Domenica scorsa, su RaiUno, nuova puntata della telenovela di Avetrana: la tragica morte di Sarah Scazzi ancora una volta al centro di una trasmissione di alto ascolto, come in questi mesi hanno fatto senza risparmio canali pubblici e privati. Intanto ieri a Milano è giunto a sentenza un processo di straordinaria importanza contro la ‘ndrangheta: 110 condanne e la prova di infiltrazioni profondissime della criminalità organizzata in Lombardia.
Il delitto di Avetrana - vicenda tragica ma privata - non è ancora arrivato al processo e già è stato sviscerato in centinaia di ore di programmi. Il processo di Milano è vicenda pubblica, perché riguarda la penetrazione della ‘ndrangheta nel corpo di un’intera regione, nel suo tessuto economico, sociale, istituzionale, nella vita dei suoi cittadini. Eppure l’attenzione mediatica di cui è stato e sarà oggetto è infinitamente più esigua.
Non ci si può rassegnare a squilibri informativi così pesanti, soprattutto quando a rendersene responsabile è il servizio pubblico. In questi giorni, sulla scia della formazione del nuovo governo, si intensifica il dibattito sulla necessaria trasformazione della Rai e l’indispensabile superamento della legge Gasparri. Non c’è bisogno di aspettare la nuova legge, però, perché il servizio pubblico dia finalmente il segnale di aver capito che l’insistenza ossessiva su certi delitti fa forse bene agli indici di ascolto, ma nuoce molto alla credibilità e all’autorevolezza della Rai. Solleticare gli istinti più morbosi degli spettatori non è tra i compiti di una tv civile.