L’acquisto da parte di Rcs della società che controlla Youreporter e il contestuale annuncio dell’intenzione di aprire uno stato di crisi per Rcd (la Redazione Contenuti Digitali del gruppo) è una coincidenza inquietante.
Temiamo non sia una casualità, ma che possa esserci sottotraccia un’idea quantomeno bizzarra dal punto di vista editoriale: quella, cioè, di sostituire contributi di qualità giornalistica con ciò che arriva gratuitamente dalla rete. E’ il sogno di ogni editore, peccato che il sistema non funzioni né dal punto di vista editoriale, né da quello industriale. Sarebbe come voler condire l’insalata con l’olio motore, sostenendo che sempre di olio si tratta. Il citizen journalism è sicuramente una realtà importante dell'informazione di oggi, ma ha un mero valore testimoniale e non può certo sostituire il giornalismo, del quale l'elemento testimoniale è solo una componente.
Non sarebbe in ogni caso possibile soppiantare il lavoro svolto dai 15 giornalisti di Rcd altamente specializzati con una piattaforma user genereted content che, proprio per questo, non può garantire lo stesso livello di professionalità. Le parole del direttore generale divisione Media di Rcs Alessandro Bompieri, che in occasione della presentazione del nuovo sito di Corriere ha dichiarato che su Rcd “nessuna decisione è stata presa", ci dovrebbero rassicurare. Peccato che l’ufficio del personale abbia già preannunciato via mail al Cdr l’intenzione di avviare uno stato di crisi per Rcd.
Noi, da bravi giornalisti, stiamo ai fatti. Da una parte Rcs Mediagroup pensa che il digitale sia il futuro dell’editoria e che vada “ampliata l’offerta video”, dall’altra pensa di aprire uno stato di crisi per l’unica struttura che da oltre otto anni fornisce dall’interno contenuti multimediali alle testate del gruppo, Corriere e Gazzetta in testa. Una contraddizione in termini. Da una parte Rcs sostiene che i costi di Rcd siano troppo onerosi, dall’altra avrebbe speso oltre due milioni e mezzo di euro, cifra che tutti gli analisti hanno definito esorbitante, per un sito che ha poche migliaia di euro di utile e i cui stream views non sono paragonabili a quelli garantiti a Corriere dai prodotti realizzati da Rcd. Un po’ più che una contraddizione.
Anche la tesi sostenuta dal management che Rcd sia troppo costosa è pura fantasia. Nel 2013 i 15 giornalisti dell’unica struttura che fornisce dall’interno contenuti multimediali alle testate Rcs hanno realizzato 16.200 video (oltre 44 al giorno, Natale compreso) a costi assolutamente in linea con quelli del mercato. I dati audiweb dimostrano che lo streaming video di Corriere (il principale fruitore dei nostri prodotti video) è aumentato, dirette escluse, del 41% nel 2013 ed è addirittura superiore a quello del concorrente sito di Repubblica, nonostante quest’ultimo abbia più utenti unici al giorno. Un chiaro indice di gradimento del prodotto video da parte dei lettori che ha, sicuramente, altri margini di miglioramento se l’azienda predisponesse un piano di sviluppo coerente e organico.
Anche a livello internazionale, i più importanti analisti del settore dei media spiegano che l’informazione online necessita di brand, qualità e originalità per essere gradita e, soprattutto, per essere venduta. Solo così si supera la crisi, come nel 2013 hanno dimostrato diversi esempi editoriali d’oltreoceano (New York Times in testa). Ci auguriamo, quindi, che Rcs non prenda invece una china che rischia solo di danneggiare l’intero gruppo, gli investimenti degli azionisti e di mettere in pericolo nel lungo periodo centinaia di posti di lavoro. Non vorremmo che quella che un tempo era la principale azienda editoriale del Paese sia ormai una nave alla deriva.
Affronteremo questa fase con senso di responsabilità, certi della nostra professionalità e del nostro ruolo in Rcs e convinti che sia sempre più necessario che i giornalisti siano coinvolti nella gestione delle aziende editoriali.
Il Cdr di Rcd