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Sindacale 05 Nov 2008

“Stand Up for journalism” Giornata europea per la dignità del lavoro giornalistico L’intervento di Franco Siddi, Segretario Generale Fnsi

I giornalisti italiani, come tutti i colleghi europei, oggi sono simbolicamente in piedi a testimoniare la volontà di tenere la schiena dritta nonostante le tante pressioni contrarie dei poteri e delle fazioni che vogliono minare la loro autonomia professionale e il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.

I giornalisti italiani, come tutti i colleghi europei, oggi sono simbolicamente in piedi a testimoniare la volontà di tenere la schiena dritta nonostante le tante pressioni contrarie dei poteri e delle fazioni che vogliono minare la loro autonomia professionale e il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.

Quella organizzata dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, a Roma, è stata una giornata di manifestazioni e dimostrazioni dal tenore particolare: la nostra mobilitazione per la dignità del giornalismo, intitolata dalla Federazione Europea di categoria (Efj) “Stand Up for journalism” è, infatti, caratterizzata dalla forte richiesta di eliminare dal disegno di legge Alfano, sulle intercettazioni, le norme bavaglio che impedirebbero ai cittadini di sapere che esistono e come e se procedono le indagini su fatti di interesse pubblico. Per i giornalisti sono previste pene pesanti, anche il carcere, nel caso della pubblicazione di atti di cui siano venuti a conoscenza e che, nella loro autonomia professionale, hanno l’obbligo di pubblicare, come sancito anche dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza costante della Corte Europea di Giustizia che si occupa della materia. Per la Fnsi, che ha riunito anche il Consiglio Nazionale, con decine di Comitati di Redazione, con l’Unione Cronisti e con le rappresentanze delle istituzioni di categoria, nel Cinema Capranichetta a Roma, e poi ha tenuto una dimostrazione davanti alla Camera, in Piazza Montecitorio, si è trattato di una giornata di testimonianza e di grande impegno civile. I colleghi hanno indossato delle magliette bianche su cui sono stati stampati alcuni slogan colorati (“No alle notizie sotto chiave”; “No alla censura, no ai bavagli”) accompagnati dai loghi della Fnsi e della iniziativa Stand up for journalism, simboli che saranno riprodotti anche su centinaia di bandiere. Anche i colleghi dell’Unione cronisti portavano i loro striscioni e cappellini colorati sui quali campeggiavano le scritte: “Liberi di informare”, “Liberi di sapere”, “Stampa libera”. Hanno aderito all’iniziativa, politici, sindacalisti, personalità della cultura. “Stand up for journalism”, o se preferite debout pour le journalisme, “In piedi per il giornalismo”, è giunta cosi alla sua seconda edizione. Voluta dal Comitato direttivo della Federazione Europea dei giornalisti, ha inteso evidenziare le crescenti difficoltà, nel Vecchio Continente, all’esercizio di un giornalismo onesto, libero, riconosciuto nella sua dignità morale e materiale dal mondo politico e dal mondo imprenditoriale. C’è un’aria poco buona che spira, che colpisce il lavoro regolato e incardinato sui principi deontologici essenziali di autonomia. Il potere delle imprese cerca di imporsi in termini di controllo, quello politico, in molti Paesi, cerca di esigere una stampa amica infischiandosene dell’interesse pubblico e generale. Restrizioni nell’accesso alle fonti stanno diventando una costante in molti Paesi. In Italia, in primo piano, è l’attacco al segreto professionale. Nella maggior parte dei Paesi dove vige una legislazione a protezione delle fonti giornalistiche, pochi giornalisti sono preoccupati al riguardo. Nei Paesi dove invece ancora non c’è nessuna legge protettiva, le fonti giornalistiche sono più spesso minacciate. Un caso relativamente nuovo è rappresentato dalle leggi sulla sicurezza nazionale che costituiscono una minaccia per la protezione delle fonti nella maggior parte dei Paesi. Si impone una protezione delle fonti. Dall’impossibilità per i giornalisti di proteggerle discende, infatti, il prosciugamento delle stesse fonti d’informazione. La conseguenza più seria di un’assenza di protezione - una delle possibili negative conseguenze del Ddl sulle intercettazioni - è anche il pericolo per l’integrità fisica del giornalista, che lavora in zone di tensione o di guerra, o che indaga sul crimine organizzato. Se un giornalista è percepito come potenziale informatore delle autorità, o come un futuro testimone in un processo, questo fatto può essere sufficiente perché diventi un bersaglio. Lo spirito del Consiglio d’Europa, espresso nella raccomandazione del 2007, vuole che i giornalisti non siano costretti a mostrare i propri appunti, o foto, immagini o registrazioni ottenuti in zone di crisi (Raccomandazione del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa, per la protezione della libertà d’espressione e d’informazione in periodi di crisi, adottato dal Consiglio dei Ministri il 26 settembre 2007, durante la centocinquesima sessione dei rappresentanti dei ministri.) Un centinaio di Paesi nel mondo hanno adottato una legislazione che protegge le fonti dei giornalisti. Una ventina di questi hanno optato per una protezione costituzionale mentre altri hanno preferito testi legali, sia nel quadro delle leggi sulla stampa, sia nell’ambito delle procedure civili o penali. Tra i Paesi che riconoscono ai giornalisti un diritto costituzionale a proteggere le fonti spicca la Svezia, la quale ha messo in atto un sistema fra i più dettagliati, con la preesistente legge sulla libertà di stampa integrata nella Costituzione. Una ventina di Paesi hanno, comunque, adottato leggi che assicurano una protezione assoluta delle fonti giornalistiche: queste leggi determinano un diritto alla protezione talmente fondamentale che nessuno lo può contraddire. In Francia, il codice di procedura penale prescrive che “tutti i giornalisti sono liberi di non rivelare le proprie fonti”, ma prevede, però, che il giornalista “possa essere ascoltato come testimone, riguardo le informazione raccolte nell’ambito delle attività professionali”. In alcuni Paesi tale però il diritto assoluto può essere violato in alcune circostanze, sia per legge, sia nella pratica. In Francia, alcune redazioni (L’Équipe, le Canard Enchaîné) o qualche giornalista (Guillaume Dasquier) sono stati oggetto di perquisizioni negli ultimi mesi e in questi ultimi anni. In Lituania, la Corte Costituzionale nel 2002 ha proposto che la protezione delle fonti può non essere applicata in alcuni casi, come la protezione dei diritti costituzionali dell’individuo, perché il danno sarebbe maggiore del beneficio dell’applicazione del segreto. Il livello di protezione delle fonti varia, quindi, in funzione della dimensione di queste eccezioni consentite. In Belgio – caso che andrebbe imitato - è stata adottata una legge esemplare di livello mondiale, la quale protegge i giornalisti e le persone che lavorano per le redazioni dall’obbligo di rivelare le loro fonti o di rimettere tutti i documenti o tutte le informazioni che possano condurre alla loro identificazione. La sorveglianza e le perquisizioni sono proibite, e i giornalisti non possono essere perseguiti, in caso di rifiuto di testimoniare, per occultamento di prove rubate o per violazione del segreto professionale. Questa protezione può essere negata solamente da un giudice in caso di grave minaccia all’integrità fisica delle persone; quando queste informazioni siano fondamentali per la prevenzione di tale minaccia; e se queste informazioni non possono essere ottenute in nessun altra maniera. In Lussemburgo, la legge del 2004 sulla libertà d’espressione nei media, precisa che i giornalisti possono essere obbligati a rivelare le loro fonti per prevenire crimini contro le persone, il traffico di droga, il riciclaggio di denaro sporco, atti di terrorismo, o per proteggere la sicurezza dello Stato. In Italia, su tutti i tentativi palesi e occulti di ridurre lo spazio di libertà dell’attività giornalistica, la Federazione della Stampa, soprattutto con l’Unione dei Cronisti Italiani (Unci) ha avviato già numerosi incontri e manifestazioni di confronto e incontro con i cittadini, gli operatori della giustizia e le forze sociali. Dimostrazioni pubbliche si sono tenute in oltre venti tra le più importanti città di Italia. Il ddl sulle intercettazioni deve essere cambiato. Le norme che negano il diritto al sapere debbono essere cancellate. Ne va non solo della dignità dei giornalisti e della loro libertà ma del diritto dei cittadini a conoscere e a formarsi le loro libere opinioni. Ne va del prestigio dell’Italia nella comunità internazionale, dove rischia di esporsi ad una censura pesante degli organismi della giustizia europea. La commissione Giustizia della Camera dei Deputati sta riflettendo in questi mesi sul testo finale da portare in aula. Il Parlamento ha una grande occasione per affermare, su una materia tanto delicata, la propria funzione legislativa ricercando il massimo equilibrio su un tema, quello dei diritti e delle regole della convivenza, che non richiede colpi di teatro, né prove muscolari. Le parole dell’informazione sono e devono essere parole libere. Garantire l’indipendenza giuridica delle redazioni e dei giornalisti significa liberare l’informazione assicurando un terreno praticabile per il suo esercizio, nello spirito di non negare ai cittadini le notizie che contano per la loro vita e per il proprio modo essere e partecipare alla vita sociale. Il disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, come già successo con quella di Mastella del precedente Governo e quello ancora prima del penultimo esecutivo di Berlusconi, si innesta – e per certi versi lo alimenta - in un clima pesante che già induce censure e autocensure. La giornata di oggi è stata anche una giornata di denuncia delle invasioni di campo che, talvolta, alcuni magistrati inquirenti hanno compiuto nei confronti di giornali e giornalisti che hanno pubblicato notizie su procedimenti in corso di grande valore conoscitivo per il pubblico, di cui erano venuti a conoscenza e che avevano l’obbligo di rendere note. Perquisizioni e incriminazioni ingiuste non si contano più. La Fnsi ha chiesto l’intervento del Csm e si appresta a presentare un dossier alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. In questo clima riemergono anche gruppi violenti - in passato troppo spesso impuniti - che minacciano e intimidiscono i giornalisti. Alcuni - come Lirio Abate e Rosaria Capacchione – sono costretti a vivere sotto scorta. La settimana scorsa siamo stati a Caserta e a Casal di Principe a dire con forza che sotto chiave devono andare i camorristi, non le notizie, non i giornalisti. L’altro ieri un gruppo neo fascista ha fatto irruzione negli studi di “Chi l’ha visto?”. Un atto squadristico ignobile, che avviene in un clima in cui chi c’è vuol passare l’idea dell’informazione come un pericolo. Oggi c’è il direttore di Rai3, Paolo Ruffini. Lo ringrazio e, attraverso lui, ribadisco la nostra totale solidarietà e incoraggiamento ad andare avanti a “Chi l’ha visto?” e altrettanto faccio verso tutti i colleghi minacciati e intimiditi, molti non conosciuti al grande pubblico esposti a pericoli, rischi, minacce, soprusi di ogni genere. Certo, le parole dell’informazione libera e vera lo sono e debbono esserla in pericolo per il malfattori di qualsiasi specie, tanto più per il crimine (camorristico, mafioso ecc.) organizzato. L’Unità dell’Europa non può essere l’unità dei poteri forti e dei manovratori. Questo il senso più vero di “Stand up for journalism”, nella convinzione che la civiltà dei diritti affermata dalla Carta europea debba essere il parametro permanente della convivenza dei singoli Paesi nell’Unione stessa. “Stand up for journalism” è la giornata della dignità di chi vuol fare seriamente la professione di giornalista. Per questa ragione, ai temi centrali condivisi con la Federazione Europea di categoria, la Fnsi aggiunge quelli per la promozione e la tutela del lavoro e del contratto. A questi temi è stata dedicata la seduta straordinaria del Consiglio Nazionale che nel pomeriggio si è tenuta nella sede di Corso Vittorio Emanuele II, sempre a Roma. Quello dei diritti, del libero esercizio della professione e quella dei contratti di lavoro è materia ineludibile, cuore dell’attività del Sindacato dei giornalisti, che nel contratto riunisce la capacità di una professione intellettuale di essere categoria protagonista della civiltà del lavoro. Sono i contratti che fissano le regole organizzative e la cornice essenziale delle garanzie di un giornalismo libero in ogni azienda editoriale. E’ un capitolo, questo, che si coniuga con la materia tipica di tutti i contratti, la regolazione delle retribuzioni. Per la Federazione Nazionale della Stampa si tratta di un esercizio di attività sociale e culturale, nonché rivendicativa, unitaria, che coniuga i diritti del lavoro con quelli della libertà di tutti. Nella giornata di “Stand Up for journalism”, perciò c’è un filo comune che ancora una volta evidenzia questo impegno: il contrasto a qualsiasi provvedimento che limiti l’area della libera informazione, la domanda forte di leggi di riforma che liberino pienamente l’informazione e che rendano il suo mercato davvero plurale (il caso de La7, dove sono a rischio un quarto dei posti di lavoro giornalistici e dove è in corso una delicatissima trattativa sindacale dimostrano una volta di più l’urgenza del tema) e la volontà assoluta di sfidare fino in fondo gli editori sui processi di trasformazione dell’industria del settore ricercando tutti i punti di un possibile e dignitoso contratto nuovo. Autonomia, libertà, legalità, lavoro sono le sfide di oggi che la Federazione della Stampa affronta avendo chiara la propria identità, la propria funzione senza paura del negoziato, consapevole della centralità dell’informazione e del lavoro professionale dei giornalisti nel sistema democratico. Ai colleghi de La7 va la solidarietà concreta di tutta la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, con un’attività sindacale profonda, fatta di negoziato per la tutela dei posti di lavoro e per la legalità, pronti a tutte le azioni ulteriormente necessarie. Il sindacato dei giornalisti, come del resto i colleghi, avverte spesso tanta solitudine. Ma c’è! E’ “In piedi”, come vuole il senso della giornata di oggi! E, nonostante tanti tentativi di abbatterlo, è ancora forte e sarà attivo fino in fondo con tutti i presidi che la propria natura e la propria storia gli affidano.

@fnsisocial

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