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Giudiziaria 09 Giu 2011

Precaria da oltre sette anni assunta a tempo indeterminato dal giudice

Un punto di inizio che potrebbe fare giurisprudenza contro la deregolamentazione nei luoghi di lavoro. Pubblichiamo un articolo di Paoletta Farina giornalista della Nuova Sardegna sull'argomento:

Un punto di inizio che potrebbe fare giurisprudenza contro la deregolamentazione nei luoghi di lavoro. Pubblichiamo un articolo di Paoletta Farina giornalista della Nuova Sardegna sull'argomento:

SASSARI - Le Poste non possono coprire le carenze d'organico assumendo personale con contratti di somministrazione a tempo determinato e senza giustificare dettagliatamente il ricorso a questo strumento normativo. È in estrema sintesi il contenuto della sentenza con la quale il giudice del lavoro Francesca Lupino ha ordinato a Poste italiane di riprendere in servizio una precaria quarantenne e le ha condannate a pagarle arretrati e contributi.
La causa è la prima ad arrivare a decisione (il giudice si è pronunciato l'altro ieri) di una decina aperte da dipendenti a tempo che hanno chiesto la «stabilizzazione» assistiti dall'ufficio vertenze della Cisl. «Siamo soddisfatti - afferma Timoteo Baralla, segretario Slp-Cisl -. È un nuovo riconoscimento delle nostre ragioni». Per l'avvocato Paolo Sechi, che tutela l'impiegata e gli altri colleghi senza lavoro, e l'ha spuntata contro il colosso Poste, da anni al centro di contenziosi giudiziari con personale precario, è una sentenza di grande rilevanza.
«Per la prima volta - afferma - il tribunale sassarese del Lavoro si è pronunciato sui cosiddetti contratti di somministrazione - quelli cioè introdotti dalla legge Biagi in sostituzione del contratto di lavoro interinale della precedente legge Treu - disponendo che non se ne può abusare, ma che devono esserci ragioni specifiche e motivate e una necessità temporanea da parte dell'azienda che assume attraverso le agenzie di lavoro».
Se alle Poste è andata buca, è invece andata in buca la rivendicazione dell'impiegata che a 43 anni può sperare in un posto fisso (salvo ribaltamenti della sentenza in appello se ci sarà ricorso da parte della società postale) dopo che dal 2004, per quattro volte e per brevi periodi, aveva lavorato agli sportelli postali di Ozieri e Trinità d'Agultu. Un'assunzione motivata dall'azienda, sin dal primo contratto di due mesi, con «esigenze di carattere temporaneo» a causa di «punte di più intensa attività a cui non è possibile far fronte con le risorse normalmente impiegate». E una linea difesa in giudizio dai legali di Poste italiane.

Poste italiane condannata dal giudice del lavoro
Ora, però, a chiunque frequenti un ufficio postale, considerata la ressa perenne alle casse, sorge spontanea la domanda quando l'affollamento debba essere considerato straordinario. Interrogativo che deve essersi posta anche il giudice Lupino se sul punto non ha ottenuto una prova certa dall'azienda. Al contrario è stata l'impiegata a fornire la documentazione sulla mole di attività svolta in una delle sue sedi temporanee, lo sportello di Trinità di Agultu. E scrive il giudice nel dispositivo: «Dai documenti in verità non si rileva un maggior flusso, posto che il picco risulta essere avvenuto soprattutto nel mese di giugno in cui la ricorrente non ha lavorato».
Di qui la dichiarazione in sentenza della illegittimità del primo contratto di lavoro stipulato sette anni fa, senza che sia stato nemmeno necessario procedere all'esame degli altri. Le Poste dovranno riammettere in servizio l'impiegata a tempo indeterminato e sono state condannate a pagarle le retribuzioni maturate dal 2007 a oggi, e a regolarizzare i contributi previdenziali oltre che pagare le spese di giudizio.

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