CERCA
Cerca nelle notizie
Dal
Al
Cerca nel sito
Fnsi 22 Set 2006

Siddi sulle intercettazioni: “Intimidazioni subite da cronisti coraggiosi, le necessarie azioni di auto tutela per la riforma del sistema disciplinare dei giornalisti”

Ampio intervento del Presidente della Fnsi, Franco Siddi sullo scandalo delle intercettazioni

Ampio intervento del Presidente della Fnsi, Franco Siddi sullo scandalo delle intercettazioni

Con l’affare Telecom si ritorna a ragionare sulle possibilità di controllo nei confronti dei giornalisti. Torna prepotentemente il tema sul controllo della stampa. Sono stati sequestrati dei computer, pedinati e intercettati giornalisti nel corso dello svolgimento delle loro inchieste. Come giudichi questo fenomeno che sta diventando sempre più frequente. Un fenomeno rabbrividente, illegale e gravissimo. Oggi Ezio Mauro ha scritto e parlato di “attentato alla democrazia”. Lo condivido. Credo che sia giunto il tempo che coralmente i sinceri democratici, dalla politica alla società civile, chiedano scusa a quei giornalisti che sono stati indagati per aver cercato di scoperchiare pentoloni melmosi di misfatti gravissimi per la libertà delle persone. Colpendo i giornalisti come si è pensato di fare con intercettazioni illegali, con pedinamenti, con vere proprie intimidazioni, si voleva impedire all’opinione pubblica di sapere. Il fine era quello di poter orientare affari non sempre leciti, corsi politici di favore per qualcuno non sempre manifesto. Tutto questo è intollerabile. C’è bisogno di porre una nuova questione morale che ha i caratteri dell’emergenza democratica. Stava accadendo qualcosa di veramente drammatico. E’ stato scoperto in tempo per l’attività di alcuni magistrati infaticabili e rigorosi, ma anche per la capacità che hanno avuto alcuni giornalisti, altrettanto rigorosi e seri, di non legarsi a verità di comodo o di facciata. Questi giornalisti per una legittima attività di indagine sono addirittura stati messi all’indice. Per due mesi è sembrato che fossero loro i colpevoli di reati, proprio loro che hanno aiutato la ricerca della verità e che forse con la loro attività indefessa di informazione hanno impedito che su un’inchiesta così delicata calasse l’oscurità. Credo che a loro debba essere chiesto scusa. E sulle indagini nei loro confronti cosa pensi che potrebbero fare quegli organismi che presiedono all’attività di indagine? Il Csm deve valutare attentamente cosa è accaduto nei confronti dei colleghi, anche per un’attività eccessiva di indagine - mi pare che così sia stata definita dal garante della privacy - nei loro confronti attraverso sequestri di computer, di memorie di archivi, di file addirittura personali. Credo che qui sia del tutto condivisibile quanto ha detto il garante Pizzetti. Credo che questo richiamo debba essere colto per la sua portata dai protagonisti del che deve presiedere al sistema delle garanzie democratiche del nostro Paese. La richiesta che avanziamo al Csm è perché valuti attentamente questi metodi di indagine e venga compreso il valore e il ruolo dell’informazione e della tutela delle fonti dell’informazione. Deve essere considerato con grande attenzione il rapporto di fiducia con le fonti ma anche con i destinatari delle notizie che sono il pubblico. Si tratta di un bene essenziale che non si può infrangere facilmente, neanche attraverso un eccesso nell’utilizzo degli strumenti di indagine giudiziaria così come condotta nei confronti dei colleghi su questo caso specifico. Ci siamo trovati di fronte ad elementi di condizionamento se non di intimidazione. La magistratura ha una grande opportunità alla luce di quanto comincia ad essere noto perché credo che molto ancora deve essere fatto sapere. Credo ci sia la grande opportunità di restituire ai cittadini la fiducia nei servizi di sicurezza dello Stato, nelle regole di un libero mercato che, alla luce di quello che questa vicenda ci racconta, è tutt’altro che libero nel nostro Paese. E può restituire fiducia nella vitalità delle istituzioni. Sono in molti a notare un affanno da parte della politica. Di fronte a quest’inchiesta né il centro destra né però il centrosinistra riescono a dire parole chiare sulla difesa di quello che è il lavoro dei giornalisti da una parte e sulla separazione dei ruoli dall’altra… Sono estremamente preoccupato di ciò. Ho la sensazione che la politica abbia avuto alternativamente dei favori da questo sistema. Mi rendo conto di dire cose molto gravi. Ho la percezione che la politica non si sia ripresa ancora da tutto quello che è successo in questi anni. Sembra avere quasi il timore di esercitare il suo primato nel far rispettare le leggi che essa stessa ha dato democraticamente a questo Paese. Penso alle leggi che riguardano l’organizzazione dei servizi segreti, penso a quelle sulle liberalizzazioni che dovevano poggiare su regole chiare di concorrenza e di accesso al mercato per qualsiasi soggetto e a parità di condizione e trasparenza. Penso al rapporto con gli stessi servizi segreti. Sono organismo essenziale per la sicurezza dello Stato ma non possono diventare l’organismo che guida anche indirettamente la politica. Credo ci siano ancora molte cose che vanno scoperte. Parliamo anche del coinvolgimento dei giornalisti nei servizi segreti. C’è stato il caso Farina, forse ce ne saranno anche altri. Ma perché l’Ordine dei giornalisti fatica ad esprimersi sull’illegittimità, anzi, sull’illegalità di questo comportamento. C’è un codice deontologico, c’è una legge dello Stato eppure a Farina ancora nessuno ha detto nulla… Ho chiesto più volte per conto della nostra federazione che gli organismi di controllo sui servizi, da quelli parlamentari a quelli governativi, esigessero presto e la rendessero pubblica chiarezza sui rapporti obliqui con settori dell’informazioni, siano imprese o giornalisti. Per quanto riguarda questi ultimi ho sostenuto con grande forza - e spesso anche da solo - che devono essere resi noti i nomi di tutti i giornalisti che sono stati al soldo dei servizi per una qualsiasi ragione. Non c’è ragione che giustifichi il loro comportamento. C’è una legge dello Stato che impedisce a giornalisti, sacerdoti e magistrati di lavorare pagati dai servizi. Chi lo fa compie un reato. C’è una legge professionale che attiene all’autonomia e all’indipendenza dell’informazione che vieta una pratica di questo genere a qualsiasi giornalista. Non si può considerare normale. come qualcuno anche nel nostro mondo tende a far credere. che i Renato Farina di turno possano aver fatto le operazioni che hanno fatto con nomi in codice e con la costruzione di dossier pubblicati e portati alla pubblica opinione senza che fosse chiaro che erano dossier prefabbricati da circuiti esterni a quelli della naturale formazione delle libere informazioni. Renato Farina e con lui chi è nelle stesse sue condizioni, non può far parte dell’ordine professionale. Mi hanno accusato di voler licenziare i giornalisti, di essere un sindacalista che vuol licenziare Farina, che vuole togliere il lavoro alle persone. In questi casi non si tratta di togliere il lavoro, si tratta di chiarire i ruoli e le funzioni. Questo mestiere non lo può fare chi vuole servire padroni oscuri, chi vuole servire padroni che è vietato che siano serviti in ginocchio dai giornalisti. E’ un dovere di lealtà, è un’esigenza della democrazia. E’ una delle condizioni base della libera informazione come fonte della formazione delle libere opinioni. Tutte le garanzie di processo a Farina che hanno chiesto siano concesse. Ma credo che tre mesi di silenzio non siano giustificabili. A fronte di verità e violazioni non solo deontologiche conclamate, c’è bisogno di azioni chiare, trasparenti, lucide, rigorosissime. Perché questa è la condizione della credibilità nostra ma anche della buona salute della nostra democrazia. Ho l’impressione che molti non l’abbiano capito e non lo vogliano capire. Tra l’altro in un momento in cui si sta discutendo anche degli organismi che stanno sopra la professione, quindi l’ordine. Su questo non si gioca anche l’esistenza stessa dell’Ordine dei Giornalisti? Su questa partita si gioca la nostra credibilità e la credibilità, il valore e la rilevanza dei nostri istituti. Se questo non si coglie vuol dire che non si coglie l’esigenza che i giornalisti abbiano degli organismi di autogoverno e autodisciplina. Vuol dire che davvero si preferisce che intervenga qualcuno dall’esterno. Non lo vogliamo. Dobbiamo essere credibili, capaci di esigere dal di dentro con forza e rigore le riforme e dare un segnale di cambiamento reale a partire dai dati morali che ci riguardano, senza tentennamenti. Ho paura che in molti colleghi prevalga l’istinto alla conservazione dell’esistente seppure parlando genericamente di cambiamenti. E’ arrivato il momento di dire che cosa si vuole correggere e di fare con tempestività e rigore tutto quello che intanto è già possibile fare.

@fnsisocial

Articoli correlati