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Giudiziaria 26 Giu 2010

Riflessioni di una cronista di giudiziaria sul ddl Alfano "La casta considera nemici le penne e le toghe, ma cerca l'assoluzione"

La cronaca giudiziaria al tempo del disegno di legge Alfano sulle intercettazioni. Cosa accadrà se diventerà legge. Riflessioni duna croniusta di giudiziaria su aspetti noti e apparentemente secondari del provvedimento."Una valanga di sassolini negli ingranaggi di una macchina delicatissima: l'apparato giudiziario. Se sarà approvato alla Camera, il ddl Alfano sulle intercettazioni (ma non solo su queste) avrà l'effetto di paralizzare la giustizia e di impedire la cronaca giudiziaria. Il bavaglio ai giornalisti è l'olio di ricino, la manganellata per "educare" i riottosi, un colpo micidiale alla libertà dei giornalisti e al diritto dei cittadini di essere informati.

La cronaca giudiziaria al tempo del disegno di legge Alfano sulle intercettazioni. Cosa accadrà se diventerà legge. Riflessioni duna croniusta di giudiziaria su aspetti noti e apparentemente secondari del provvedimento."Una valanga di sassolini negli ingranaggi di una macchina delicatissima: l'apparato giudiziario. Se sarà approvato alla Camera, il ddl Alfano sulle intercettazioni (ma non solo su queste) avrà l'effetto di paralizzare la giustizia e di impedire la cronaca giudiziaria. Il bavaglio ai giornalisti è l'olio di ricino, la manganellata per "educare" i riottosi, un colpo micidiale alla libertà dei giornalisti e al diritto dei cittadini di essere informati.

Eppure, se per assurdo venissero emendate tutte le norme che riguardano direttamente i cronisti e gli editori, l'effetto di silenziare le inchieste giudiziarie sarà ottenuto lo stesso. Questo ddl infatti rischia di fare  abortire il lavoro della magistratura, e conseguentemente  le notizie, nella già complicata gestazione delle indagini preliminari.  Noi giornalisti possiamo annunciare la disobbedienza ed essere pronti a  sfidare il carcere, pur di esercitare il nostro diritto-dovere di informare, però dobbiamo dircelo chiaro: senza le notizie, ci sarà poco da pubblicare. Ed è quello che accadrà, quando diventerà legge questo ddl pensato e scritto, con tutta evidenza,  da professionisti dei cavilli progettando il "dopo" processuale di pochi privilegiati che diventeranno una moltitudine nell'applicazione pratica. 
 Quando e se tutto questo succederà, i giornalisti specializzati in cronaca giudiziaria si occuperanno d'altro, mentre i magistrati e gli investigatori faranno la loro corsa quotidiana contro il tempo per scansare le trappole disseminate sulla strada che porta all'udienza preliminare. Dopo avere chiesto a tre giudici del tribunale del capoluogo di distretto l'autorizzazione a intercettare un indagato (richiesta controfirmata dal Procuratore, pena di inammissibilità) e ottenuto il decreto (motivato contestualmente e non successivamente modificabile) se sussistono contestualmente  gravi indizi di reato e le utenze sono intestate o effettivamente e attualmente in uso agli indagati, il sostituto procuratore dovrà cominciare la conta dei giorni del sudoku legislativo imposto dal ddl Alfano 30 giorni di intercettazione (anche non continuativi, così è più complicato) più trenta più 15. Superato questo limite si va avanti di tre giorni in tre giorni, sempre con richieste motivate e accompagnando la richiesta trasmettendo ai tre giudici del tribunale il fascicolo contenente tutti gli atti di indagine fino a quel momento compiuti. Nel frattempo, mentre i faldoni vanno avanti e indietro tra Procura e tribunale del capoluogo, il magistrato deve vigilare come un cane da guardia sul rispetto della loro  segretezza e su quella dei registri riservati dove deve annotare "secondo un ordine cronologico la data e l'ora di emissione , la data e l'ora di deposito in cancelleria dei decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni. E per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni". E pensare che a inchiesta finita sarà un solo giudice, se l'imputato chiederà di essere giudicato con il rito abbreviato, a decidere se è da condannare o da assolvere. Anche se è imputato di omicidio pluriaggravato.  E' da disfattisti prevedere che l'indagine si possa sgonfiare come un sufflè che ogni dieci minuti viene tirato fuori dal forno? Gli indagati chiacchieroni che, nonostante tutto, si mettano nei guai possono stare tranquilli: i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora, nell'udienza preliminare o nel dibattimento, il fatto risulti diverso "e in relazione ad esso non sussistano i limiti di ammissibilità".
A ulteriore e maggiore garanzia: i risultati delle intercettazioni (a parte reati gravissimi) non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le intercettazioni sono state disposte. I parlamentari,  poi, possono dormire tra due guanciali: oltre a chiedere l'autorizzazione alla Camera per intercettare uno di loro, già previsto dall'articolo 4 della legge 140 del 2003,  il ddl Alfano estende l'obbligo di richiesta ai "soggetti diversi allorché da qualsiasi atto di indagine emerga che le operazioni sono comunque finalizzate, anche indirettamente, ad accedere alla sfera delle comunicazioni del parlamentare". La Casta e gli amici della Casta possono brindare.
 Questo ddl "ultragarantista" è invece ben studiato per colpire i nemici eterni degli imputati: polizia giudiziaria, magistrati, giornalisti. Per rendersene conto, basta incrociare gli effetti dei 42 commi del ddl.
Da una lettura superficiale emerge l'orgia di potere di un azzeccagarbugli che vorrebbe sempre vincere facile in tribunale e compiacere  il suo cliente fino al servilismo, si suppone ben ricompensato.  Cosa c'entra con le intercettazioni, solo per fare un esempio, la modifica dell'articolo sulla violazione di domicilio,  là dove si sostituiscono le parole "di privata dimora" con il più estensivo "privato"? Uno sfizio per colpire quei seccatori alla Zappadu che si appostano davanti ai parchi di settanta ettari per scattare foto imbarazzanti che fanno il giro del mondo?  Uno sfizio, appunto, che arriva dopo avere provveduto a imbavagliare per bene giornalisti, magistrati e forze dell'ordine. Si comincia con l'obbligo di astensione del giudice "se ha pubblicamente rilasciato dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli". Ma ce n'è anche, o soprattutto, per i sostituti procuratori e per i pubblici ministeri. Qui c'è un vero trappolone. Il comma 2 del ddl prevede la sostituzione obbligatoria del pm che risulti iscritto nel registro degli indagati per "rivelazione di segreti inerenti il procedimento penale". In questo caso dispone il Procuratore. Quando ad essere indagati sono procuratore capo e sostituto, invece, provvede il procuratore generale. In Italia esiste l'obbligo dell'azione penale per le Procure. Questo significa che un indagato possa liberarsi del magistrato sgradito semplicemente propalando notizie coperte da segreto (fino alla fine delle indagini preliminari c'è tutto il tempo) e poi denunciando il sostituto che sta indagando su di lui. Il gioco è fatto.
Ma lo stesso legislatore che punisce i magistrati è, invece, molto generoso con gli avvocati per i quali estende il divieto di controllo e di intercettazione "anche su utenze diverse a quelle in uso al difensore o agli altri soggetti incaricati". Vengono così dilatate le sacrosante garanzie di libertà del difensore, mentre si restringono gli spazi ai magistrati. E per completare l'opera, viene vietata la pubblicazione del nome e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e ai processi penali loro affidati, a meno che "la rappresentazione dell'avvenimento non possa essere separata dall'immagine del magistrato". Bontà loro, se un pm viene immortalato sul luogo di un attentato o di un omicidio, non bisognerà tagliarlo dalla foto.
Ma è contro i giornalisti che parte la  sassaiola di divieti: vietata la pubblicazione fino al termine della udienza preliminare, anche per riassunto, delle intercettazioni e degli atti relativi a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche (sms e mail); vietata la pubblicazione, anche per riassunto o nel contenuto, delle richieste e delle ordinanze in materia di misura cautelare. Di queste ultime si può dare notizia “per contenuto” (praticamente, la notizia secca del provvedimento), ma solo dopo che la persona sottoposta a indagine o il suo difensore “abbiano avuto conoscenza dell'ordinanza del giudice” e comunque escludendo le intercettazioni o le altre comunicazioni. Degli atti dell'inchiesta si può dare notizia "per riassunto" fino alla udienza. Sanzioni pesantissime per chi si strappa il bavagli, condanna al carcere da sei mesi a tre anni per chi viola il divieto di pubblicazione  e pene da uno a sei anni per chi, mediante modalità o attività illecita, prende diretta cognizione di atti coperti dal segreto o ne agevoli in qualsiasi modo la conoscenza. Se poi il reato fosse colposo, la pena arriva a un anno di reclusione. Le pene aumentano se il fatto concerne comunicazioni di servizio dei servizi segreti. Ammenda fino a 1032 euro per i magistrati e i pubblici ufficiali che omettono di esercitare il controllo necessario a impedire la divulgazione degli atti coperti da segreto. Limiti vengono imposti anche alle riprese del processo. Adesso, quando sussiste un interesse sociale rilevante, per garantire il diritto di cronaca le riprese possono essere autorizzate dal giudice che celebra il dibattimento. Ora questo compito viene assegnato al presidente della Corte d'Appello.  Ammenda fino a 1032 euro per i magistrati e i pubblici ufficiali che omettono di esercitare il controllo necessario a impedire la divulgazione degli atti coperti da segreto.  E se, nonostante tutto, qualcosa trapela dal guazzabuglio di vincoli e divieti? C'è la punizione anche in questo caso. Facciamo un esempio pratico: se il giornalista viene a conoscenza di atti coperti da segreto perché anonimi informatori  gli danno la notizia, magari spedendogli per posta brogliacci e documenti, può essere punito lo stesso anche se non pubblica la notizia. E' sufficiente che abbia rivelato la cosa al direttore o al caposervizio. Per impedire che le notizie filtrino comunque, il legislatore tappa la bocca anche alle persone informate sui fatti. Non basta: il giornalista sospettato di avere violato il divieto di pubblicazione viene immediatamente deferito all'Ordine professionale “che nei successivi trenta giorni (…) dispone la sospensione cautelare dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi".  Carcere, poi, fino a quattro anni per chi riprende o registra le comunicazioni o le conversazioni cui partecipa. Alla faccia del garantismo e della presunzione di innocenza. Da questo clima da santa inquisizione  si salvano però i sacerdoti. Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, la Procura deve informare il suo superiore gerarchic il Segretario di Stato per i vescovi, l'ordinario diocesano per i sacerdoti secolari "o appartenenti a un istituto di vita consacrata o a una società di vita apostolica". Un po' eccessivo? La Casta considera nemici  le toghe e le penne, però cerca l'assoluzione…

Daniela Scano
cronista di giudiziaria
Consigliere nazionale della Fnsi

@fnsisocial

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