radio e nelle televisioni, nelle agenzie, nel web, negli uffici stampa, e non ci può essere chiesto di rinunciarvi. Sono sicuro che su questa considerazione il congresso è unanime. Noi sappiamo che nei luoghi di lavoro molto spesso le giornaliste, i giornalisti sono soli, talvolta con rapporti subalterni e frustranti nei confronti di interessi esterni all’informazione. Qualche volta sono impegnati a farsi la guerra l’uno contro l’altro, e raramente la solidarietà riesce a pesare sulle scelte individuali e collettive. Con i colleghi che hanno un rapporto stabile, preoccupati della voglia di lavoro di coloro che sono fuori, che fanno la professione in un regime di lavoro autonomo, da collaboratori e freelance. In una parola da precari, i più deboli, molto spesso sfruttati e pagati pochissimo o non pagati affatto. Noi intendiamo proporre a questo congresso di continuare, anzi di rafforzare tutte le iniziative del sindacato per dare un futuro dignitoso di lavoro e di tutele ai colleghi precari, ai freelance. Lo abbiamo chiesto al sistema delle imprese ricevendo molti no e pochissimi forse. Lo abbiamo chiesto al governo e al parlamento e proprio in questi giorni il senato e la camera stanno discutendo le prime risposte positive contenute in provvedimenti del governo che riguardano la previdenza, l’assistenza sanitaria e il lavoro di questi colleghi. Non voglio ignorare il fatto rilevante che il documento messo a punto dal ministro del lavoro sia stato approvato anche dalla Federazione Italiana Editori Giornali. È stato un passo importante, non scontato e che ha socchiuso una porta, forse quella più difficile dell’intera partita contrattuale. L’aumento dei contributi per i collaboratori giornalisti, la speranza di una pensione dignitosa, le norme che favoriscono la stabilizzazione sono il frutto di un duro lavoro compiuto insieme dal sindacato e dall’Inpgi. Anche se alcuni problemi restano insoluti. Vedete, voglio partire proprio da questa circostanza per sottolineare che il lungo scontro contrattuale con la Fieg, la stessa apertura sugli autonomi delle scorse settimane, devono indurre il sindacato dei giornalisti a guardare al futuro con fiducia e coraggio. Certo, non sembra ancora superata l’opposizione della nostra controparte Fieg all’apertura delle trattative, alla nostra piattaforma, all’autonomia e alla solidità finanziaria dell’Inpgi, all’esistenza stessa dell’ordine dei giornalisti, della Casagit e del fondo di previdenza complementare. Il lavoro è quindi ancora durissimo. Ma occorre che il nostro sindacato si metta in gioco, ribadisca solennemente in congresso la disponibilità, già più volte manifestata, a discutere di tutti i punti delle piattaforme, con la forza di ragionare sulle nostre stesse richieste. Che restano, naturalmente, ben presenti alla nostra memoria ma che richiedono un necessario e opportuno aggiornamento. Lo sappiamo da tempo: il nostro mestiere sta cambiando radicalmente, gli strumenti per acquisire le informazioni, per rielaborarle e per trasmetterle ai lettori e utenti sono ormai moltiplicati e diversi tra loro . Sono passati 1000 giorni dalla scadenza del contratto Fieg, e in questi quasi tre anni molte sono state le trasformazioni nel sistema dei media. Lo abbiamo detto e lo possiamo oggi ripetere: vi sono le condizioni per il negoziato con la Fieg. Vi sono le condizioni per una trattativa serena e più avanzata sul salario, sulla multimedialità, sulle relazioni sindacali. C’è la possibilità di rileggere insieme il contratto Fieg, di far crescere il contratto dell’emittenza radiotelevisiva locale, di percorrere strade finora inesplorate per dare finalmente un contratto ai giornalisti degli uffici stampa pubblici. Certo, non spetta a noi, che stiamo terminando un percorso sindacale, offrire le soluzioni specifiche, tecniche, definire i limiti del coraggio cui facevo riferimento. Saranno le commissioni contrattuali, sarà la futura giunta a definire le soluzioni accettabili, ma penso che oggi più che mai vi siano le condizioni per cambiare strada e seguire quella del confronto a tutto campo, del dialogo, della costruzione di nuove regole contrattuali. I contratti non sono solo un’esigenza nostra, dei lavoratori giornalisti. Senza regole definite prevarranno gli interessi particolari, si affermerà la legge della giungla, la stessa competizione tra aziende corrette ed altre assai disinvolte non potrà che penalizzare gli imprenditori che hanno accettato di rispettare le regole. Esprimiamo così una convinzione profonda e radicata dopo i 1000 giorni del mancato rinnovo del contratto Fieg. Figuratevi se intendiamo sfuggire ad una approfondita riflessione su questa fase e sui comportamenti del gruppo dirigente che lascia. Il sindacato dei giornalisti affronta il giudizio del congresso sulla stagione contrattuale ancora aperta, ancora una volta, a testa alta, conoscendo perfettamente il gravissimo disagio, potrei dire il dramma di un contratto non rinnovato. Affrontare il giudizio dei delegati a testa alta non rappresenta un atto di superbia o di arroganza. Noi non abbiamo ceduto ai tentativi degli editori di smantellare le regole contrattuali. Abbiamo deciso di sostenere con grande coerenza le nostre richieste di tutela e dignità per i colleghi più deboli. Per convincere la nostra controparte abbiamo utilizzato lo sciopero anche massicciamente. Fino a questo momento non siamo riusciti a convincere gli editori e non era mai accaduto nella storia del nostro sindacato che si arrivasse ad un congresso con un contratto non rinnovato da quasi tre anni. Rilevanti sono state le critiche e le preoccupazioni che sono venute dall’interno della categoria, così come imponente è stata la solidarietà che ci è arrivata dal mondo istituzionale e politico e dalle grandi confederazioni sindacali dei lavoratori. Oltre alla relazione della giunta, è in distribuzione un volume con le testimonianze di esponenti delle istituzioni, dai presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano, ai presidenti delle Camere, all’attuale Presidente del Consiglio, alle forze politiche di maggioranza e di opposizione. Ma anche di numerosissimi cittadini, associazione e organizzazioni della società civile. Le confederazioni sindacali, alle quali ci lega un patto storico vecchio di sessant’anni, ci hanno sostenuto, anche perchè il mancato rinnovo del contratto dei giornalisti rappresenta una ferita per il diritto alla contrattazione in tutti i settori produttivi, a cominciare dal pubblico impiego. Dai direttivi di Cgil, Cisl e il è venuta la proposta di una partecipazione dei giornalisti allo sciopero generale di gennaio per i contratti scaduti. Rispondo che sarà il nuovo gruppo dirigente a decidere. Personalmente sono d’accordo, partendo da quella manifestazione di tutti i lavoratori già lanciata al forum di Gubbio. Ci vuole però una piattaforma autonoma della Fnsi e un reciproco affidamento per avviare subito l’ esame congiunto di tutti i problemi contrattuali non risolti dei settori che rappresentiamo.. Occorre rispondere alle critiche di alcuni colleghi alla segreteria e alla giunta nel modo più chiaro possibile. Abbiamo sottolineato che tutti i nodi della vertenza, dalla predisposizione della piattaforma alla scelta di rifiutare l’attacco all’Inpgi, sono stati sciolti dopo un’ampia discussione ed un voto negli organismi della Fnsi (giunta, consulta delle associazioni regionali, consiglio nazionale, commissione contratto, conferenza dei comitati e fiduciari di redazione). La maggior parte dei pronunciamenti degli organismi della categoria è avvenuta con voto unanime e solo raramente a larga maggioranza. La conferenza nazionale dei cdr e dei fiduciari ha elaborato e votato all’unanimità il 6 aprile 2005, la piattaforma rivendicativa. Le 77 richieste sono a disposizione di tutti e noi abbiamo ritenuto di difendere la validità concettuale e la coerenza sindacale delle richieste sul lavoro autonomo e precariato, sul governo contrattato delle flessibilità e sull’utilizzo delle prestazioni multimediali, oltre che sulle relazioni sindacali nelle aziende. La piattaforma, quindi, pur datata, mantiene punti validi. Certo, il documento, come detto, va aggiornato, occorre tenere conto dei cambiamenti nel sistema produttivo e delle nuove leggi sulla previdenza e il lavoro autonomo in discussione in parlamento e basate su una sostanziale intesa tra le parti. Abbiamo letto più volte e discusso la risposta che gli editori diedero alla nostra piattaforma. Ne presentarono una loro che, se accolta, avrebbe introdotto pericolosi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e uno stravolgimento della struttura retributiva. Un passaggio cruciale della vertenza fu l’ipotesi di un accordo ponte di due anni. Occorre su questo fare la massima chiarezza: nell’ottobre-novembre del 2005, dopo una accesa discussione al nostro interno, la Fnsi accettò di discutere questa soluzione ponendo due condizioni entrambe importanti: un percorso di analisi in commissioni bilaterali e un successivo negoziato sul lavoro autonomo e le collaborazioni dei giornalisti; una intesa sulle nuove flessibilità introdotte dalla legge 30, intesa peraltro prevista da quella stessa legge. Queste richieste di garanzia furono respinte dalla Fieg che propose una intesa esclusivamente economica. Una posizione che il sindacato non poteva accettare tanto che la proposta ultimativa della Fieg fu a sua volta respinta all’unanimità dalla giunta della Fnsi. Io credo che il sindacato dei giornalisti abbia fatto bene a scegliere di schierarsi con i più deboli, a non abbandonarli al loro destino. E poco dopo le garanzie richieste e rifiutate dalla Fieg furono accolte dall’associazione delle emittenti locali aeranti-corallo nell’accordo economico biennale firmato nel dicembre 2005. Da allora la Fieg ha ostinatamente rifiutato il tavolo contrattuale per un accordo transitorio. Lo stesso avvio del negoziato sulla piattaforma per il quadriennale è stato respinto dagli editori generando un conflitto senza precedenti nella storia della contrattazione in Italia. Ne è nato anche un altro grave momento di scontro. La Fieg rifiutò di sottoscrivere le intese con la Fnsi sulla riforma delle prestazioni previdenziali dell’Inpgi, approvata sia dagli organi dell’istituto sia dal sindacato. La riforma è stata resa operativa solo dopo il decisivo intervento del ministero del lavoro. La crisi sull’Inpgi è tuttora aperta, anche se la presa di posizione del ministro damiano, indotta da un parere del consiglio di stato, richiesto dallo stesso ministero, consente di guardare con fiducia alla possibilità che le delibere dell’istituto possano essere ritenute approvate dal ministero anche senza l’intesa formale tra le parti sociali, quando questa non sia stata realizzata “tempestivamente”, evitando così il veto strumentale di una delle parti. La Fieg, successivamente, integrò le proprie rivendicazioni con una richiesta alla Fnsi di stipulare intese tra le quali quella di rendere paritaria la presenza di giornalisti ed editori nel consiglio di amministrazione dell’Inpgi. Condizione che la Fieg pose al tavolo ministeriale in cambio di una intesa sulle delibere dell’istituto. La Fnsi respinse questa condizione facendo cadere tutte le ipotesi di aumento anche parziale del numero dei rappresentanti Fieg nel cda. La trattativa contrattuale, anche per la resistenza della Fnsi ad accettare le richieste della Fieg sull’Inpgi, quindi, non decollò. E ciò nonostante i ripetuti interventi del ministro del lavoro che, nell’ottobre dell’anno scorso, tentò di convocare le parti. Proprio in quella occasione, l’11 ottobre, il sindacato dei giornalisti fece il massimo sforzo possibile di apertura alla controparte, dichiarandosi disponibile a mettere nel cassetto la piattaforma e a discutere tutti i temi posti dagli editori, naturalmente insieme alle rivendicazioni dei giornalisti. Riteniamo di aver fatto il nostro dovere. In quella circostanza, abbiamo messo in campo una grande capacità di guardare al cambiamento. E la Fieg fece un errore che rischia tutt’oggi di devastare il sistema dell’informazione. Gli editori respinsero persino l’invito del ministro Damiano ad aprire tavoli tecnici su tutte le questioni aperte. A cavallo di quella data partì il tavolo tecnico-politico al ministero del lavoro sulla previdenza e quello sul mercato del lavoro giornalistico. Potete seguire la cronistoria dettagliata della vertenza nella relazione della giunta esecutiva. Ci sembra importante sottolineare però che la battaglia contrattuale, con il duro sacrificio della categoria, ha condotto ad alcuni risultati positivi che devono essere patrimonio di questo congresso e di tutto il sindacato. L’accordo sul welfare, le norme sulla contribuzione previdenziale e sul lavoro dei giornalisti collaboratori sono certamente insufficienti. Ma rappresentano un primo, fondamentale passo sulla strada di una rappresentanza davvero unitaria di tutti i giornalismi. L’accordo è allegato alla relazione della giunta esecutiva e ritengo importante che tutti i delegati lo leggano e ne valutino la portata. Nelle decisioni del Ministro del Lavoro sulle delibere Inpgi e nell’intesa sul welfare possiamo riconoscere il frutto di un lavoro duro, condotto con pazienza certosina dalla segreteria e dal dipartimento sindacale della Federazione con l’impegno diretto insostituibile dell’Inpgi ed in particolare del presidente e del direttore generale. Restano fuori tre problemi essenziali: 1) il governo deve onorare l’impegno a farsi carico dei costi degli ammortizzatori sociali, ed in particolare dei prepensionamenti, degli stati di crisi delle aziende del settore. 2) non può essere consentito che le aziende possano aggirare le nuove norme sulle collaborazioni attraverso le cessioni di diritti d’autore. 3) occorre una regolamentazione legislativa specifica per i contratti a tempo determinato che oggi rappresentano oltre il 20% dei contratti di lavoro giornalistico con la contribuzione versata alla gestione principale dell’Inpgi. Sono questi elementi che non appartengono tanto alla contrattazione tra le parti, quanto alla responsabilità del governo e del parlamento. E sui quali la nuova giunta sarà chiamata a sollecitare l’esecutivo e le forze politiche. La Federazione della stampa, spesso all’unanimità, talvolta a maggioranza, ha chiamato i giornalisti a dure azioni di lotta: 18 giorni di sciopero per quasi tutti i giornalisti dipendenti. Abbiamo usato lo strumento democratico dello sciopero con responsabilità, equilibrio ma anche con durezza. Ne siamo consapevoli. Abbiamo ricevuto molte critiche, dall’esterno e dall’interno della categoria. Ma abbiamo dimostrato di tenere, di poter gestire unitariamente uno scontro così forte. Se è vero, come è vero, che gli ultimi scioperi alla fine del 2006 hanno avuto una partecipazione addirittura più alta delle prime astensioni del 2005. Dobbiamo ringraziare tutte le strutture del sindacato dei giornalisti per la capacità di dimostrare al paese che la categoria è capace di mobilitarsi non solo e non tanto per un aumento retributivo ma per far crescere i diritti e le tutele dei più deboli. Onorando così le regole statutarie che il sindacato si è dato con un gesto di solidarietà dall’esito non scontato. Abbiamo commesso errori nella gestione delle lotte? Può darsi che questa o quella data di uno sciopero non siano state del tutto azzeccate. Possiamo però dirci che la nostra mobilitazione ci ha consentito di porre alle istituzioni e al paese con grande forza il problema della dignità del giornalismo Italiano e ha fatto capire alle imprese che la categoria è disposta a discutere e a trovare accordi ragionevoli ma non a svendere o smantellare il proprio patrimonio sindacale e contrattuale. Oggi però dobbiamo avere l’intelligenza e il coraggio, come ho già detto, di aprire davvero le porte al dialogo. Il sistema contrattuale dei giornalisti ha dei limiti precisi, in alcuni aspetti risulta inadeguato alle nuove forme che ha assunto la professione. Sul tema della multimedialità ad esempio, non possiamo arroccarci in una strenua difesa del vecchio modo di concepire il giornalista dipendente. Il contratto, così come è, finisce per rendere difficile il governo dei processi di innovazione che è possibile solo nelle grandi realtà aziendali, mentre nelle piccole imprese la flessibilità si realizza spesso seguendo la volontà di direttori giornalistici e aziendali. Le norme contrattuali possono essere riviste, come dimostrano alcuni accordi raggiunti da comitati e fiduciari di redazione in alcuni grandi gruppi. Lo stesso sistema delle imprese non può ignorare che la competitività si gioca in modo più corretto se esistono regole contrattuali paritarie. Per aziende dello stesso settore. È per questo che la sfida del cambiamento deve essere accolta, che i negoziati contrattuali debbono poter prevedere soluzioni più avanzate e realistiche. Così come il riconoscimento professionale del lavoro non può essere ancorato ad un sistema classificatorio che lega qualifiche a mansioni ormai fuori dal tempo. A proposito, vorrei chiedere a chi ha sostenuto, nella girandola di proposte della nostra campagna elettorale, l’introduzione della qualifica del giornalista stenografo, se sa che si tratta di una figura cardine dei giornali degli anni quaranta regolata nel contratto di lavoro del 1947. Figuriamoci! Bisogna invece introdurre un vero riconoscimento delle capacità professionali, dell’aumento incontestabile della produttività del lavoro giornalistico. Ha ragione chi dice che al lavoro prestato deve poter realmente corrispondere un salario adeguato. Sia a tempo indeterminato sia, e sarebbe questa una grande innovazione, per periodi limitati di tempo nei quali il giornalista è chiamato a svolgere una funzione. Ma anche per i collaboratori. Cambiare non significa stravolgere, ma il nodo non può che essere quello che lega la produttività al reddito. Senza volere per questo cancellare il sistema degli adeguamenti automatici del salario che è nella storia e nella ragione stessa dell’autonomia del giornalista. È possibile su questo tema discutere con gli editori senza rinunciare al principio che deve vedere la progressione economica del singolo comunque indipendentemente dal suo ruolo gerarchico? Vedete come stiamo toccando argomenti delicati, rispetto ai quali la responsabilità delle scelte pesa sui nuovi dirigenti che saranno eletti dal congresso. Su tutta questa materia dobbiamo poter andare avanti, dobbiamo poter discutere con le controparti per poter poi magari ragionare al nostro interno. Vi sono però alcuni elementi dello scontro contrattuale con la Fieg che ci devono far riflettere: il nostro sistema contrattuale è oggi intatto, anche se ci stiamo dicendo che può e deve essere cambiato. L’unità della rappresentanza ci deve indurre a rinnovare la scelta di una mediazione tra interessi di giornalismi differenti. Una mediazione nella quale inevitabilmente occorre che i più forti sappiano fare passi in avanti, senza rinunciare ai diritti acquisiti, per sostenere chi si affaccia alla professione. Lo avrete capito, stiamo parlando degli interessi morali ma anche materiali, di tutti i giornalisti. Sapendo che su questo terreno si gioca una delle partite più rilevanti sul fronte dell’indipendenza individuale e collettiva. Lo ricordiamo alla Fieg: sono quasi 5 anni che la categoria che rappresentiamo non ottiene aumenti retributivi e che giornalisti dipendenti ed autonomi hanno visto ridursi progressivamente la capacità di acquisto delle loro retribuzioni. Se la stessa Cgil quantifica in un euro al giorno la perdita del potere di acquisto dei salari di categorie che i contratti li hanno rinnovati, figuratevi noi. Ci hanno difeso parzialmente gli automatismi. Ma basterebbe confrontare gli stipendi dei redattori con meno di 30 mesi di anzianità e quelli medi dei collaboratori coordinati e continuativi con i corrispondenti salari dei lavoratori di altri settori per comprendere come i giornalisti più giovani siano al livello della sopravvivenza. Tutto ciò è intollerabile e solo un confronto senza pregiudiziali può consentire al sindacato ed alle imprese di trovare le soluzioni più eque senza imporre sacrifici insostenibili ad alcuno. Credo che dobbiamo riconoscere al ministro del lavoro di avere fatto molto per aprire un tavolo di confronto. Ma a questo punto, mentre si esaurisce il mandato del gruppo dirigente della Fnsi e ne viene eletto uno nuovo, chiediamo agli editori di incontrare subito la nuova giunta per discutere finalmente su basi nuove e riaprire il dialogo. La ricerca degli strumenti di rappresentanza di tutti i giornalismi ha indotto la Federazione della stampa a perseguire la strada della contrattazione differenziata nel tentativo di stipulare accordi giornalistici nei settori dove le colleghe e i colleghi non hanno riconosciuto il loro ruolo. È stata una scelta difficile, talvolta impopolare, ma lungimirante, coraggiosa, che ha suscitato e suscita tuttora preoccupazioni e resistenze, qualcuna legittima, altre eccessive e antistoriche. Accanto al contratto Fieg, è nato il secondo contratto collettivo dei giornalisti sottoscritto dalla Fnsi, e cioè il primo contratto per la regolamentazione del lavoro giornalistico nell’emittenza radiotelevisiva locale, firmato nel 2000 con l’organizzazione Aeranti-Corallo di cui ricordiamo uno dei fondatori, sempre presente al tavolo con la Fnsi, l’avvocato Eugenio porta recentemente scomparso. Il contratto Aeranti-Corallo è stato rinnovato con una proroga biennale nel 2006. Nelle scorse settimane la commissione contrattuale e il dipartimento dell’emittenza locale hanno avviato la discussione per la piattaforma rivendicativa del contratto quadriennale. L’obiettivo non può che essere la crescita e lo sviluppo del contratto Aeranti-Corallo, con passi avanti di natura retributiva e normativa che avvicinino le condizioni specifiche dei colleghi dell’emittenza locale a quelli delle aziende editoriali e delle radiotelevisioni nazionali. A chi ha criticato questo contratto differenziato, dai contenuti economici e normativi ridotti rispetto al contratto Fieg, la giunta federale ha risposto rilevando che questa contrattazione di emersione ha consentito oltre 1200 nuovi riconoscimenti professionali e tutele giornalistiche ad altrettanti colleghi. Mentre si riduceva il numero dei colleghi a cui è applicato il contratto Frt. Dobbiamo considerare questo risultato un successo di tutti sapendo che senza il contratto aeranti il sindacato dei giornalisti non avrebbe potuto rappresentare la professione che si esprime nelle radio e nelle televisioni locali. Nel rinnovo biennale siamo poi riusciti ad introdurre gli elementi di tutela del lavoro autonomo che hanno costituito uno degli ostacoli principali al rinnovo del contratto Fieg ed abbiamo affermato i valori di autonomia e di libertà del giornalismo finora negati nelle tv e radio locali. Con lo stesso spirito il sindacato dei giornalisti ha perseguito con ostinazione la definizione del primo contratto di lavoro dei giornalisti degli uffici stampa della pubblica amministrazione. Un contratto espressamente previsto dalla legge 150 del 2000 e finora reso impossibile dagli incomprensibili no dell’agenzia per la contrattazione del pubblico impiego Aran e dalle resistenze delle federazioni di settore di Cgil, Cisl e Uil. Le difficoltà negli ultimi tre anni sono apparse spesso insormontabili, ma il lavoro paziente, certosino dei colleghi della giunta, dello staff federale e del dipartimento uffici stampa hanno scavato la roccia, riuscendo a definire una ipotesi di piattaforma comune Cgil, Cisl, Uil, Fnsi sulla definizione dei profili professionali dei giornalisti degli uffici stampa. Il sì della Cgil, della Cisl e della Uil, e di altri sindacati autonomi (questi ultimi già d’accordo con noi) deve venire prima della fine dell’anno per consentire poi i negoziati di comparto dei diversi settori del pubblico impiego. Già ora, in seguito alla mobilitazione dei colleghi degli uffici stampa e per l’azione del sindacato nazionale e delle associazioni regionali, per centinaia di giornalisti che fanno informazione nello stato, nelle regioni, nelle province, nei comuni e negli enti pubblici è applicato un contratto giornalistico definito a livello locale o di singola amministrazione. Altre migliaia di colleghe e colleghi attendono però un riconoscimento professionale che ne sottolinei il ruolo e l’autonomia dal potere politico. L’impegno della Fnsi al fianco dei colleghi degli uffici stampa deve restare uno dei cardini dell’impianto strategico del sindacato. Sono inoltre ancora migliaia i giornalisti dei piccoli periodici, di quelli specializzati, delle aziende in cooperativa, dei giornali religiosi, politici e di idee, e della stessa emittenza locale nelle aziende aderenti alla Frt, che non hanno un contratto giornalistico. Anche su questo tema occorre che il sindacato a tutti i livelli manifesti il maggiore coraggio possibile. Abbia la capacità di rischiare ancora una volta, la capacità di aprire le porte ad altre forme di contrattazione differenziata. Finora i colloqui e i contatti avuti con l’Uspi, con Mediacoop, con Anes e con Frt non hanno creato le condizioni per seri e costruttivi negoziati contrattuali. È innegabile che la preoccupazione giustificata di tanti giornalisti, anche di imprese medio - grandi aderenti a queste organizzazioni, sia quella di perdere il contratto di riferimento Fieg laddove questo è applicato. E di vedersi ridurre i trattamenti economici e normativi. Questo è certamente un aspetto molto rilevante per il nostro sindacato e non possiamo non ascoltare le ragioni di questi colleghi. Ma la realtà è che in vaste aree dell’impresa giornalistica il contratto Fieg è difficilmente sostenibile dal punto di vista economico e normativo. La realtà è quindi quella di centinaia e di centinaia di aziende che non applicano nemmeno un contratto giornalistico, e che solo sporadicamente riconoscono trattamenti di contratti non giornalistici stipulati dalla Cgil, dalla Cisl e dalla Uil. Contratti, comunque, secondo noi illegittimi, tanto che sono spesso oggetto di contenziosi davanti ai giudici del lavoro. È il caso di Uspi e Frt, mentre Mediacoop ha deciso di applicare anche ai periodici e ad alcuni quotidiani aderenti il contratto Aeranti-Corallo- Fnsi. Queste iniziative delle imprese non possono essere accettate. La Federazione della stampa non può però nascondere la testa sotto la sabbia e ritenere che i problemi contrattuali di queste migliaia di giornalisti possano essere risolti solo con le vertenze presso i pretori del lavoro. Forse questo invito al coraggio per proseguire nella strada della contrattazione differenziata e della tutela di tutti i giornalismi non piacerà a tutti, ma chi lascia la guida del sindacato in questo momento deve fare per intero il proprio dovere di segnalare ai nuovi dirigenti i grandissimi problemi che restano aperti. È dall’inizio di questa relazione che affrontiamo i nodi e le difficoltà di un giornalismo che cambia. Una situazione di emergenza per un giornalismo sotto attacco da parte dei poteri politico, economico e spesso da parte della magistratura. In questi tre anni, come potrete leggere nella relazione della giunta esecutiva, abbiamo dovuto mobilitarci più volte per respingere gli attacchi al diritto di cronaca e alla libertà di informazione, per affermare i principi etici e deontologici della professione. Ci siamo mobilitati perchè questi temi sono nel dna del sindacato e nel suo statuto, ma anche per realizzare un fronte unito insieme all’organismo di tutela deontologica della categoria previsto dalla legge n. 69 del 1963. L’Ordine dei giornalisti, il Consiglio nazionale e il sistema degli ordini regionali, deve affrontare anch’esso la realtà di un giornalismo in difficoltà e che si trasforma. Negli ultimi anni abbiamo insieme, Fnsi e Ordine, denunciato l’insostenibilità di una legge istitutiva decrepita, che fa acqua da tutte le parti e fa riferimento ad una professione che da tempo non c’è più. I temi della formazione dei giornalisti, dell’accesso alla professione, della gestione dell’albo sono stati discussi da sindacato ed ordine talvolta con posizioni non coincidenti. Con una espansione dell’ area dei riconoscimenti d’ufficio dei giornalisti, ai quali è però solo garantita la disoccupazione o la precarietà; con un ordine che doveva interpretare le regole dell’accesso rispetto ad un giornalismo dilagante nei diversi mezzi di comunicazione. Abbiamo cercato di trovare strade e percorsi comuni, abbiamo sostenuto la forte rivendicazione dell’ordine di un sistema formativo che garantisca al paese e ai giovani una qualificazione professionale dei giornalisti di livello universitario o addirittura post universitario. Purtroppo non abbiamo ancora delle norme chiare e innovative, ma abbiamo aumentato il numero delle scuole. Alcuni di noi sostengono che le scuole riconosciute rappresentino una autentica risorsa formativa di qualità. Ma certo è aperto il problema degli stage nelle aziende, che solo in parte minoritaria provengono dalle strutture riconosciute dagli ordini. La Fnsi ne ha fatto oggetto di richieste di regolamentazione contrattuale, ha cercato (con il contributo talvolta decisivo dei comitati di redazione) di contrastare il disinvolto utilizzo degli strumenti formativi da parte delle aziende per sostituire giornalisti dipendenti, malati, in ferie o addirittura in sciopero con studenti di giornalismo sfruttati e non retribuiti. Dobbiamo sciogliere ancora questi nodi, lo dobbiamo fare in fretta e ragionando pacatamente tra noi e l’ordine, definendo percorsi di accesso omogenei da parte di tutti gli ordini regionali, realizzando una sinergia tra sindacato e istituzione ordinistica che consenta di monitorare l’afflusso di nuovi giornalisti evitando le ripetute violazioni contrattuali da parte di molte imprese. Lo dobbiamo fare però con la consapevolezza che sarebbe assurdo comportarsi come quel bambino olandese che cercava di fermare il crollo della diga inserendo le dita nelle crepe. Voglio dire che l’espansione del giornalismo è una realtà con cui fare i conti. La professione oggi è nelle redazioni ma anche nelle strade, con pochi mezzi e senza tutele. Un fenomeno che abbiamo visto materializzarsi ad esempio nelle strade di Genova in occasione del G8 e in decine e decine di altri eventi nazionali ed internazionali. La categoria dei giornalisti deve inoltre saper rispondere a quei cittadini e a quegli organi istituzionali che chiedono responsabilità, misura, correttezza e veridicità dell’informazione. In tanti anni di lavoro alla Fnsi abbiamo conosciuto tantissime giornaliste e giornalisti con la schiena dritta, che hanno raccontato ciò che vedevano con i loro occhi, che non hanno accettato di farsi condizionare e strumentalizzare, ed hanno pagato prezzi salati. Ma abbiamo anche, purtroppo, dovuto fare i conti con presunti colleghi, comprati e venduti, disposti a tutto, anche a raccontare frottole e a fare gli spioni, per pochi soldi o per un viaggio gratis all’estero. Un giornalismo deteriore, che subordina la verità agli interessi personali, a qualche “marchetta”. Colleghi, o presunti tali, che hanno usato strumenti fraudolenti, talvolta violando la legge, per fabbricare campagne informative distorte e lesive della dignità di molti cittadini. Dobbiamo sostenere chi nell’ordine e fuori ritiene che la tutela deontologica significhi anche individuare e sanzionare duramente chi macchia l’onore dell’intera categoria. Dobbiamo sapere che l’etica professionale è se possibile ancora più importante oggi con la moltiplicazione delle fonti e dei mezzi di comunicazione. I procedimenti dell’ordine nei confronti di chi ha sbagliato devono essere più rapidi ed efficaci che nel passato. Avendo la capacità di fare pulizia al nostro interno, saremo in grado di difendere meglio e con più determinazione la libertà di informazione e diritto di cronaca contro tutti i tentativi di limitare il lavoro dei giornalisti. Molti sono i tentativi di metterci un bavaglio da una parte delle istituzioni, delle forze politiche, dei governi nazionali e locali e del parlamento. Tentativi da parte degli altri poteri dello Stato, a cominciare dalla magistratura. Non accettiamo che ci venga imposto di attingere le notizie solo dalla fonte ufficiale, dalle veline di procure o questure. La proposta di legge sulle intercettazioni telefoniche, avanzata dal ministro Mastella e fortunatamente ancora bloccata in commissione in senato, anche per la nostra opposizione, è un esempio di come una parte delle istituzioni intendano il rapporto con i giornalisti: informerete solo quando, come e se lo vogliamo noi. Il lavoro fatto dal sindacato, dall’ordine, dall’unione cronisti in difesa del diritto di cronaca deve continuare a rappresentare un punto centrale dell’azione di tutta la Federazione della stampa. Ricordiamo tutti il corteo che abbiamo organizzato, insieme all’unione cronisti, a Roma e che ha avuto una eco superiore al consueto. L’azione del sindacato per rappresentare unitariamente tutti i giornalismi, non è soltanto un atto di solidarietà per i più deboli. Corrisponde anche all’obbligo statutario di tutelare gli interessi materiali di tutti i giornalisti. Ecco perchè il mancato rinnovo del contratto Fieg si traduce in un danno economico per migliaia di giornalisti Italiani ma anche per le colleghe e i colleghi che hanno lasciato o stanno lasciando la professione. I nostri pensionati vivono sulla loro pelle l’attuale impossibilità di ricercare soluzioni contrattuali che garantiscano loro una adeguata perequazione delle pensioni. Un impegno che non è mai venuto meno da parte del sindacato e che l’Inpgi cerca di tradurre in soluzioni sia pure temporanee. Il mancato rinnovo si traduce però anche in un ritardo grave nell’adeguamento dei contributi previdenziali all’istituto. Il presidente dell’Inpgi nei giorni scorsi, nel presentare un bilancio molto positivo dell’istituto stesso, il cui merito va a lui e all’intero consiglio di amministrazione, lo ha di nuovo rilevato. Gabriele Cescutti sottolineava come i dati in suo possesso delineano una professione sempre più precaria. Ma anche il fatto che i danni del mancato contratto, la sostanziale stasi del mercato del lavoro dipendente, sono stati solo in parte compensati dall’aumento dei contributi provenienti dalla contrattazione dei giornalisti dell’emittenza locale e di quelli degli uffici stampa. L’Inpgi è il cardine del nostro sistema di tutele professionali, ci garantisce le pensioni, assolve a tutti i compiti sociali che lo stato affida all’Inps. Con una contribuzione che è ridotta per i giornalisti rispetto agli altri lavoratori, dovendo garantire tutte le prestazioni previste per gli enti previdenziali pubblici, l’Inpgi privatizzato riesce da sempre ad avere bilanci attivi. Ma il rigore, la serietà e la trasparenza con i quali negli ultimi anni l’istituto è stato gestito ne fanno un esempio per l’intero paese. Occorre però che non si molli la presa, che questo pilastro dell’autonomia dei giornalisti non venga messo in condizioni difficili. Se l’Inpgi è in grado di garantire il pagamento delle pensioni, se gli si chiede di avere riserve da assicurarle per molti anni, non si può continuare a caricare sull’istituto i costi di riorganizzazioni, ristrutturazioni e crisi aziendali. Dovrebbe essere, quella di un trasferimento allo stato degli oneri degli stati di crisi, una richiesta di entrambe le parti sociali. Perchè dei contributi ridotti, rispetto a quelli versati da aziende di altri settori, si avvantaggiano le imprese del settore giornalistico. E quindi l’Inpgi non è un bene solo dei giornalisti ma anche degli editori. Per queste ragioni il sindacato ha sostenuto sempre più le ragioni dell’istituto, ha riconosciuto e apprezzato la capacità della vigilanza dell’Inpgi di scoprire e denunciare le violazioni contributive e contrattuali. Lo abbiamo fatto senza reticenze o dubbi, suscitando la esplicita continua protesta delle nostre controparti. Nel ricercare il dialogo con la Fieg, non abbiamo mai pensato nemmeno un momento di mollare sull’Inpgi, di lasciare soli i colleghi che abbiamo eletto ai vertici dell’istituto. Forse avremmo fatto un passo in avanti con gli editori se avessimo accettato unilateralmente, in dissenso con i pronunciamenti dei colleghi dell’Inpgi, di negoziare e accordarci con la Fieg per un aumento anche parziale dei rappresentanti editoriali nel consiglio di amministrazione. Non abbiamo accettato! Non solo e non tanto per amicizia nei confronti dell’Inpgi, ma perchè l’istituto è un bene di cui dobbiamo continuare a esercitare il pieno controllo. Cedere avrebbe significato ridurre lo stesso ruolo e gli stessi compiti del nostro sindacato. Anche l’Inpgi, come la Fnsi in questi giorni, rinnoverà a breve i propri organismi e il gruppo dirigente. Salutiamo chi esce e facciamo gli auguri di buon lavoro a chi entra. Resta l’impegno solenne del sindacato dei giornalisti a difendere ed a rivendicare l’autonomia e l’efficienza del proprio ente previdenziale. Allo stesso modo dobbiamo sottolineare la necessità di difendere la Casagit ed il ruolo dell’assistenza sanitaria integrativa dei giornalisti. Sana, ben amministrata ed efficiente, la Casagit deve fare i conti anch’essa con il mancato rinnovo contrattuale e con l’aumento esponenziale dei costi della sanità. Dobbiamo sostenere gli sforzi degli amministratori della nostra cassa sanitaria per far quadrare i conti in una condizione difficile e, nello stesso tempo, di riuscire ad assicurare ottime prestazioni a tutti i giornalisti, ai colleghi con il contratto aeranti e negli ultimi tempi anche ai collaboratori ed ai precari. Abbiamo discusso con Andrea Leone, Laura Delli Colli e gli altri dirigenti della Casagit della riforma delle prestazioni, dei percorsi di assistenza per i colleghi ai quali si applicano i contratti differenziati. Dovremo continuare a farlo sapendo che la Casagit, così come l’Inpgi, è una risorsa non solo per i giornalisti ma anche per gli stessi editori, ai quali è in grado di fornire tutta l’assistenza per il rispetto delle regole di legge in materia di salute. Il quadro del sistema di tutele e di servizi che la categoria si è data si completa con il fondo di previdenza complementare dei giornalisti Italiani, che il sindacato ha fortemente voluto. Gli amministratori del fondo, gestito paritariamente dalla componente giornalistica e da quella dei rappresentanti della Fieg, stanno facendo un ottimo lavoro, con efficienza e trasparenza. Marina Cosi, insieme al presidente Roberto Cilenti (indicato dalla Fieg per una rotazione prevista dalla legge e che il prossimo anno restituirà la presidenza alla nostra componente), hanno saputo costruire le condizioni per assorbire senza particolari scosse la legge sul trasferimento dei trattamenti di fine rapporto. Il fondo è in grado di costituire quell’integrazione alla pensione Inpgi che soprattutto i più giovani devono considerare come una risorsa fondamentale per il futuro. La strenua difesa che i giornalisti fanno dei loro organismi di tutela viene vissuta all’esterno del giornalismo, talvolta, come la dimostrazione di una nostra vocazione corporativa. Abbiamo già esaminato all’inizio della relazione il grande ruolo politico e sociale che, in piena e convinta autonomia il sindacato dei giornalisti ha assunto negli ultimi anni. Non c’è quindi alcuna chiusura corporativa. Dei giornalisti nel nostro paese, grandi o piccole categorie sociali difendono con orgoglio i diritti conquistati. Noi non siamo né tassisti, né notai, né avvocati. Non siamo magistrati che non si sognano di mettere in discussione il loro organo di autogoverno costituzionale, e cioè il consiglio superiore nel quale giudicano gli errori dei loro colleghi magistrati. E, con la minaccia di uno sciopero, inducono il governo a ritirare ogni ipotesi di taglio degli automatismi salariali. Tra i vasi di ferro il nostro vascello rischia di fare la fine del vaso di coccio. È per questo che il sistema Federazione-Ordine-Inpgi-Casagit-Fondo si tiene e rappresenta il vero valore aggiunto del giornalismo Italiano rispetto a quello di tanti altri paesi. Pensate cosa accadrebbe se l’avessero vinta coloro che ci chiedono di abrogare l’Ordine, di trasferire le nostre pensioni all’Inps, di pagarci le assicurazioni sanitarie e di versare i nostri tfr a fondi privati. Ne deriverebbe un danno materiale indubbio all’intera categoria, ed allo stesso sistema delle imprese. Ma anche una pericolosa caduta di indipendenza collettiva, una autonomia che ci consente di batterci per espandere le tutele di tutti e non di difendere i privilegi di pochi. Certo, la drammatica vertenza contrattuale con la Fieg, e più in generale i problemi delle regole sindacali ancora insufficienti, hanno creato nel nostro mondo la situazione di disagio che tutti conosciamo. La difficoltà maggiore la registriamo nelle redazioni, grandi o piccole, di tutti i settori produttivi. Con una difficoltà più accentuata nei grandi gruppi. È proprio la redazione, e cioè la forma organizzativa principale e storica del lavoro collettivo dei giornalisti, il con

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